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Colesterolo vuol dire formaggio, capre, mucche e torrenti

La prevenzione e la gestione del rischio di ammalare è uno dei temi sui quali più si confrontano non solo gli epidemiologi e gli igienisti, ma anche i clinici. Come vede la questione un medico di medicina generale?

Vorrei fare una premessa: credo che nell’ambito delle malattie croniche, come lo sono molte di quelle che ci troviamo a curare, l’attenzione principale si dovrebbe rivolgere al rapporto che si viene a creare tra la malattia, il paziente ed il resto della sua vita. Il momento della diagnosi, se possibile, non deve coincidere con la fine di ciò che poteva esserci di positivo in un’esistenza. È questa integrazione tra la malattia e la vita la sfida fondamentale per la medicina che si occupa di cronicità. Perché se non riesce questa sintesi rimane veramente poco di ciò che comunemente chiamiamo “salute”, ed è a quel punto che il malato cronico, indipendentemente dal fatto che sia più o meno grave, è comunque irrimediabilmente malato.

In quest’ottica, il "rischio di ammalare" è parte del "rischio del vivere"?

Farei un esempio: immaginiamo che io, come medico, sia "bravissimo" nella conoscenza dei fattori di rischio cardiovascolare; potrei appassionarmi oltre modo ad ottenere nei miei pazienti valori sempre più bassi di colesterolo. Non leggiamo ogni giorno di studi sempre nuovi che ci dicono che più sono ridotti i valori, minore è il rischio di ammalare?

In effetti, sappiamo che è così. Dov’è il problema?

Personalmente credo molto nella medicina preventiva e nella discussione con il paziente sui fattori di rischio e in generale sugli stili di vita, però vorrei anche mantenere i piedi per terra. Non vorrei dimenticare che colesterolo significa anche formaggio e mercato o addirittura montagna, mucche, capre e torrenti, e che colesterolo significa anche pane e salame e significa uova, e quando dico uova sento il profumo della frittata di cipolle che si spande per la cucina.

Lo stesso profumo che sente nelle case dei suoi assistiti, no?

Sì; come medico di medicina generale mi trovo a esercitare la professione nei luoghi del quotidiano e nelle case della gente, e negli ambulatori dei sani, oltre che dei malati. Vivo e lavoro a Villar Perosa, un piccolo paese della Val Chisone in provincia di Torino. Siamo a seicento metri di quota circondati dalle montagne. Si tratta di una realtà alpina dove il legame con la terra è ancora abbastanza forte, ma coesiste con una tradizione industriale che risale alla prima metà del secolo scorso. Le fabbriche hanno comportato un’immigrazione abbastanza significativa sia da altri paesi della valle ma anche dal sud Italia. La mia professione è un osservatorio sulla realtà com’è descritta dalle statistiche mediche e come appare nei racconti della gente.

Un osservatorio strategico…

Sì, la medicina del territorio occupa una posizione strategica; è una posizione di confine ed i luoghi di confine, sebbene siano sempre un po’ difficili da gestire, sono anche interessanti, perché sono i luoghi del dubbio e degli interrogativi sul senso. Ne consegue una delle specificità più interessanti del nostro ruolo e cioè la necessità di una mediazione, il più possibile creativa ed equilibrata, tra due mondi spesso molto distanti. Nel paese dove abito, due mattine alla settimana la piazza si colora di mercato e io se posso ne approfitto per fare la spesa. I banchi di salumi e formaggi e quelli dei biscotti, i vestitini per i più piccoli e il camion che viene dal sud con i pomodori secchi, le olive e l’origano; e i banchi della verdura che sono tra i più colorati e cambiano un po’ ogni settimana, inseguendo le stagioni. Talvolta mi fermo davanti a quella collezione di animali strani che è il banco del pesce: le orate, i dentici e le seppioline, le trote salmonate e i polipi e i gamberetti, cubetti di ghiaccio e squame variopinte. Ci vuole del talento al banco del pesce.

In che senso “ci vuole talento”?

Cosa scegliere? E come si farà a pulirlo, e poi come cucinarlo? Mi viene da pensare a tutte le volte che da dietro la scrivania, nel mio camice bianco e con il neon che mi illumina, congedo il mio paziente con uno dei consigli più classici della medicina e cioè di mangiare più pesce. Non è vero che mangiamo troppo poco pesce? Nell’ambulatorio sembra tutto facile ma in piazza ti accorgi che per seguire i consigli del medico ci vuole talento.

Nel prescrivere una dieta o uno stile di vita diverso bisognerebbe dunque conoscere la vita del paziente, i suoi ritmi di lavoro, cosa sa fare, se è bravo a cucinare o meno.

Si sa che la medicina è fatta di due grandi ambiti: da un lato le conoscenze più strettamente scientifiche, la preparazione teorica e l’organizzazione del lavoro, e dall’altro la capacità di relazione che anch’essa può e deve essere appresa; ma ha anche molto a che fare con il nostro modo di essere più profondo, con le nostre esperienze di vita e la nostra storia personale.
A proposito delle conoscenze scientifiche che servono per fare il medico, mi sembra sempre più importante riuscire a mettere a fuoco un aspetto che è quello della complessità e dell’interdipendenza di tutti i fenomeni che si osservano.

La complessità che osserviamo in quanto ci circonda spesso ci spaventa.

La nostra abitudine mentale a riunire i fenomeni in malattie e considerarle ognuna in modo indipendente nasconde, a ben guardare, una certa aridità di fondo. E si tratta di un modo di ragionare che si sta facendo sempre più radicale, man mano che – con il progredire delle scienze mediche – tende a farsi strada un sapere sempre più specialistico.
A me sembra che, nel momento in cui si riescono a intuire delle correlazioni tra tutti questi fenomeni che sono separati solo artificialmente, la lettura che si riesce a fare della realtà diventi più vitale e interessante. Penso che questa, da un punto di vista strettamente scientifico, sia la specificità più bella della medicina generale. I nostri ambulatori sono luoghi dove tante osservazioni, che vengono da culture specialistiche, si integrano per prendere vita nel contesto della realtà complessiva di quel singolo paziente. Se c’è un contributo che la medicina generale può portare al dibattito medico scientifico, e alla salute e alla qualità della vita, penso proprio abbia a che fare con questa sua peculiarità: lo studio delle interrelazioni, non solo tra le diverse malattie nello stesso paziente ma anche e, soprattutto, tra le malattie, il paziente e il suo complesso contesto di esistenza.

Ed è proprio in questo contesto così complicato che la salute di ciascuno di noi si confronta con il rischio.

La medicina preventiva e l’attenzione ai fattori di rischio propongono una salute che non si può comprare né ottenere in tempi brevi. Qui la salute è parte di un progetto di vita ed ha qualcosa a che fare con il cammino personale. La prevenzione è impegnativa perché tante volte presuppone di faticare per cambiare delle abitudini che sono molto semplici e quotidiane ma proprio per questo estremamente radicate. È impegnativa soprattutto perché è per tutta la vita se no non serve, o serve a poco. Nel suo piccolo la medicina preventiva ha a che fare con una disciplina da praticare ogni giorno con molta costanza.

Può raccontarci qualcosa della sua esperienza di medico del territorio?

Il caso di Ornella, mia paziente da diversi anni che non vedo quasi mai. Ha 55 anni e non ha particolari problemi di salute. Anche le poche volte che non è stata bene si è dimostrata una di quelle persone che cercano di andare dal medico meno possibile. La classica paziente che manda in ambulatorio qualche parente per farsi prescrivere qualcosa per la tosse, ma lei possibilmente non si fa vedere. Si è anche dimostrata molto discontinua nella assunzione dei farmaci quando ne ha avuto bisogno. La cosa che sembra interessarla un po’ di più è la sua tendenza ad essere soprappeso. Infatti, un pomeriggio si presenta da me e mi dice: "Buongiorno dottore, sono venuta perché voglio perdere qualche chilo. Mi dia una dieta o mi mandi da qualcuno".
Le rispondo che prima conviene fare qualche esame per inquadrare il problema; la visito e cerco di indagare le sue abitudini alimentari. Dal momento che sembra abbastanza motivata, le spiego come è fatta una dieta e cosa si deve fare per seguirla correttamente.
Dopo alcune settimane viene la sua vicina di casa a farsi prescrivere dei farmaci e intanto mi porge una busta dicendomi: "Tenga, questi sono gli esami di Ornella: ha detto di dare pure a me la dieta per lei".
Sono un po’ perplesso perché la prescrizione di una dieta è un momento delicato ed è molto importante che sia presente il diretto interessato. Però, in considerazione del fatto che ci eravamo parlati la volta precedente e che probabilmente lei non sarebbe comunque più venuta, decido di stampare la dieta e darla alla vicina. Le spiego bene come deve essere letta e la prego di riferire ad Ornella. Faccio tutto sapendo che molto probabilmente è tempo sprecato.

E poi?

Dopo un mese e mezzo viene da me Ornella e la trovo decisamente molto bene.
– Dottore, guardi come sto bene! Ho perso diversi chili e mi sento proprio meglio. Ho fatto tutto come aveva detto lei e sono proprio contenta. Adesso però non voglio mollare!
In effetti nei mesi successivi Ornella si è presentata sempre per i controlli che abbiamo di volta in volta programmato. Non ha perso molti chili e non ha raggiunto completamente l’obiettivo, comunque è dimagrita in modo evidente e dice di sentirsi meglio. Mi pare anche che abbia cambiato in modo duraturo alcune sue cattive abitudini alimentari e le è sceso il colesterolo che prima era sempre alto.

Vanno così le cose nella medicina generale?

Credo di sì; si cerca di lavorare bene in un contesto che molto spesso non è quello ottimale. Per esempio con pazienti come Ornella, che sfuggono e se possono mandano altri al loro posto. Quando ho dato la dieta alla vicina ero sicuro di fare una cosa inutile e invece certe volte i risultati sono migliori delle aspettative. Anche perché, realisticamente, non ci si pone obiettivi troppo ambiziosi, accontentandosi di risultati parziali che sono comunque importanti soprattutto se sono duraturi.

Alla luce di quanto prima spiegava, è stato fortunato ad avere in Ornella una paziente non troppo affezionata a particolari cibi non propriamente salubri…

È vero: è particolarmente interessante lavorare sulle abitudini alimentari dei pazienti, perché a questo tipo di abitudini molti di noi hanno legato molteplici significati. Quello che mangiamo e beviamo ha molto a che fare con la nostra storia personale; ci sono sapori che ci ricordano l’infanzia, o comunque stagioni felici della vita ed altri che hanno il potere di darci un senso di appartenenza alla famiglia o alla comunità. È l’importante valenza affettiva del bere e del mangiare che di volta in volta possono assumere il significato di rituali estremamente confortanti.
Per questo che molto spesso è veramente difficile affrontare questi argomenti senza pregiudizi e con reale disponibilità a capire ed eventualmente a cambiare in modo definitivo qualche abitudine dannosa. Nello stesso tempo, però, forse proprio perché sappiamo di tutte queste difficoltà, c’è grande soddisfazione quando si riescono ad ottenere in questo campo dei risultati positivi.

Oltre alle abitudini alimentari, quali altri fattori di rischio sollecitano l’attenzione del medico di medicina generale?

Per esempio, l’abitudine al fumo, e anche in questo caso si tratta di un tipo di comportamento che ha forti implicazioni di carattere esistenziale e sociale. È importante che come medico non mi dimentichi di individuare quelli che sono fumatori tra i miei pazienti; devo mantenermi anche aggiornato sulle strategie utili a smettere di fumare, cercando sempre di proporle di volta in volta in un modo adeguato.
Un ambito che mi chiedo da tempo se possa avere a che fare con la medicina generale, ed in particolare con la medicina preventiva e con la riflessione sugli stili di vita, è quello della sicurezza stradale. In questi anni anche tra i miei pazienti alcuni sono stati coinvolti in gravi incidenti automobilistici; alcuni purtroppo sono morti e si trattava spesso di persone giovani.
Anche se è vero che tante volte si tratta di storie sfortunate, dove persone che stavano rispettando il codice della strada e del buon senso si trovano coinvolte in modo fortuito in gravi incidenti, mi sembra comunque che l’attenzione ai rischi della strada, e il tentativo di consolidare in tutti noi abitudini che facciano riferimento alla massima prudenza ed al rispetto delle regole, sia veramente importante.
Non so se e in quale modo tutto ciò possa realisticamente avere a che fare con la medicina generale, e io personalmente non me ne sono mai occupato, ma varrebbe la pena di pensarci.

Cosa potrebbe fare il medico?

Potrebbe cercare di introdurre questo tema nell’ambito del dialogo con alcune categorie di pazienti particolarmente a rischio per questo tipo di problemi; penso soprattutto al paziente giovane adulto. È proprio l’età in cui si incomincia a guidare, spesso con una maturità personale in via di completamento e con un senso di onnipotenza e di immortalità che è tipico di quella fase della vita.
In generale, comunque, per quanto riguarda l’attenzione agli stili di vita e la prevenzione, c’è un’ulteriore difficoltà.

A cosa si riferisce?

Credo che occorra trovare la forza e le motivazioni per impegnarsi a fondo senza però diventare degli ansiosi. Infatti, c’è sempre anche il rischio di diventare schiavi di un progetto di vita talmente improntato all’attenzione ed alla prudenza da risultare patologico. Anche questo è un atteggiamento abbastanza diffuso e riguarda tutte le persone che vivono nella paura, per esempio pensando ossessivamente al colesterolo. L’obiettivo è conservare il proprio corpo meglio possibile, senza però che la constatazione della sua fragilità diventi troppo invalidante per la voglia di fare progetti e credere nel futuro.
La medicina preventiva, inoltre, è interessante anche perché oltre a questa dimensione più intima e personale ne prevede una più ampia, che si potrebbe definire "politica". Infatti, la medicina preventiva ha molto a che fare con l’ecologia e la tutela ambientale, ed anche con l’attenzione ai luoghi di lavoro ed alla sicurezza. E sono tutti argomenti che proprio mentre sembrerebbero portarci molto lontano dai nostri ambulatori, hanno invece molto a che fare con la salute e con la cura.

 

10 novembre 2004

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