L’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) si è mai posta il problema di adottare un proprio Codice etico?
Certamente. Alcuni anni fa l’ANMCO aveva istituito una Commissione etica, con il mandato di fornire indicazioni al Direttivo sulle norme che regolino in modo trasparente i rapporti tra l’Associazione e i suoi soci da una parte e dall’altra le industrie che operano nel campo della Sanità (farmaceutiche, industrie di dispositivi, di apparecchiature diagnostiche, di test di laboratorio e di servizi). Per quanto riguarda le ricerche, il Centro Studi ANMCO si era già dato da diversi anni regole rigide e corrette, che sono sempre state rispettate, per accettare finanziamenti che riguardino ricerche proprie e l’endorsment a ricerche altrui.
Ci può spiegare?
Non vengono svolte dal Centro Studi ANMCO ricerche nelle quali l’industria sia proprietaria dei dati e non ci sia quindi la possibilità di valutare in proprio il database. Inoltre, viene fatta attenzione che i fondi provenienti dalle industrie siano distribuiti equamente, affinché nessuna industria abbia il monopolio; uno solo sponsor non può superare una percentuale del totale dei finanziamenti.
Per quanto riguarda invece gli altri ambiti di sponsorizzazione?
Lo zoccolo duro è stato proprio definire i criteri circa l’acquisizione e la gestione dei finanziamenti da parte dell’industria in ambiti distinti: fondi elargiti senza una specifica motivazione, e fondi per l’organizzazione dei congressi, delle campagne educazionali svolte su scala nazionale o dei corsi di aggiornamento organizzati localmente, ma approvati dal Direttivo. Ebbene, per questi quattro aspetti la Commissione etica ha presentato delle proposte in un Simposio nel corso del Congresso nazionale, al Direttivo e al Consiglio Nazionale. Infine, lo scorso autunno, è stata sottoposta al Direttivo una relazione alla quale però non è mai stata data risposta, nonostante varie sollecitazioni.
Come dovremmo interpretare questo silenzio: assenso o dissenso delle Codice proposto?
L’impressione è che non ci sia la disponibilità e la chiarezza per affrontare il problema, nonostante la buona volontà dimostrata nell’istituire una Commissione ad hoc. La Commissione ha formulato delle proposte che avrebbero dovuto esser discusse in un confronto aperto, scegliendo le soluzioni più appropriate e una eventuale gradualità di applicazione.
Mi scusi, ma quali erano le vostre proposte?
Sostanzialmente nella predisposizione di un contratto-tipo che l’ANMCO e i soci avrebbero dovuto adottare per accettare finanziamenti da parte di uno sponsor. Un contratto che garantisca elementari requisiti di trasparenza. Inoltre, avevamo suggerito all’ANMCO di farsi promotore di un’iniziativa che avrebbe dovuto coinvolgere le più grandi società scientifiche italiane per aprire un tavolo comune di confronto con l’industria. In questo modo ci sarebbe una maggior forza propositiva e una maggiore probabilità di ottenere dei risultati. Ma a questo documento non è stata data una risposta da sei mesi…
Questa mancanza di interesse avvalora l’ipotesi di Jerome Kassirer che nel suo libro "On the take. How medicine’s complicity with big business can endanger your health" identifica le Società di Cardiologia quali le più esposte ai conflitti di interessi?
Si deve partire dalla considerazione che la maggior parte delle società scientifiche vive sui proventi delle industrie e quindi teme che, mettendosi su un piano di confronto con l’industria, si riducano i finanziamenti al punto tale da non riuscire a mantenere l’attività scientifica e organizzativa. Una società come l’ANMCO, attraverso le sue consociate, è proprietaria di due alloggi nel centro di Firenze, ha una decina di impiegate e organizza annualmente un Congresso nazionale che costa 500-700 mila euro. Tutto questo non potrebbe essere mantenuto se il flusso di soldi provenienti dalle industrie diminuisse o addirittura si interrompesse. È proprio per questo che il Comitato etico aveva proposto all’ANMCO di farsi carico di un’iniziativa che coinvolgesse le altre società scientifiche, all’interno delle quali il problema del conflitto di interesse è sentito, ma – come succede per l’ANMCO – non si ha il coraggio di affrontare in modo trasparente.
Lei intravede un terreno di incontro e condivisione tra società scientifiche e industria?
Ho sempre sostenuto che non si dovrebbe demonizzare l’industria tanto meno la relazione del medico con l’industria. Condivido la posizione dell’Associazione Culturale Pediatri (ACP) con cui ho collaborato e di cui ho un rapporto di assoluta stima; però deve essere tenuto in considerazione che l’ACP è un’associazione piccola, per cui è più facile una scelta di rinuncia ai finanziamenti esterni. L’importante è che il confronto con l’industria sia trasparente. Ricordiamoci che lo sviluppo di molecole innovative, device e test diagnostici è avvenuto perché medici e industria hanno collaborato per trovare delle soluzioni a problemi clinici: questo è il bambino che non va buttato con l’acqua sporca dei rapporti economici che condizionano l’operato di una Società scientifica. Ma il fatto che non ci si voglia confrontare su cosa sia l’acqua sporca, mi fa pensare che sia più sporca di quello che ci immaginiamo.
Chiudere le porte all’industria non potrebbe incentivare il marketing meno trasparente e più pericoloso?
Non condivido questa posizione. Mettersi su questo piano equivarrebbe a dire "Non colpiamo gli spacciatori di droga per la preoccupazione che non avendo più nulla da fare si mettano a rapinare ed ammazzare la gente per guadagnarsi da vivere".
E non potrebbe avere come conseguenza un minor investimento da parte dell’industria nell’innovazione per far quadrare il proprio budget?
I meccanismi per cui si è ridotto il tasso di innovazione sono molto complessi. E non dipendono certo da una scarsità di profitti. Nel suo ultimo libro Marcia Angell scrive che la farmaceutica è l’industria che ha garantito maggiori profitti ai suoi azionisti. Il calo di innovazione va ascritto al costo degli investimenti sui farmaci e alla concentrazione delle industrie in un mercato mondiale globalizzato.
Un altro punto dibattuto nello scenario dei conflitti di interessi è quello dell’autoregolamentazione. Alcuni sostengono che è necessario sanzionare il medico perché non è in grado autoregolamentarsi. Lei che ne pensa?
I codici di autoregolamentazione spesso sono delle foglie di fico che ci si mette per dimostrare la propria bravura. Se non ci sono criteri per valutare il comportamento dei propri soci e non si prevedono sanzioni, i codici di autoregolamentazione non servono a nulla. Alcuni anni fa è stato redatto un Codice etico tra l’ordine dei medici e quello dei giornalisti affinché venissero pubblicate notizie corrette e non sensazionalistiche; è sotto gli occhi di tutti che il Codice viene quotidianamente disatteso. Non parcheggio in seconda fila per paura di prendere una multa e non per una questione etica…
Anche le sanzioni da sole non bastano: il divieto del parcheggio in seconda fila non viene rispettato quando manca il "controllore".
L’editoriale congiunto di Beppe Severgnini, Michele Serra e Massimo Gramellini sulla questioni delle morti dei giovani in incidenti stradali sottolinea chiaramente che il governo si limita a mettere il cartello sempre più grande "Attenti al cane", ma il problema di fondo è che manca il cane. Questo per dire che è inutile minacciare se poi non si mette in atto un sistema di controllo rigoroso.
Siamo in attesa che il Ministero della Salute e l’AIFA pubblichino il regolamento italiano relativo alla normativa europea, recepita lo scorso autunno, che vieta ai medici di ricevere qualsiasi forma di regalo dall’industria.
Immagino che questa norma verrà ostacolata in tutti i modi e con argomentazioni varie, dimenticando che è già stata imposta, dal primo ottobre scorso, non da qualche burocrate integralista, ma da una delle più prestigiose istituzioni scientifiche del mondo (la Stanford University). Un’istituzione che opera in un ordinamento politico che non può essere considerato comunista e che non è aprioristicamente contro il profitto dell’industria. Si tratta di norme di correttezza nei reciproci rapporti.
Lei crede che la qualità del dono possa fare la differenza: pagare al medico l’iscrizione a un Congresso in posti esotici ha lo stesso peso del regalargli l’abbonamento a una rivista scientifica?
Dobbiamo partire dal concetto che ogni regalo presuppone sempre un ritorno: i doni disinteressati sono pochi nel mondo reale. Se un uomo regala un mazzo di rose a una donna o la invita a cena non lo fa in modo del tutto disinteressato ed ha un significato diverso se le regala una penna o un week-end a Parigi… E le donne, lo sanno benissimo. Non si capisce come invece i medici si sentano immuni e siano persuasi di non essere influenzabili. Globalmente i regali vengono restituiti all’industria con gli interessi. È molto semplice: nessuna industria investirebbe 100 senza avere come ritorno 120, 150 o 200… Ciò nonostante, ogni medico è convinto che solo gli altri siano influenzabili; ma poiché tutti la pensano così, in realtà sono tutti a restituire con gli interessi questi doni.
Se questo vale per il singolo medico dovrebbe valere anche per la singola società scientifica…
Se una società organizza un Congresso in cui la stragrande maggioranza dei partecipanti viene invitata dalle industrie farmaceutiche che pagano viaggio, vitto, alloggio e iscrizione, la buona riuscita del Congresso significa che è stato fatto un servizio non ai medici, ma all’industria. Il cliente in questo caso non è il medico partecipante, ma l’industria che paga. Quindi la buona riuscita di un Congresso significa grosso modo che l’industria ha considerato di poter trarre vantaggio dagli investimenti, ma non necessariamente che i partecipanti si siano aggiornati in modo appropriato.
Allora non ci resta che… aspettare il Codice etico. Lei pensa che l’ANMCO affronterà fino in fondo questo problema lasciato in sospeso del Codice etico?
A questo punto non ci credo più molto. Proverò a mandare all’ANMCO questa intervista…
21 marzo 2007
In primo piano
Al cuor non si comanda?
L’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) si è mai posta il problema di adottare un proprio Codice etico?
Certamente. Alcuni anni fa l’ANMCO aveva istituito una Commissione etica, con il mandato di fornire indicazioni al Direttivo sulle norme che regolino in modo trasparente i rapporti tra l’Associazione e i suoi soci da una parte e dall’altra le industrie che operano nel campo della Sanità (farmaceutiche, industrie di dispositivi, di apparecchiature diagnostiche, di test di laboratorio e di servizi). Per quanto riguarda le ricerche, il Centro Studi ANMCO si era già dato da diversi anni regole rigide e corrette, che sono sempre state rispettate, per accettare finanziamenti che riguardino ricerche proprie e l’endorsment a ricerche altrui.
Ci può spiegare?
Non vengono svolte dal Centro Studi ANMCO ricerche nelle quali l’industria sia proprietaria dei dati e non ci sia quindi la possibilità di valutare in proprio il database. Inoltre, viene fatta attenzione che i fondi provenienti dalle industrie siano distribuiti equamente, affinché nessuna industria abbia il monopolio; uno solo sponsor non può superare una percentuale del totale dei finanziamenti.
Per quanto riguarda invece gli altri ambiti di sponsorizzazione?
Lo zoccolo duro è stato proprio definire i criteri circa l’acquisizione e la gestione dei finanziamenti da parte dell’industria in ambiti distinti: fondi elargiti senza una specifica motivazione, e fondi per l’organizzazione dei congressi, delle campagne educazionali svolte su scala nazionale o dei corsi di aggiornamento organizzati localmente, ma approvati dal Direttivo. Ebbene, per questi quattro aspetti la Commissione etica ha presentato delle proposte in un Simposio nel corso del Congresso nazionale, al Direttivo e al Consiglio Nazionale. Infine, lo scorso autunno, è stata sottoposta al Direttivo una relazione alla quale però non è mai stata data risposta, nonostante varie sollecitazioni.
Come dovremmo interpretare questo silenzio: assenso o dissenso delle Codice proposto?
L’impressione è che non ci sia la disponibilità e la chiarezza per affrontare il problema, nonostante la buona volontà dimostrata nell’istituire una Commissione ad hoc. La Commissione ha formulato delle proposte che avrebbero dovuto esser discusse in un confronto aperto, scegliendo le soluzioni più appropriate e una eventuale gradualità di applicazione.
Mi scusi, ma quali erano le vostre proposte?
Sostanzialmente nella predisposizione di un contratto-tipo che l’ANMCO e i soci avrebbero dovuto adottare per accettare finanziamenti da parte di uno sponsor. Un contratto che garantisca elementari requisiti di trasparenza. Inoltre, avevamo suggerito all’ANMCO di farsi promotore di un’iniziativa che avrebbe dovuto coinvolgere le più grandi società scientifiche italiane per aprire un tavolo comune di confronto con l’industria. In questo modo ci sarebbe una maggior forza propositiva e una maggiore probabilità di ottenere dei risultati. Ma a questo documento non è stata data una risposta da sei mesi…
Questa mancanza di interesse avvalora l’ipotesi di Jerome Kassirer che nel suo libro "On the take. How medicine’s complicity with big business can endanger your health" identifica le Società di Cardiologia quali le più esposte ai conflitti di interessi?
Si deve partire dalla considerazione che la maggior parte delle società scientifiche vive sui proventi delle industrie e quindi teme che, mettendosi su un piano di confronto con l’industria, si riducano i finanziamenti al punto tale da non riuscire a mantenere l’attività scientifica e organizzativa. Una società come l’ANMCO, attraverso le sue consociate, è proprietaria di due alloggi nel centro di Firenze, ha una decina di impiegate e organizza annualmente un Congresso nazionale che costa 500-700 mila euro. Tutto questo non potrebbe essere mantenuto se il flusso di soldi provenienti dalle industrie diminuisse o addirittura si interrompesse. È proprio per questo che il Comitato etico aveva proposto all’ANMCO di farsi carico di un’iniziativa che coinvolgesse le altre società scientifiche, all’interno delle quali il problema del conflitto di interesse è sentito, ma – come succede per l’ANMCO – non si ha il coraggio di affrontare in modo trasparente.
Lei intravede un terreno di incontro e condivisione tra società scientifiche e industria?
Ho sempre sostenuto che non si dovrebbe demonizzare l’industria tanto meno la relazione del medico con l’industria. Condivido la posizione dell’Associazione Culturale Pediatri (ACP) con cui ho collaborato e di cui ho un rapporto di assoluta stima; però deve essere tenuto in considerazione che l’ACP è un’associazione piccola, per cui è più facile una scelta di rinuncia ai finanziamenti esterni. L’importante è che il confronto con l’industria sia trasparente. Ricordiamoci che lo sviluppo di molecole innovative, device e test diagnostici è avvenuto perché medici e industria hanno collaborato per trovare delle soluzioni a problemi clinici: questo è il bambino che non va buttato con l’acqua sporca dei rapporti economici che condizionano l’operato di una Società scientifica. Ma il fatto che non ci si voglia confrontare su cosa sia l’acqua sporca, mi fa pensare che sia più sporca di quello che ci immaginiamo.
Chiudere le porte all’industria non potrebbe incentivare il marketing meno trasparente e più pericoloso?
Non condivido questa posizione. Mettersi su questo piano equivarrebbe a dire "Non colpiamo gli spacciatori di droga per la preoccupazione che non avendo più nulla da fare si mettano a rapinare ed ammazzare la gente per guadagnarsi da vivere".
E non potrebbe avere come conseguenza un minor investimento da parte dell’industria nell’innovazione per far quadrare il proprio budget?
I meccanismi per cui si è ridotto il tasso di innovazione sono molto complessi. E non dipendono certo da una scarsità di profitti. Nel suo ultimo libro Marcia Angell scrive che la farmaceutica è l’industria che ha garantito maggiori profitti ai suoi azionisti. Il calo di innovazione va ascritto al costo degli investimenti sui farmaci e alla concentrazione delle industrie in un mercato mondiale globalizzato.
Un altro punto dibattuto nello scenario dei conflitti di interessi è quello dell’autoregolamentazione. Alcuni sostengono che è necessario sanzionare il medico perché non è in grado autoregolamentarsi. Lei che ne pensa?
I codici di autoregolamentazione spesso sono delle foglie di fico che ci si mette per dimostrare la propria bravura. Se non ci sono criteri per valutare il comportamento dei propri soci e non si prevedono sanzioni, i codici di autoregolamentazione non servono a nulla. Alcuni anni fa è stato redatto un Codice etico tra l’ordine dei medici e quello dei giornalisti affinché venissero pubblicate notizie corrette e non sensazionalistiche; è sotto gli occhi di tutti che il Codice viene quotidianamente disatteso. Non parcheggio in seconda fila per paura di prendere una multa e non per una questione etica…
Anche le sanzioni da sole non bastano: il divieto del parcheggio in seconda fila non viene rispettato quando manca il "controllore".
L’editoriale congiunto di Beppe Severgnini, Michele Serra e Massimo Gramellini sulla questioni delle morti dei giovani in incidenti stradali sottolinea chiaramente che il governo si limita a mettere il cartello sempre più grande "Attenti al cane", ma il problema di fondo è che manca il cane. Questo per dire che è inutile minacciare se poi non si mette in atto un sistema di controllo rigoroso.
Siamo in attesa che il Ministero della Salute e l’AIFA pubblichino il regolamento italiano relativo alla normativa europea, recepita lo scorso autunno, che vieta ai medici di ricevere qualsiasi forma di regalo dall’industria.
Immagino che questa norma verrà ostacolata in tutti i modi e con argomentazioni varie, dimenticando che è già stata imposta, dal primo ottobre scorso, non da qualche burocrate integralista, ma da una delle più prestigiose istituzioni scientifiche del mondo (la Stanford University). Un’istituzione che opera in un ordinamento politico che non può essere considerato comunista e che non è aprioristicamente contro il profitto dell’industria. Si tratta di norme di correttezza nei reciproci rapporti.
Lei crede che la qualità del dono possa fare la differenza: pagare al medico l’iscrizione a un Congresso in posti esotici ha lo stesso peso del regalargli l’abbonamento a una rivista scientifica?
Dobbiamo partire dal concetto che ogni regalo presuppone sempre un ritorno: i doni disinteressati sono pochi nel mondo reale. Se un uomo regala un mazzo di rose a una donna o la invita a cena non lo fa in modo del tutto disinteressato ed ha un significato diverso se le regala una penna o un week-end a Parigi… E le donne, lo sanno benissimo. Non si capisce come invece i medici si sentano immuni e siano persuasi di non essere influenzabili. Globalmente i regali vengono restituiti all’industria con gli interessi. È molto semplice: nessuna industria investirebbe 100 senza avere come ritorno 120, 150 o 200… Ciò nonostante, ogni medico è convinto che solo gli altri siano influenzabili; ma poiché tutti la pensano così, in realtà sono tutti a restituire con gli interessi questi doni.
Se questo vale per il singolo medico dovrebbe valere anche per la singola società scientifica…
Se una società organizza un Congresso in cui la stragrande maggioranza dei partecipanti viene invitata dalle industrie farmaceutiche che pagano viaggio, vitto, alloggio e iscrizione, la buona riuscita del Congresso significa che è stato fatto un servizio non ai medici, ma all’industria. Il cliente in questo caso non è il medico partecipante, ma l’industria che paga. Quindi la buona riuscita di un Congresso significa grosso modo che l’industria ha considerato di poter trarre vantaggio dagli investimenti, ma non necessariamente che i partecipanti si siano aggiornati in modo appropriato.
Allora non ci resta che… aspettare il Codice etico. Lei pensa che l’ANMCO affronterà fino in fondo questo problema lasciato in sospeso del Codice etico?
A questo punto non ci credo più molto. Proverò a mandare all’ANMCO questa intervista…