In che direzione vanno le politiche sanitarie nel mondo?
G. Maciocco
C’è stato un momento – i primi anni dell’amministrazione G. W. Bush, ovvero sull’onda apparentemente irresistibile ascesa del pensiero neo-conservatore – che la sanità mondiale sembrava precipitare nell’abisso del mercato assoluto, disordinato, crudele. La strategia neo-cons è clamorosamente franata su tutti i fronti, dalla politica internazionale (guerra in Irak in primo luogo) alla politica economica. Simbolico il licenziamento in tronco di Paul Wolfowiz (già viceministro della difesa nel governo Bush) dalla presidenza della Banca Mondiale, formidabile strumento di diffusione planetaria del mercato in sanità. Negli ultimi anni il vento è un po’ cambiato. Non possiamo ancora parlare di una netta inversione di tendenza, ma si respira un’aria diversa.
Ci può fare un esempio?
Per esempio, in Cina – uno dei paesi in cui le politiche di privatizzazione della sanità erano state più radicali e spietate (con l’80-90% della popolazione rurale totalmente privo di copertura assicurativa) – il governo ha recentemente deciso di considerare la sanità pubblica una priorità principale "con l’obiettivo di garantire a tutti i servizi sanitari essenziali per migliorare la loro salute e il loro benessere", iniettando nel sistema sanitario pubblico una quantità di risorse aggiuntive pari all’1-1,5% del PIL.
Negli Usa che aria si respira?
Negli USA i temi dell’assistenza sanitaria sono diventati una delle questioni più popolari della campagna elettorale e speriamo porti bene a Barak Obama un’affermazione del genere: "Alla base del mio programma c’è la copertura assicurativa per tutti gli Americani. Se te sei già assicurato, l’unica cosa che cambierà sarà il prezzo del tuo premio assicurativo. Esso sarà più basso. Se sei uno dei 45 milioni di Americani privi di assicurazione, tu l’avrai una volta che il mio programma sarà diventato legge"
Che cosa è stato fatto nel nostro Paese a garanzia dell’equità nella salute?
G. Padovani
Poco. Nell’ottobre 2005, a Londra, in un convegno promosso dalla Commissione europea del WHO, l’Italia è stata classificata tra i Paesi dove esistono impegni formali (commitment) a favore dell’equità ma mancano iniziative corrispondenti. L’Italia inoltre è stata catalogata tra i Paesi in cui il fenomeno della disuguaglianza nelle condizioni di salute è scarsamente (very little) monitorato. In una classifica ideale dei sistemi sanitari europei in ordine all’equità, a primi posti sono la Gran Bretagna, la Svezia, la Finlandia e l’Irlanda: ma anche Germania, Danimarca, Spagna, Ungheria e Lituania sono più attive del nostro Paese nel contrasto verso le disuguaglianze di salute. Bisogna osservare, però, che un medico italiano, Giovanni Berlinguer, è stato chiamato a far parte della Commissione europea del WHO che ha per tema il contenimento delle disuguaglianze di salute.
Quali sono le iniziative da prendere per combattere le disuguaglianze di salute?
In primo luogo la preparazione di un set di indicatori che valutino le condizioni sanitarie all’interno dei diversi gruppi sociali. L’obiettivo finale di queste informazioni – che da noi non sono ancora disponibili su scala nazionale – non è la conoscenza della stratificazione sociale della salute e la sua evoluzione nel tempo, ma la possibilità di elaborare piani di intervento mirati, in grado di ridurre gli svantaggi di salute più evidenti. Sarebbe utile passare, inoltre, dalla medicina ‘di attesa’ a quella ‘di iniziativa’: cioè a programmi di prevenzione secondaria promossi dall’autorità sanitaria attraverso un periodico invito rivolto alla popolazione interessata. In alcuni settori – il monitoraggio del diabete e dell’ipertensione e lo screening di alcuni tumori (quello del collo dell’utero e della mammella) – la medicina di iniziativa ha dimostrato di poter ridurre le disuguaglianze di salute. In Italia viene applicata da diversi anni e con successo soprattutto in Toscana, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia.
Che cosa non dovrebbe mancare nella prossima legislatura?
G. Maciocco
Un grande passo indietro della politica "cattiva", quella che si occupa di poltrone, di primariati e affari, che fa dilagare il potere mafioso e un netto passo avanti della politica "buona", quella che si occupa di determinanti sociali di salute, di reddito delle famiglie, di coesione sociale, di istruzione e cultura, di ambiente e di traffico. Per fare ciò, tra le altre cose, nella prossima legislatura non dovrebbe mancare una radicale revisione dell’attuale federalismo in sanità.
Che sanità dovremmo augurarci ?

G. Padovani
Una sanità che non sia preoccupata esclusivamente del costo o della qualità delle prestazioni erogate. Gli Stati Uniti vantano da molti anni la più alta spesa del mondo per la salute e le performance più elevate in termini di ricerca scientifica e di livelli assistenziali. Eppure il sistema sanitario USA è palesemente iniquo. In realtà l’unico fondamento di una sanità per tutti è la cultura dei diritti: la convinzione, cioè, che salute e cure siano beni fondamentali di fronte ai quali i cittadini hanno ‘pari dignità’ (art.li 3 e 32 della Costituzione). Anche alla base del nostro servizio sanitario c’è il diritto alla cure. Tuttavia, soltanto quando questo principio diventerà nel Paese un patrimonio culturale condiviso e se sarà in grado di ispirare i piani sanitari e la prassi istituzionale (cioè l’attività di ASL, ospedali e territoriale), i traguardi di una salute e di una sanità per tutti saranno possibili. Dobbiamo anche augurarci un sistema-salute che restituisca ai malati la possibilità di decidere, insieme ai medici curanti, a quali cure sottoporsi e come morire: anche questi sono diritti inalienabili dei cittadini.
G. Maciocco
In primo luogo una sanità meno regionalizzata, con un governo centrale con più poteri di guida e di controllo. Una sanità che metta veramente al centro i bisogni dei cittadini: un obiettivo, più che altro uno slogan, facile a dirsi, ma molto difficile da praticare. Difficile perché richiede un cambio di paradigma nella cultura, prima ancora che nell’organizzazione della sanità.
Professor Maciocco, quale sarebbe il cambiamento necessario?
Il passaggio dal paradigma dell’attesa a quello dell’iniziativa. Il paradigma dell’attesa è quello classico dell’intervento nei confronti delle malattie acute (dove siamo abbastanza bravi, anche se possiamo migliorare). Il paradigma dell’iniziativa è quello necessario per affrontare la micidiale sfida delle malattie croniche (e qui invece siamo terribilmente indietro). La sanità d’iniziativa mette al centro il cittadino, e poi eventualmente il paziente, perché gli offre le conoscenze e gli strumenti per fare le scelte giuste per la propria salute, perché costruisce e presidia percorsi di cura (soprattutto di cure primarie) efficaci e appropriati, perché è community oriented, perché impegna medici e infermieri a lavorare in team e li remunera (anche) in base ai risultati di salute raggiunti.
16 aprile 2008
In primo piano
A conti fatti…
In che direzione vanno le politiche sanitarie nel mondo?
G. Maciocco
C’è stato un momento – i primi anni dell’amministrazione G. W. Bush, ovvero sull’onda apparentemente irresistibile ascesa del pensiero neo-conservatore – che la sanità mondiale sembrava precipitare nell’abisso del mercato assoluto, disordinato, crudele. La strategia neo-cons è clamorosamente franata su tutti i fronti, dalla politica internazionale (guerra in Irak in primo luogo) alla politica economica. Simbolico il licenziamento in tronco di Paul Wolfowiz (già viceministro della difesa nel governo Bush) dalla presidenza della Banca Mondiale, formidabile strumento di diffusione planetaria del mercato in sanità. Negli ultimi anni il vento è un po’ cambiato. Non possiamo ancora parlare di una netta inversione di tendenza, ma si respira un’aria diversa.
Ci può fare un esempio?
Per esempio, in Cina – uno dei paesi in cui le politiche di privatizzazione della sanità erano state più radicali e spietate (con l’80-90% della popolazione rurale totalmente privo di copertura assicurativa) – il governo ha recentemente deciso di considerare la sanità pubblica una priorità principale "con l’obiettivo di garantire a tutti i servizi sanitari essenziali per migliorare la loro salute e il loro benessere", iniettando nel sistema sanitario pubblico una quantità di risorse aggiuntive pari all’1-1,5% del PIL.
Negli Usa che aria si respira?
Negli USA i temi dell’assistenza sanitaria sono diventati una delle questioni più popolari della campagna elettorale e speriamo porti bene a Barak Obama un’affermazione del genere: "Alla base del mio programma c’è la copertura assicurativa per tutti gli Americani. Se te sei già assicurato, l’unica cosa che cambierà sarà il prezzo del tuo premio assicurativo. Esso sarà più basso. Se sei uno dei 45 milioni di Americani privi di assicurazione, tu l’avrai una volta che il mio programma sarà diventato legge"
Che cosa è stato fatto nel nostro Paese a garanzia dell’equità nella salute?
G. Padovani
Poco. Nell’ottobre 2005, a Londra, in un convegno promosso dalla Commissione europea del WHO, l’Italia è stata classificata tra i Paesi dove esistono impegni formali (commitment) a favore dell’equità ma mancano iniziative corrispondenti. L’Italia inoltre è stata catalogata tra i Paesi in cui il fenomeno della disuguaglianza nelle condizioni di salute è scarsamente (very little) monitorato. In una classifica ideale dei sistemi sanitari europei in ordine all’equità, a primi posti sono la Gran Bretagna, la Svezia, la Finlandia e l’Irlanda: ma anche Germania, Danimarca, Spagna, Ungheria e Lituania sono più attive del nostro Paese nel contrasto verso le disuguaglianze di salute. Bisogna osservare, però, che un medico italiano, Giovanni Berlinguer, è stato chiamato a far parte della Commissione europea del WHO che ha per tema il contenimento delle disuguaglianze di salute.
Quali sono le iniziative da prendere per combattere le disuguaglianze di salute?
In primo luogo la preparazione di un set di indicatori che valutino le condizioni sanitarie all’interno dei diversi gruppi sociali. L’obiettivo finale di queste informazioni – che da noi non sono ancora disponibili su scala nazionale – non è la conoscenza della stratificazione sociale della salute e la sua evoluzione nel tempo, ma la possibilità di elaborare piani di intervento mirati, in grado di ridurre gli svantaggi di salute più evidenti. Sarebbe utile passare, inoltre, dalla medicina ‘di attesa’ a quella ‘di iniziativa’: cioè a programmi di prevenzione secondaria promossi dall’autorità sanitaria attraverso un periodico invito rivolto alla popolazione interessata. In alcuni settori – il monitoraggio del diabete e dell’ipertensione e lo screening di alcuni tumori (quello del collo dell’utero e della mammella) – la medicina di iniziativa ha dimostrato di poter ridurre le disuguaglianze di salute. In Italia viene applicata da diversi anni e con successo soprattutto in Toscana, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia.
Che cosa non dovrebbe mancare nella prossima legislatura?
G. Maciocco
Un grande passo indietro della politica "cattiva", quella che si occupa di poltrone, di primariati e affari, che fa dilagare il potere mafioso e un netto passo avanti della politica "buona", quella che si occupa di determinanti sociali di salute, di reddito delle famiglie, di coesione sociale, di istruzione e cultura, di ambiente e di traffico. Per fare ciò, tra le altre cose, nella prossima legislatura non dovrebbe mancare una radicale revisione dell’attuale federalismo in sanità.
Che sanità dovremmo augurarci ?
G. Padovani
Una sanità che non sia preoccupata esclusivamente del costo o della qualità delle prestazioni erogate. Gli Stati Uniti vantano da molti anni la più alta spesa del mondo per la salute e le performance più elevate in termini di ricerca scientifica e di livelli assistenziali. Eppure il sistema sanitario USA è palesemente iniquo. In realtà l’unico fondamento di una sanità per tutti è la cultura dei diritti: la convinzione, cioè, che salute e cure siano beni fondamentali di fronte ai quali i cittadini hanno ‘pari dignità’ (art.li 3 e 32 della Costituzione). Anche alla base del nostro servizio sanitario c’è il diritto alla cure. Tuttavia, soltanto quando questo principio diventerà nel Paese un patrimonio culturale condiviso e se sarà in grado di ispirare i piani sanitari e la prassi istituzionale (cioè l’attività di ASL, ospedali e territoriale), i traguardi di una salute e di una sanità per tutti saranno possibili. Dobbiamo anche augurarci un sistema-salute che restituisca ai malati la possibilità di decidere, insieme ai medici curanti, a quali cure sottoporsi e come morire: anche questi sono diritti inalienabili dei cittadini.
G. Maciocco
In primo luogo una sanità meno regionalizzata, con un governo centrale con più poteri di guida e di controllo. Una sanità che metta veramente al centro i bisogni dei cittadini: un obiettivo, più che altro uno slogan, facile a dirsi, ma molto difficile da praticare. Difficile perché richiede un cambio di paradigma nella cultura, prima ancora che nell’organizzazione della sanità.
Professor Maciocco, quale sarebbe il cambiamento necessario?
Il passaggio dal paradigma dell’attesa a quello dell’iniziativa. Il paradigma dell’attesa è quello classico dell’intervento nei confronti delle malattie acute (dove siamo abbastanza bravi, anche se possiamo migliorare). Il paradigma dell’iniziativa è quello necessario per affrontare la micidiale sfida delle malattie croniche (e qui invece siamo terribilmente indietro). La sanità d’iniziativa mette al centro il cittadino, e poi eventualmente il paziente, perché gli offre le conoscenze e gli strumenti per fare le scelte giuste per la propria salute, perché costruisce e presidia percorsi di cura (soprattutto di cure primarie) efficaci e appropriati, perché è community oriented, perché impegna medici e infermieri a lavorare in team e li remunera (anche) in base ai risultati di salute raggiunti.