Una discarica sotto discussione è quella laziale di Malagrotta considerata illegale secondo gli standard sanitari, ma ancora in funzione grazie alle proroghe. L’ultima proroga firmata lo scorso 31 dicembre è di sei mesi. Di posticipo in posticipo viene soppesato il rischio ambientale e igienico-sanitario?
Normalmente nel proseguo per l’autorizzazione di un impianto di discarica vengono considerati tutti i fattori di rischio ambientali e sanitari. Nello specifico di Malagrotta l’Istituto Superiore di Sanità non è stato coinvolto, pertanto non siamo a conoscenza nel dettaglio di quali criteri siano stati adottati per il proseguo dell’attività. Tuttavia dobbiamo prendere atto che, in una gestione integrata dei rifiuti, l’impianto di discarica non potrà mai essere eliminato. È quindi impensabile chiudere definitivamente Malagrotta, senza avere un’alternativa già in funzione, perché privando il comune di Roma della discarica verrebbe compromesso l’intero sistema di gestione dei rifiuti del territorio.
Michele Civita, Assessore della Provincia di Roma, ha sottolineato proprio sulle nostre pagine che un intervento essenziale è la raccolta differenziata…
Per inquadrare il problema, partiamo dall’assunto che la raccolta differenziata è una delle fasi della gestione dei rifiuti e non la fase della gestione dei rifiuti. La raccolta differenziata non può rappresentare la panacea, la soluzione del problema dei rifiuti. Per poter essere efficace e portare a un reale recupero dei materiali, il processo di raccolta differenziata deve essere estremamente spinto, il che vuol dire che la carta deve essere pulita e quindi non deve essere venuta a contatto con alimenti; che la bottiglia di vetro deve essere di solo vetro e quindi deve essere lavata, senza etichetta e senza corona di metallo. Arrivare a questo livello di raccolta differenziata è piuttosto difficile, soprattutto in contesti territoriali di grandi dimensioni come lo è il comune Roma. Nella realtà dei fatti, non tutto quanto viene raccolto in modo differenziato nei cassonetti è recuperabile perché una parte è contaminato da altri materiali. Per quanto possiamo attivare raccolte differenziate spinte e procedere al recupero energetico e ai fini del compostaggio della frazione recuperabile, resta comunque una quota di rifiuti (dal 10 al 30 per cento del totale) non recuperabile e utilizzabile e che, volenti nolenti, dovrà andare allo smaltimento. È quindi impensabile raggiungere una condizione di rifiuti zero. Servono quindi tutti gli altri sistemi contemplati nella gestione dei rifiuti urbani: la selezione, il compostaggio, la produzione del CDR (ndr: Combustibile Derivato dai Rifiuti, noto anche come RDF, Refuse Derived Fuel), la discarica e l’inceneritore. In funzione degli ambiti territoriali si potrà valutare e scegliere qual è il processo da rafforzare; ma sempre e comunque andrà fatto ricorso a tutte le fasi della gestione. La discarica deve essere considerata come uno degli impianti necessari a chiudere il ciclo dei rifiuti.
Il problema dei rifiuti in un momento di crisi globale: quali sono le priorità nelle strategie da adottare?
La scala delle gerarchie nella gestione dei rifiuti è già nota da anni. La Commissione europea elabora strategie comunitarie in tema di gestione dei rifiuti che vengono revisionate e aggiornate con una certa frequenza. Al primo punto di detta strategia comunitaria, abbiamo la prevenzione della produzione dei rifiuti. Un flusso dei rifiuti su cui intervenire è sicuramente quello degli imballaggi, per tale tipologia di rifiuti è stata anche elaborata una Direttiva specifica che fissa degli obiettivi di recupero, purtroppo non attuati da tutti gli Stati membri. Dopo la prevenzione, abbiamo il riciclo come materia e il recupero energetico, seguono le varie fasi dello smaltimento dei rifiuti dove troviamo le discariche e gli inceneritori. Quindi la gerarchia è ormai nota e non c’è molto di nuovo da aggiungere, perché ad oggi non disponiamo di altre metodologie per una corretta gestione di rifiuti. Sia in tempi di crisi sia in tempi migliori dal punto di vista economico, la modalità per affrontare correttamente questa problematica rimane quella già nota e in atto.
Dunque una normativa europea per gestione dei rifiuti c’è. Viene rispettata? Ci sono ancora margini di miglioramento?
Per quanto riguarda la prevenzione della produzione di rifiuti e del recupero dei materiali, un po’tutti gli Stati membri (Italia inclusa) hanno agito poco nella riprogettazione dei beni in funzione di un loro agevole recupero alla fine del loro utilizzo. Qualcosa si sta muovendo nei settori dei veicoli e dei prodotti elettronici per garantire una minore quantità di sostanze tossiche, al fine di prevenirne il rilascio nell’ambiente, e una migliore recuperabilità dei materiali che li vanno a costituire. Riguardo lo smaltimento abbiamo norme sempre più severe da parte della Comunità europea per minimizzare gli impatti ambientali e sanitari delle discariche e inceneritori. Fino a dieci anni fa, non avevamo norme che fissavano criteri per la modalità di costruzione delle discariche e per l’accettabilità dei rifiuti nelle discariche stesse e anche per gli inceneritori. Oggi abbiamo direttive europee recepite dalla normativa italiana, molto stringenti, che, se attuate correttamente e monitorate nel tempo, l’impatto di questi impianti dovrebbe essere minimo e tranquillizzare la popolazione.
Dovrebbe?
Parlo al condizionale perché bisogna vedere se la normativa è stata applicata in toto e correttamente, e se ci sono stati dei controlli nel tempo.
La valutazione di impatto sulla salute condotta da agenzie sanitarie e istituzioni può e deve influire sul percorso decisionale? Può essere uno strumento per confrontarsi con la popolazione?
La valutazione di impatto sulla salute (VIS) non è obbligatoria per quanto riguarda gli impianti di gestione dei rifiuti. L’Istituto Superiore di Sanità insieme ad altri organismi scientifici nazionali, agli enti territoriali, Regioni e Ministero della salute, sta cercando di arrivare a predisporre delle linee-guida per la VIS che, nonostante non abbiano un valore giuridico, possano costituire un riferimento da poter utilizzare a livello nazionale. Il nostro obiettivo (e auspicio) è che le stime della valutazione di impatto sulla salute vengano condotte con gli stessi criteri di riferimento e modalità di lettura del “dato sanitario”.
In un processo di valutazione, la popolazione dovrebbe essere coinvolta?
Per quanto concerne la partecipazione della popolazione ho sempre sottolineato che in una procedura di valutazione di impatto sanitario il confronto pubblico con i cittadini sia fondamentale. In questi ultimi anni la costruzione di un impianto, non solo di discarica o incenerimento ma anche di compostaggio, è sempre stata fonte di conflitti con la popolazione. Probabilmente una causa è la mancanza di dialogo e la corretta informazione, che ormai purtroppo viene condotta esclusivamente dai politici a livello locale o dai media. Servirebbe una comunicazione da parte degli organismi scientifici e degli enti di controllo delle agenzie regionali e provinciali che dovrebbero confrontarsi con i cittadini e anche informarli correttamente. La fase di comunicazione e confronto è un elemento di fondamentale importanza.
Ci può riportare una vostra esperienza positiva in tal senso?
Direi l’esperienza nel pavese, per la costruzione di un inceneritore nel comune di Parona dove non siamo intervenuti noi direttamente come Istituto Superiore di Sanità. All’epoca era stato coinvolto il Centro di Ricerca Europeo di Ispra che ha fatto un’azione di monitoraggio pre- e post-costruzione dell’impianto molto dettagliato. Nel corso del monitoraggio è stata prodotta molta documentazione, inoltre sono stati organizzati degli incontri e conferenze con i cittadini. L’iter procedurale approvativo dell’impianto è stato molto lineare; non ci sono state grandi conflittualità e l’impianto è stato costruito più o meno nei tempi previsti e con un’accettazione da parte della cittadinanza a cui è stata fornita documentazione dettagliata sullo stato ambientale prima della costruzione dell’impianto e dopo la messa in esercizio dello stesso.
Che ne pensa di un coinvolgimento dei medici di medicina generale e dei pediatri per informare i cittadini sul ciclo di gestione dei rifiuti urbani e i reali rischi per la salute?
Sicuramente è un’ottima ipotesi di lavoro. Il dialogo del cittadino con il medico di base è fondato sulla fiducia, quindi è importante che il medico informi il paziente/cittadino sugli eventuali rischi associati alla gestione dei rifiuti. Uno dei problemi legati al problema dei rifiuti è la corretta informazione. Da chi viene principalmente informato il cittadino? Dai media per lo più, ma scorrettamente, purtroppo. Spesso sui giornali si parla di rifiuti in modo generico quando invece andrebbe fatta una distinzione tra i rifiuti urbani e rifiuti pericolosi che hanno un diverso impatto sull’ambiente e la salute. I rischi connessi alla discarica dei rifiuti urbani sono essenzialmente di tipo visivo per il depauperamento del territorio e di tipo olfattivo per gli odori emessi a causa della putrefazione della componente organica; i rischi reali da emissione di sostanze tossiche dovrebbero essere minimi se vengono rispettate le procedure raccomandate. Questo non vuol dire che non dovremmo controllare le acque sotterranee per potenziali fenomeni di contaminazione .
E i rischi da esposizione a sostanze tossiche?
Riguardano le discariche di rifiuti pericolosi che sono pochissime rispetto a quelle dei rifiuti urbani. In Italia ne abbiamo solo una operativa, che si trova in Piemonte. Poi ci sono le discariche di rifiuti speciali di provenienza industriale per le quali potrebbe esserci un livello di rischio leggermente superiore rispetto a quelle dei rifiuti urbani. La normativa italiana col Dlgs. 36/2003 recepisce la direttiva europea 99/31/CE che prevede tre tipologie differenti di discarica: discarica per rifiuti inerti, per rifiuti non pericolosi (tra i quali i rifiuti solidi urbani), per rifiuti pericolosi (tra cui ceneri leggere e scarti degli inceneritori). Quindi, ritornando al punto delicato dell’informazione al cittadino, è tecnicamente scorretto parlare di rischi generali connessi alla discarica senza fare un distinguo. Il medico di base e il pediatra di famiglia correttamente in-formati potrebbero avere un ruolo importante nel rassicurare i propri pazienti/cittadini sui reali rischi di vivere vicino a una discarica di rifiuti urbani.
Malagrotta andrebbe chiusa?
Il punto di partenza è sempre quello sottolineato all’inizio: i rifiuti vengono prodotti e quindi devono essere gestiti. Se la discarica di Malagrotta venisse chiusa, si dovrebbe avere un’altra discarica al fine di chiudere il ciclo di gestione dei rifiuti urbani e assimilati.
9 febbraio 2011
In primo piano
Consumismo a rifiuti zero? Un paradosso
Normalmente nel proseguo per l’autorizzazione di un impianto di discarica vengono considerati tutti i fattori di rischio ambientali e sanitari. Nello specifico di Malagrotta l’Istituto Superiore di Sanità non è stato coinvolto, pertanto non siamo a conoscenza nel dettaglio di quali criteri siano stati adottati per il proseguo dell’attività. Tuttavia dobbiamo prendere atto che, in una gestione integrata dei rifiuti, l’impianto di discarica non potrà mai essere eliminato. È quindi impensabile chiudere definitivamente Malagrotta, senza avere un’alternativa già in funzione, perché privando il comune di Roma della discarica verrebbe compromesso l’intero sistema di gestione dei rifiuti del territorio.
Michele Civita, Assessore della Provincia di Roma, ha sottolineato proprio sulle nostre pagine che un intervento essenziale è la raccolta differenziata…
Per inquadrare il problema, partiamo dall’assunto che la raccolta differenziata è una delle fasi della gestione dei rifiuti e non la fase della gestione dei rifiuti. La raccolta differenziata non può rappresentare la panacea, la soluzione del problema dei rifiuti. Per poter essere efficace e portare a un reale recupero dei materiali, il processo di raccolta differenziata deve essere estremamente spinto, il che vuol dire che la carta deve essere pulita e quindi non deve essere venuta a contatto con alimenti; che la bottiglia di vetro deve essere di solo vetro e quindi deve essere lavata, senza etichetta e senza corona di metallo. Arrivare a questo livello di raccolta differenziata è piuttosto difficile, soprattutto in contesti territoriali di grandi dimensioni come lo è il comune Roma. Nella realtà dei fatti, non tutto quanto viene raccolto in modo differenziato nei cassonetti è recuperabile perché una parte è contaminato da altri materiali. Per quanto possiamo attivare raccolte differenziate spinte e procedere al recupero energetico e ai fini del compostaggio della frazione recuperabile, resta comunque una quota di rifiuti (dal 10 al 30 per cento del totale) non recuperabile e utilizzabile e che, volenti nolenti, dovrà andare allo smaltimento. È quindi impensabile raggiungere una condizione di rifiuti zero. Servono quindi tutti gli altri sistemi contemplati nella gestione dei rifiuti urbani: la selezione, il compostaggio, la produzione del CDR (ndr: Combustibile Derivato dai Rifiuti, noto anche come RDF, Refuse Derived Fuel), la discarica e l’inceneritore. In funzione degli ambiti territoriali si potrà valutare e scegliere qual è il processo da rafforzare; ma sempre e comunque andrà fatto ricorso a tutte le fasi della gestione. La discarica deve essere considerata come uno degli impianti necessari a chiudere il ciclo dei rifiuti.
Il problema dei rifiuti in un momento di crisi globale: quali sono le priorità nelle strategie da adottare?
La scala delle gerarchie nella gestione dei rifiuti è già nota da anni. La Commissione europea elabora strategie comunitarie in tema di gestione dei rifiuti che vengono revisionate e aggiornate con una certa frequenza. Al primo punto di detta strategia comunitaria, abbiamo la prevenzione della produzione dei rifiuti. Un flusso dei rifiuti su cui intervenire è sicuramente quello degli imballaggi, per tale tipologia di rifiuti è stata anche elaborata una Direttiva specifica che fissa degli obiettivi di recupero, purtroppo non attuati da tutti gli Stati membri. Dopo la prevenzione, abbiamo il riciclo come materia e il recupero energetico, seguono le varie fasi dello smaltimento dei rifiuti dove troviamo le discariche e gli inceneritori. Quindi la gerarchia è ormai nota e non c’è molto di nuovo da aggiungere, perché ad oggi non disponiamo di altre metodologie per una corretta gestione di rifiuti. Sia in tempi di crisi sia in tempi migliori dal punto di vista economico, la modalità per affrontare correttamente questa problematica rimane quella già nota e in atto.
Dunque una normativa europea per gestione dei rifiuti c’è. Viene rispettata? Ci sono ancora margini di miglioramento?
Per quanto riguarda la prevenzione della produzione di rifiuti e del recupero dei materiali, un po’tutti gli Stati membri (Italia inclusa) hanno agito poco nella riprogettazione dei beni in funzione di un loro agevole recupero alla fine del loro utilizzo. Qualcosa si sta muovendo nei settori dei veicoli e dei prodotti elettronici per garantire una minore quantità di sostanze tossiche, al fine di prevenirne il rilascio nell’ambiente, e una migliore recuperabilità dei materiali che li vanno a costituire. Riguardo lo smaltimento abbiamo norme sempre più severe da parte della Comunità europea per minimizzare gli impatti ambientali e sanitari delle discariche e inceneritori. Fino a dieci anni fa, non avevamo norme che fissavano criteri per la modalità di costruzione delle discariche e per l’accettabilità dei rifiuti nelle discariche stesse e anche per gli inceneritori. Oggi abbiamo direttive europee recepite dalla normativa italiana, molto stringenti, che, se attuate correttamente e monitorate nel tempo, l’impatto di questi impianti dovrebbe essere minimo e tranquillizzare la popolazione.
Dovrebbe?
Parlo al condizionale perché bisogna vedere se la normativa è stata applicata in toto e correttamente, e se ci sono stati dei controlli nel tempo.
La valutazione di impatto sulla salute condotta da agenzie sanitarie e istituzioni può e deve influire sul percorso decisionale? Può essere uno strumento per confrontarsi con la popolazione?
La valutazione di impatto sulla salute (VIS) non è obbligatoria per quanto riguarda gli impianti di gestione dei rifiuti. L’Istituto Superiore di Sanità insieme ad altri organismi scientifici nazionali, agli enti territoriali, Regioni e Ministero della salute, sta cercando di arrivare a predisporre delle linee-guida per la VIS che, nonostante non abbiano un valore giuridico, possano costituire un riferimento da poter utilizzare a livello nazionale. Il nostro obiettivo (e auspicio) è che le stime della valutazione di impatto sulla salute vengano condotte con gli stessi criteri di riferimento e modalità di lettura del “dato sanitario”.
In un processo di valutazione, la popolazione dovrebbe essere coinvolta?
Per quanto concerne la partecipazione della popolazione ho sempre sottolineato che in una procedura di valutazione di impatto sanitario il confronto pubblico con i cittadini sia fondamentale. In questi ultimi anni la costruzione di un impianto, non solo di discarica o incenerimento ma anche di compostaggio, è sempre stata fonte di conflitti con la popolazione. Probabilmente una causa è la mancanza di dialogo e la corretta informazione, che ormai purtroppo viene condotta esclusivamente dai politici a livello locale o dai media. Servirebbe una comunicazione da parte degli organismi scientifici e degli enti di controllo delle agenzie regionali e provinciali che dovrebbero confrontarsi con i cittadini e anche informarli correttamente. La fase di comunicazione e confronto è un elemento di fondamentale importanza.
Ci può riportare una vostra esperienza positiva in tal senso?
Direi l’esperienza nel pavese, per la costruzione di un inceneritore nel comune di Parona dove non siamo intervenuti noi direttamente come Istituto Superiore di Sanità. All’epoca era stato coinvolto il Centro di Ricerca Europeo di Ispra che ha fatto un’azione di monitoraggio pre- e post-costruzione dell’impianto molto dettagliato. Nel corso del monitoraggio è stata prodotta molta documentazione, inoltre sono stati organizzati degli incontri e conferenze con i cittadini. L’iter procedurale approvativo dell’impianto è stato molto lineare; non ci sono state grandi conflittualità e l’impianto è stato costruito più o meno nei tempi previsti e con un’accettazione da parte della cittadinanza a cui è stata fornita documentazione dettagliata sullo stato ambientale prima della costruzione dell’impianto e dopo la messa in esercizio dello stesso.
Che ne pensa di un coinvolgimento dei medici di medicina generale e dei pediatri per informare i cittadini sul ciclo di gestione dei rifiuti urbani e i reali rischi per la salute?
Sicuramente è un’ottima ipotesi di lavoro. Il dialogo del cittadino con il medico di base è fondato sulla fiducia, quindi è importante che il medico informi il paziente/cittadino sugli eventuali rischi associati alla gestione dei rifiuti. Uno dei problemi legati al problema dei rifiuti è la corretta informazione. Da chi viene principalmente informato il cittadino? Dai media per lo più, ma scorrettamente, purtroppo. Spesso sui giornali si parla di rifiuti in modo generico quando invece andrebbe fatta una distinzione tra i rifiuti urbani e rifiuti pericolosi che hanno un diverso impatto sull’ambiente e la salute. I rischi connessi alla discarica dei rifiuti urbani sono essenzialmente di tipo visivo per il depauperamento del territorio e di tipo olfattivo per gli odori emessi a causa della putrefazione della componente organica; i rischi reali da emissione di sostanze tossiche dovrebbero essere minimi se vengono rispettate le procedure raccomandate. Questo non vuol dire che non dovremmo controllare le acque sotterranee per potenziali fenomeni di contaminazione .
E i rischi da esposizione a sostanze tossiche?
Riguardano le discariche di rifiuti pericolosi che sono pochissime rispetto a quelle dei rifiuti urbani. In Italia ne abbiamo solo una operativa, che si trova in Piemonte. Poi ci sono le discariche di rifiuti speciali di provenienza industriale per le quali potrebbe esserci un livello di rischio leggermente superiore rispetto a quelle dei rifiuti urbani. La normativa italiana col Dlgs. 36/2003 recepisce la direttiva europea 99/31/CE che prevede tre tipologie differenti di discarica: discarica per rifiuti inerti, per rifiuti non pericolosi (tra i quali i rifiuti solidi urbani), per rifiuti pericolosi (tra cui ceneri leggere e scarti degli inceneritori). Quindi, ritornando al punto delicato dell’informazione al cittadino, è tecnicamente scorretto parlare di rischi generali connessi alla discarica senza fare un distinguo. Il medico di base e il pediatra di famiglia correttamente in-formati potrebbero avere un ruolo importante nel rassicurare i propri pazienti/cittadini sui reali rischi di vivere vicino a una discarica di rifiuti urbani.
Malagrotta andrebbe chiusa?
Il punto di partenza è sempre quello sottolineato all’inizio: i rifiuti vengono prodotti e quindi devono essere gestiti. Se la discarica di Malagrotta venisse chiusa, si dovrebbe avere un’altra discarica al fine di chiudere il ciclo di gestione dei rifiuti urbani e assimilati.