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Classifiche sballate

Il secondo posto nella ‘classifica’ sulla performance dei sistemi sanitari mondiali che nello scorso giugno è stato attribuito dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) al servizio sanitario italiano non è frutto di distrazione o di un calcolo erroneo singolo. Sono gli obiettivi generali dell’iniziativa a essere sbagliati. È impensabile, infatti, dare un voto alla qualità ‘complessiva’ dei sistemi medici: indicazioni attendibili possono essere ottenute soltanto se il confronto tra diversi Paesi (ma 191 sono troppi) viene fatto su problemi specifici.

Mortalità infantile

Il primo esempio è quello del tasso di mortalità infantile, il dato che indica il numero dei bambini che muoiono prima di compiere 12 mesi di vita. Espresso in termini relativi, il dato nazionale (Istat 2002) è di 3,71 decessi ogni 1000 nati vivi, uno dei migliori al mondo per quello che viene considerato uno tra gli indicatori più appropriati, nei Paesi sviluppati, dell’efficacia dell’intero sistema sanitario. In Europa, soltanto Finlandia, Svezia e Germania hanno dati migliori: in Canada il dato sulla mortalità infantile è simile al nostro, a Cuba è del 5 per 1000, negli Stati Uniti del 7 per 1000.
L’Unicef e l’Oms, però, sono anche in possesso di informazioni sulla variabilità territoriale della mortalità infantile all’interno dei singoli Paesi. A questo riguardo il dato italiano non è affatto soddisfacente. Nel 2002, infatti, il tasso di mortalità infantile è del 2,3 in Toscana e del 2,4 in Friuli, mentre in Calabria e in Sicilia è del 5,1 e in Puglia del 4,9 (Istat 2002). Questo significa che un neonato del meridione ha una probabilità di morte di quasi tre volte più alta rispetto a quella di un coetaneo del centro-nord. Secondo le informazioni disponibili, vi sono Paesi (per esempio l’Inghilterra) che hanno dati nazionali di mortalità infantile poco più alti del nostro ma regionalmente più omogenei.

Spesa per la salute: pubblico vs privato

Un secondo esempio riguarda la spesa per la salute. Secondo i dati elaborati dall’Organizzazione Economica per la Cooperazione e lo Sviluppo (OECS o Organisation for Economic Co-operation and Development – OECD), dal 1991 al 2001 la spesa sanitaria pubblica è aumentata in Italia del 57% mentre quella ‘privata’, cioè le prestazioni sanitarie pagate dai cittadini, nello stesso periodo è aumentata del 119% (ASSR, La rincorsa tra finanziamento e spesa, in Monitor 16, 2006). In altre parole, nel nostro Paese si sta verificando quello che alcuni economisti hanno definito ‘un processo strisciante di privatizzazione‘, la quota dei servizi sanitari pagati dai cittadini tende ad aumentare più rapidamente che altrove.
I dati Istat e alcuni studi permettono anche di sapere quali sono i servizi sanitari pagati dai cittadini. Le prestazioni del medico di famiglia sono gratuite: questo è un fatto che molti servizi sanitari ci invidiano. Anche gran parte dei ricoveri rimane in Italia a carico dello Stato in ospedali pubblici o accreditati: mentre molti esami diagnostici e soprattutto molte visite specialistiche sono a pagamento. Infatti, anche escludendo le visite odontoiatriche (non sono tra le prestazioni garantite dal servizio sanitario), in Italia ben 47 visite specialistiche su 100 vengono pagate dai cittadini. Sono note anche le motivazioni di questa scelta (Istat, Indagine Multiscopo 2004-2005). Vi sono infatti settori, come quello ostetrico-ginecologico e della pediatria, dove il servizio sanitario non garantisce la scelta del medico: pur di essere seguito da un medico di fiducia, sempre lo stesso, il paziente preferisce allora pagare out of pocket, di tasca propria. Nel caso degli esami, invece, generalmente si paga per aggirare liste di attesa troppo lunghe.

Soddisfatti ma serve più equità

Quelli che abbiamo fatto non sono che esempi. Ma in linea generale si può dire che il confronto con altri Paesi su problemi specifici indica che il disegno complessivo del sistema medico italiano e le prestazioni erogate sono soddisfacenti. Esistono tuttavia dei punti deboli soprattutto per quanto riguarda l’equità del sistema: in certe aree geografiche, negli strati sociali più sfavoriti e per certi gruppi di persone (in particolare gli anziani) le possibilità di una buona assistenza medica in Italia sono carenti.

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