Cosa è stato fatto a garanzia della Salute Mentale e di Genere nel nostro Paese?
Maura Cossutta
Un grande risultato è stato l’istituzione della "Commissione salute delle donne" , voluta dalla Ministra Livia Turco proprio perché l’approccio di genere alla salute deve diventare un’innovazione necessaria per la qualità, per l’efficacia, ma anche per l’equità del nostro Sistema sanitario nazionale (SSN).
La Commissione doveva avere la durata di tre anni – un tempo necessario per approfondire l’analisi e la proposta, dall’epidemiologia alla ricerca, dalla prevenzione alla cura, e per individuare specifici indicatori di genere nella salute – ed è riuscita a produrre, dopo solo nove mesi di lavoro, il primo "Rapporto sullo stato di salute delle donne in Italia".
La salute sessuale e riproduttiva e il percorso nascita sono stati ovviamente, per la loro rilevanza nelle politiche di promozione della salute delle donne, un tema centrale su cui la Commissione ha lavorato, ma non l’unico. Molto è stato fatto rispetto alle "evidenze di genere", che descrivono le differenze nella salute non ascrivibili alle differenze biologiche tra uomo e donna: dalle malattie cardiocircolatorie ai tumori; dalla disabilità alle malattie croniche; dagli infortuni e le malattie professionali alla violenza contro le donne. Per quanto riguarda le malattie cardiovascolari sappiamo, ad esempio, che sebbene siano considerate malattie maschili, rappresentano il killer numero uno per le donne di 44-59 anni e che invece i farmaci utilizzati non sono testati rispetto alle donne; sappiamo che la diagnosi è sottostimata e avviene in uno stadio più avanzato rispetto agli uomini, che la prognosi è più severa per pari età ed è maggiore il tasso di esiti infausti alla prima manifestazione di malattia e che le donne con meno facilità afferiscono alle terapie innovative.
Ma, oltre alla Commissione, sono state realizzate azioni specifiche del Ministero della Salute. Una serie di iniziative a tutto campo: dal disegno di legge sui diritti della partoriente alle linee di indirizzo nazionali sull’allattamento al seno; dai progetti di rafforzamento dei consultori – in particolare per la riduzione degli aborti tra le immigrate – all’attivazione di Master in Medicina di genere; dal potenziamento degli screening oncologici al Progetto "Sportello contro la violenza alle donne" nei Pronto Soccorso, con la previsione di un centro per ogni Regione aperto h24; dalla vaccinazione contro l’HPV a specifici progetti di ricerca finalizzata; dal Progetto Endometriosi all’Atto di indirizzo per la piena applicazione della legge 194.
Azioni concrete, progetti, quindi, ma anche risorse "vincolate", stanziate nella finanziaria, e anche ampliamento dei LEA.
È stata, inoltre, avviata, insieme al Ministero degli Esteri, la cosiddetta "diplomazia della salute", per un approccio alla salute delle donne realmente globale: sono stati finanziati specifici progetti per la Salute delle donne in Tunisia, in Marocco e in molti dei Paesi del Mediterraneo.
Marco D’Alema
Negli ultimi anni, purtroppo, abbiamo assistito a delle controversie abbastanza pretestuose. Una riguarda il cambiamento della legge sul Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), dove di fronte alle difficoltà che oggettivamente si riscontrano si ritiene che un prolungamento ed un’estensione del "ricovero coatto" siano la soluzione. Ma per fortuna esiste un fronte contrario in Italia.
Il nostro lavoro degli ultimi due anni è partito da una posizione opposta: confermiamo le ragioni della legge 180 e vediamo cosa resta da fare per superare le criticità. Questo significa non tanto lo sviluppo dei servizi, che sostanzialmente esistono in tutto il territorio nazionale seppure con forza diversa, quanto piuttosto affrontare le nuove patologie, cioè il cambiamento del quadro epidemiologico.
Ad esempio, l’ambito dell’età evolutiva. Da un lato le nuove patologie dell’infanzia con i disturbi generalizzati dello sviluppo e con la sindrome di iperattività e difficoltà di concentrazione (ADHD), dall’altro la dimensione dell’adolescenza con i disturbi della personalità, i disturbi del comportamento e l’abuso. È un ambito di grande rilevanza sul quale siamo intervenuti con il tavolo e il documento delle Regioni sull’orientamento sull’autismo, un disturbo che produce grande disabilità nel corso della vita e che andava affrontato.
Un altro tema è quello dei disturbi emotivi comuni, che vanno sotto il nome generico di depressione. Si tratta di disturbi molto più differenziati e complessi della depressione, che riguardano il 4/5 % della popolazione e determinano un grado di disabilità tale da richiedere un intervento che permetta di dare risposte appropriate, attraverso il coinvolgimento della Medicina di base.
Poi abbiamo affrontato il tema dalla migrazione: i migranti oggi in Italia costituiscono il 6% della popolazione; il 15% se si considera la fascia giovanile. È un problema di grande rilevanza dato l’aumento dell’incidenza di psicopatologie soprattutto nelle seconde generazioni.
Infine, la questione degli ospedali psichiatrici giudiziari. La riforma del sistema carcerario ha visto il completo trasferimento delle competenze, dell’assistenza e del personale dal Ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale, e si è conclusa con la firma del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri qualche giorno fa. Il provvedimento riguarda tutti gli interventi di salute mentale in carcere – circa il 16% dei detenuti ha problemi di salute mentale – e il tema del superamento dell’attuale assetto degli ospedali psichiatrici giudiziari – sono sei ed hanno circa 200 internati ciascuno -, per superare queste grosse aggregazioni di ricovero.
Abbiamo definito linee di indirizzo per la Salute mentale, oggetto di accordo stato-regioni, in cui sono state individuate le principali criticità, cercando di dare un orientamento culturale generale e alcune indicazioni pratiche.
Che cosa non dovrebbe mancare nella prossima legislatura?
Maura Cossutta
Nella Sanità, è necessario potenziare le azioni "di sistema", considerando il genere un determinante essenziale di salute. Insistere sulla costruzione, insieme ad altri Ministeri, di un Piano Intersettoriale per la Salute delle donne. Poi l’università, la formazione degli operatori, la ricerca e la gestione dei flussi informativi in modo da creare un collegamento con i flussi informativi di tutti gli altri dati. Infine, la programmazione e l’organizzazione dei servizi "orientati al genere".
É necessario, poi, costruire una cultura diversa. Servono leggi, risorse e servizi, ma serve, soprattutto, un cambiamento nella cultura e quindi nella Società. Un approccio di genere esige, infatti, un profondo cambiamento, che non riguarda solo gli operatori e il sistema sanitario. Salute delle donne significa cambiare le regole dell’organizzazione del lavoro, potenziare i servizi, ma, soprattutto, cambiare le relazioni e i ruoli tra donne e uomini. Serve una emancipazione complessiva della società, una cultura diversa, a favore delle donne. Per questo, la presenza delle donne nei luoghi decisionali diventa decisiva, a partire dalle posizioni apicali nel SSN, fino alle Società scientifiche, ma anche nella politica e nelle istituzioni. Il diritto alla salute delle donne è in questo senso il "diritto forte" che davvero promuove tutti gli altri diritti, economici, sociali, civili.
Marco D’Alema
Molto resta da fare.
Attivare un sistema democratico in cui la Salute mentale sia un patrimonio delle comunità, le quali devono riconoscerla come un loro obiettivo di salute. Perché salute mentale oggi significa qualità della vita, cioè un bene della comunità che deve preoccuparsene. Questo "occuparsene" può avvenire attraverso: le linee di indirizzo nazionale, il progetto obiettivo regionale, il piano locale per la Salute mentale. Un sistema, dunque, al quale contribuiscono tutte le istituzioni – comuni, province, regione, azienda Asl e cittadini con le loro associazioni di rappresentanza – per individuare le priorità e fare dei programmi di intervento sanitario, ma non solo. Perché la Salute mentale ha bisogno di quella dimensione dell’integrazione socio-sanitaria essenziale per i percorsi di cura, soprattutto per le persone che hanno un grado elevato di disabilità e, quindi, bisogni molteplici sia sul piano sanitario che sociale.
Mantenendo forte la linea culturale e organizzativa della 328 (Legge 328 del novembre 2000, "Legge quadro per la realizzazione del Sistema integrato di interventi e servizi sociali"), il problema è far funzionare questi meccanismi essenziali. Solo un sistema in cui funziona una vera sussidiarietà e una vera capacità di presa in carico sociale è possibile affrontare i complessi rapporti e i problemi della salute mentale. Non è facile sostituire un’ente così onnicomprensivo come il manicomio semplicemente con delle prestazioni sanitarie: o funziona il meccanismo della collaborazione all’interno dell’azienda tra diversi professionisti del territorio, quindi il rapporto dell’istituzione con i cittadini, oppure non potremmo mai rispondere ai bisogni di salute. Non a caso chi vuol cambiare ripensa ad una sorta di nuova "manicomializzazione", attraverso il prolungamento del TSO, che significa fare un passo indietro, ma soprattutto fare un passo illusorio. È una falsa soluzione, un po’ come la "politica dei muri": la dove c’è un problema ci metto un muro intorno e lo risolvo.
Basti pensare a quanto dice il Libro verde sulla salute mentale, presentato al Parlamento Europeo: "e grosse concentrazioni di ricovero ospedaliero di tipo psichiatrico sono motivo di stigma e nei lunghi tempi non migliorano la prognosi delle persone con disturbo psichiatrico.
I disturbi mentali si apprestano a diventare la prima causa di disabilità, almeno nel mondo occidentale, quindi sono un problema a cui bisogna dare una risposta. È chiaro che per farlo bisogna motivare le Regioni, oltre che fonti di finanziamento anche di tipo privato, a investire risorse in un campo di grande importanza. Perché la Salute mentale è un elemento essenziale della salute di ciascuno e va oltre il problema esclusivo dei pazienti gravi, presente solo nella fantasia che associa la salute mentale al manicomio. Sono necessarie risorse pubbliche in maniera più congrua alle necessità, ma anche la capacità di utilizzare risorse diverse. Ad esempio, oggi le associazioni sono in grado di proporre e mettere in rete risorse – case, risorse economiche, ambiti dove è possibile fare impresa sociale – ed è necessario cogliere queste risorse offrendo una garanzia pubblica per sostenerle e fornire loro assistenza psichiatrica, psicologica e infermieristica.
Che Sanità dovremmo augurarci?
Maura Cossutta
Se una società moderna è una società più equa, serve più welfare e serve più sanità pubblica e universalistica. A livello centrale, quindi, la prima funzione che dovrebbe essere potenziata è la garanzia dei LEA, che siano uniformi su tutto il territorio nazionale e che diventino strumento efficace per la riduzione delle disuguaglianze, territoriali ma anche sociali. Occorre che i LEA vengano monitorati rispetto ai risultati di salute, in relazione a quanta disuguaglianza è stata ridotta. La riforma del titolo V della Costituzione, che ha affidato alle Regioni l’autonomia organizzativa, non può significare secessionismo sanitario e non può, quindi, rimuovere la titolarità del livello centrale rispetto a questa funzione. Le Regioni devono poter rendere conto su come vengono applicate le leggi e devono concorrere alla riduzione delle disuguaglianze complessive del nostro paese.
La seconda funzione da potenziare è la promozione dell’empowerment delle persone: la consapevolezza e la partecipazione delle persone non devono, infatti, essere considerate semplici variabili affidate alla buona volontà di qualche bravo medico o direttore generale, ma devono diventare uno strumento intrinseco "di sistema" e devono essere intese come misura della qualità e dell’efficacia dei modelli operativi dei servizi.
E poi, la sostenibilità futura della nostra Sanità pubblica non potrà reggere se non si costruisce una strategia di politiche intersettoriali per la promozione della Salute. È essenziale il contributo delle politiche non sanitarie e la "valutazione di impatto sulla salute" di queste politiche dovrà diventare criterio delle scelte delle politiche di sviluppo. Le politiche ambientali, ma anche quelle dei trasporti, per le infrastrutture, fino a quelle occupazionali o fiscali hanno un "impatto"e una rilevanza sulle condizioni di salute della popolazione, e possono migliorare gli esiti delle politiche sanitarie senza aumento di spesa sanitaria.
Sostenibilità, qualità, equità non sono separabili, come appunto l’approccio di genere alla salute con grande evidenza ci suggerisce.
Marco D’Alema
Esistono una serie di priorità.
Definire meglio il livello e la modalità della partecipazione dei cittadini e il coinvolgimento delle istituzioni che li rappresentano. Parlo, ad esempio, dei Comuni e dei Sindaci nella loro funzione di garanti della salute dei cittadini. Ritengo che questo sia il contrappeso essenziale alla dimensione aziendalistica che rischia di essere eccessivamente schiacciata su quella economica. Il rischio, infatti, è di avere una Sanità tutta preoccupata del risparmio che "strozza" il problema vero: gli obiettivi di salute.
Per fortuna comincia a maturare la consapevolezza del bisogno di una partecipazione vera da parte del cittadino e del ruolo che l’informazione può svolgere per questa partecipazione. Nascono programmi di formazione pensati per le associazioni, ad esempio, l’Istituto Superiore di Sanità organizza corsi che spiegano come leggere una ricerca o un programma di intervento sanitario.
Sviluppare il territorio. È stata una parola d’ordine per tanti anni, ma ancora non è una realtà, perlomeno in molte regioni della Penisola. Il modello della "casa della salute", emblema della politica di Livia Turco, prevede un sistema di cure primarie sempre più vicine al domicilio del paziente, soprattutto per i problemi, di grande attualità, di lungo assistenza o per la patologia cronica. Sempre in questa ottica, ciò che avremmo voluto fare, ma non ne abbiamo avuto il tempo, è la riforma della Medicina di base e pediatrica. C’è bisogno di un servizio di Medicina di base che preveda assistenza 24 ore su 24, in modo da riuscire a prendersi la responsabilità dei propri assistiti e rispondere meglio alle esigenze di salute di ognuno.
Una specialistica ospedaliera sempre più qualificata ma ridotta nella sua estensione.
Garantire l’integrazione socio-sanitaria, raffinando i Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria (LEA), definendo i Livelli Essenziali di Assistenza Sociale (LIVEAS), per poter garantire un finanziamento degli interventi socio-sanitari integrati, e favorendo un meccanismo di confronto tra le Regioni che permetta di tradurre i LEA in azioni che siano eque ed omogenee sul territorio.
I LEA sono un sistema di garanzia che però non garantisce ancora a sufficienza, soprattutto in termini di omogeneità sul territorio nazionale. Ad esempio, rispetto alla salute mentale, i LEA sono ancora legati al concetto di prestazione, mentre abbiamo bisogno di definire pacchetti di intervento per problemi, che tengano conto di una molteplicità di interventi individualizzati rispetto al singolo problema così come di un budget individualizzato.
Il meccanismo di funzionamento dei LEA va raffinato per garantire l’omogeneità. Visto che compete loro l’organizzazione e la gestione, le Regioni hanno una responsabilità molto grande nel tradurre i LEA in interventi efficaci e nel raggiungere l’obiettivo di eguaglianza e di equità, trovando il modo di confrontarsi tra loro, affinché le organizzazioni efficaci ed efficienti siano riproducibili dagli altri.
9 aprile 2008
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Cosa è stato fatto a garanzia della Salute Mentale e di Genere nel nostro Paese?
Maura Cossutta
Un grande risultato è stato l’istituzione della "Commissione salute delle donne" , voluta dalla Ministra Livia Turco proprio perché l’approccio di genere alla salute deve diventare un’innovazione necessaria per la qualità, per l’efficacia, ma anche per l’equità del nostro Sistema sanitario nazionale (SSN).
La Commissione doveva avere la durata di tre anni – un tempo necessario per approfondire l’analisi e la proposta, dall’epidemiologia alla ricerca, dalla prevenzione alla cura, e per individuare specifici indicatori di genere nella salute – ed è riuscita a produrre, dopo solo nove mesi di lavoro, il primo "Rapporto sullo stato di salute delle donne in Italia".
La salute sessuale e riproduttiva e il percorso nascita sono stati ovviamente, per la loro rilevanza nelle politiche di promozione della salute delle donne, un tema centrale su cui la Commissione ha lavorato, ma non l’unico. Molto è stato fatto rispetto alle "evidenze di genere", che descrivono le differenze nella salute non ascrivibili alle differenze biologiche tra uomo e donna: dalle malattie cardiocircolatorie ai tumori; dalla disabilità alle malattie croniche; dagli infortuni e le malattie professionali alla violenza contro le donne. Per quanto riguarda le malattie cardiovascolari sappiamo, ad esempio, che sebbene siano considerate malattie maschili, rappresentano il killer numero uno per le donne di 44-59 anni e che invece i farmaci utilizzati non sono testati rispetto alle donne; sappiamo che la diagnosi è sottostimata e avviene in uno stadio più avanzato rispetto agli uomini, che la prognosi è più severa per pari età ed è maggiore il tasso di esiti infausti alla prima manifestazione di malattia e che le donne con meno facilità afferiscono alle terapie innovative.
Ma, oltre alla Commissione, sono state realizzate azioni specifiche del Ministero della Salute. Una serie di iniziative a tutto campo: dal disegno di legge sui diritti della partoriente alle linee di indirizzo nazionali sull’allattamento al seno; dai progetti di rafforzamento dei consultori – in particolare per la riduzione degli aborti tra le immigrate – all’attivazione di Master in Medicina di genere; dal potenziamento degli screening oncologici al Progetto "Sportello contro la violenza alle donne" nei Pronto Soccorso, con la previsione di un centro per ogni Regione aperto h24; dalla vaccinazione contro l’HPV a specifici progetti di ricerca finalizzata; dal Progetto Endometriosi all’Atto di indirizzo per la piena applicazione della legge 194.
Azioni concrete, progetti, quindi, ma anche risorse "vincolate", stanziate nella finanziaria, e anche ampliamento dei LEA.
È stata, inoltre, avviata, insieme al Ministero degli Esteri, la cosiddetta "diplomazia della salute", per un approccio alla salute delle donne realmente globale: sono stati finanziati specifici progetti per la Salute delle donne in Tunisia, in Marocco e in molti dei Paesi del Mediterraneo.
Marco D’Alema
Negli ultimi anni, purtroppo, abbiamo assistito a delle controversie abbastanza pretestuose. Una riguarda il cambiamento della legge sul Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), dove di fronte alle difficoltà che oggettivamente si riscontrano si ritiene che un prolungamento ed un’estensione del "ricovero coatto" siano la soluzione. Ma per fortuna esiste un fronte contrario in Italia.
Il nostro lavoro degli ultimi due anni è partito da una posizione opposta: confermiamo le ragioni della legge 180 e vediamo cosa resta da fare per superare le criticità. Questo significa non tanto lo sviluppo dei servizi, che sostanzialmente esistono in tutto il territorio nazionale seppure con forza diversa, quanto piuttosto affrontare le nuove patologie, cioè il cambiamento del quadro epidemiologico.
Ad esempio, l’ambito dell’età evolutiva. Da un lato le nuove patologie dell’infanzia con i disturbi generalizzati dello sviluppo e con la sindrome di iperattività e difficoltà di concentrazione (ADHD), dall’altro la dimensione dell’adolescenza con i disturbi della personalità, i disturbi del comportamento e l’abuso. È un ambito di grande rilevanza sul quale siamo intervenuti con il tavolo e il documento delle Regioni sull’orientamento sull’autismo, un disturbo che produce grande disabilità nel corso della vita e che andava affrontato.
Un altro tema è quello dei disturbi emotivi comuni, che vanno sotto il nome generico di depressione. Si tratta di disturbi molto più differenziati e complessi della depressione, che riguardano il 4/5 % della popolazione e determinano un grado di disabilità tale da richiedere un intervento che permetta di dare risposte appropriate, attraverso il coinvolgimento della Medicina di base.
Poi abbiamo affrontato il tema dalla migrazione: i migranti oggi in Italia costituiscono il 6% della popolazione; il 15% se si considera la fascia giovanile. È un problema di grande rilevanza dato l’aumento dell’incidenza di psicopatologie soprattutto nelle seconde generazioni.
Infine, la questione degli ospedali psichiatrici giudiziari. La riforma del sistema carcerario ha visto il completo trasferimento delle competenze, dell’assistenza e del personale dal Ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale, e si è conclusa con la firma del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri qualche giorno fa. Il provvedimento riguarda tutti gli interventi di salute mentale in carcere – circa il 16% dei detenuti ha problemi di salute mentale – e il tema del superamento dell’attuale assetto degli ospedali psichiatrici giudiziari – sono sei ed hanno circa 200 internati ciascuno -, per superare queste grosse aggregazioni di ricovero.
Abbiamo definito linee di indirizzo per la Salute mentale, oggetto di accordo stato-regioni, in cui sono state individuate le principali criticità, cercando di dare un orientamento culturale generale e alcune indicazioni pratiche.
Che cosa non dovrebbe mancare nella prossima legislatura?
Maura Cossutta
Nella Sanità, è necessario potenziare le azioni "di sistema", considerando il genere un determinante essenziale di salute. Insistere sulla costruzione, insieme ad altri Ministeri, di un Piano Intersettoriale per la Salute delle donne. Poi l’università, la formazione degli operatori, la ricerca e la gestione dei flussi informativi in modo da creare un collegamento con i flussi informativi di tutti gli altri dati. Infine, la programmazione e l’organizzazione dei servizi "orientati al genere".
É necessario, poi, costruire una cultura diversa. Servono leggi, risorse e servizi, ma serve, soprattutto, un cambiamento nella cultura e quindi nella Società. Un approccio di genere esige, infatti, un profondo cambiamento, che non riguarda solo gli operatori e il sistema sanitario. Salute delle donne significa cambiare le regole dell’organizzazione del lavoro, potenziare i servizi, ma, soprattutto, cambiare le relazioni e i ruoli tra donne e uomini. Serve una emancipazione complessiva della società, una cultura diversa, a favore delle donne. Per questo, la presenza delle donne nei luoghi decisionali diventa decisiva, a partire dalle posizioni apicali nel SSN, fino alle Società scientifiche, ma anche nella politica e nelle istituzioni. Il diritto alla salute delle donne è in questo senso il "diritto forte" che davvero promuove tutti gli altri diritti, economici, sociali, civili.
Marco D’Alema
Molto resta da fare.
Attivare un sistema democratico in cui la Salute mentale sia un patrimonio delle comunità, le quali devono riconoscerla come un loro obiettivo di salute. Perché salute mentale oggi significa qualità della vita, cioè un bene della comunità che deve preoccuparsene. Questo "occuparsene" può avvenire attraverso: le linee di indirizzo nazionale, il progetto obiettivo regionale, il piano locale per la Salute mentale. Un sistema, dunque, al quale contribuiscono tutte le istituzioni – comuni, province, regione, azienda Asl e cittadini con le loro associazioni di rappresentanza – per individuare le priorità e fare dei programmi di intervento sanitario, ma non solo. Perché la Salute mentale ha bisogno di quella dimensione dell’integrazione socio-sanitaria essenziale per i percorsi di cura, soprattutto per le persone che hanno un grado elevato di disabilità e, quindi, bisogni molteplici sia sul piano sanitario che sociale.
Mantenendo forte la linea culturale e organizzativa della 328 (Legge 328 del novembre 2000, "Legge quadro per la realizzazione del Sistema integrato di interventi e servizi sociali"), il problema è far funzionare questi meccanismi essenziali. Solo un sistema in cui funziona una vera sussidiarietà e una vera capacità di presa in carico sociale è possibile affrontare i complessi rapporti e i problemi della salute mentale. Non è facile sostituire un’ente così onnicomprensivo come il manicomio semplicemente con delle prestazioni sanitarie: o funziona il meccanismo della collaborazione all’interno dell’azienda tra diversi professionisti del territorio, quindi il rapporto dell’istituzione con i cittadini, oppure non potremmo mai rispondere ai bisogni di salute. Non a caso chi vuol cambiare ripensa ad una sorta di nuova "manicomializzazione", attraverso il prolungamento del TSO, che significa fare un passo indietro, ma soprattutto fare un passo illusorio. È una falsa soluzione, un po’ come la "politica dei muri": la dove c’è un problema ci metto un muro intorno e lo risolvo.
Basti pensare a quanto dice il Libro verde sulla salute mentale, presentato al Parlamento Europeo: "e grosse concentrazioni di ricovero ospedaliero di tipo psichiatrico sono motivo di stigma e nei lunghi tempi non migliorano la prognosi delle persone con disturbo psichiatrico.
I disturbi mentali si apprestano a diventare la prima causa di disabilità, almeno nel mondo occidentale, quindi sono un problema a cui bisogna dare una risposta. È chiaro che per farlo bisogna motivare le Regioni, oltre che fonti di finanziamento anche di tipo privato, a investire risorse in un campo di grande importanza. Perché la Salute mentale è un elemento essenziale della salute di ciascuno e va oltre il problema esclusivo dei pazienti gravi, presente solo nella fantasia che associa la salute mentale al manicomio. Sono necessarie risorse pubbliche in maniera più congrua alle necessità, ma anche la capacità di utilizzare risorse diverse. Ad esempio, oggi le associazioni sono in grado di proporre e mettere in rete risorse – case, risorse economiche, ambiti dove è possibile fare impresa sociale – ed è necessario cogliere queste risorse offrendo una garanzia pubblica per sostenerle e fornire loro assistenza psichiatrica, psicologica e infermieristica.
Che Sanità dovremmo augurarci?
Maura Cossutta
Se una società moderna è una società più equa, serve più welfare e serve più sanità pubblica e universalistica. A livello centrale, quindi, la prima funzione che dovrebbe essere potenziata è la garanzia dei LEA, che siano uniformi su tutto il territorio nazionale e che diventino strumento efficace per la riduzione delle disuguaglianze, territoriali ma anche sociali. Occorre che i LEA vengano monitorati rispetto ai risultati di salute, in relazione a quanta disuguaglianza è stata ridotta. La riforma del titolo V della Costituzione, che ha affidato alle Regioni l’autonomia organizzativa, non può significare secessionismo sanitario e non può, quindi, rimuovere la titolarità del livello centrale rispetto a questa funzione. Le Regioni devono poter rendere conto su come vengono applicate le leggi e devono concorrere alla riduzione delle disuguaglianze complessive del nostro paese.
La seconda funzione da potenziare è la promozione dell’empowerment delle persone: la consapevolezza e la partecipazione delle persone non devono, infatti, essere considerate semplici variabili affidate alla buona volontà di qualche bravo medico o direttore generale, ma devono diventare uno strumento intrinseco "di sistema" e devono essere intese come misura della qualità e dell’efficacia dei modelli operativi dei servizi.
E poi, la sostenibilità futura della nostra Sanità pubblica non potrà reggere se non si costruisce una strategia di politiche intersettoriali per la promozione della Salute. È essenziale il contributo delle politiche non sanitarie e la "valutazione di impatto sulla salute" di queste politiche dovrà diventare criterio delle scelte delle politiche di sviluppo. Le politiche ambientali, ma anche quelle dei trasporti, per le infrastrutture, fino a quelle occupazionali o fiscali hanno un "impatto"e una rilevanza sulle condizioni di salute della popolazione, e possono migliorare gli esiti delle politiche sanitarie senza aumento di spesa sanitaria.
Sostenibilità, qualità, equità non sono separabili, come appunto l’approccio di genere alla salute con grande evidenza ci suggerisce.
Marco D’Alema
Esistono una serie di priorità.
Definire meglio il livello e la modalità della partecipazione dei cittadini e il coinvolgimento delle istituzioni che li rappresentano. Parlo, ad esempio, dei Comuni e dei Sindaci nella loro funzione di garanti della salute dei cittadini. Ritengo che questo sia il contrappeso essenziale alla dimensione aziendalistica che rischia di essere eccessivamente schiacciata su quella economica. Il rischio, infatti, è di avere una Sanità tutta preoccupata del risparmio che "strozza" il problema vero: gli obiettivi di salute.
Per fortuna comincia a maturare la consapevolezza del bisogno di una partecipazione vera da parte del cittadino e del ruolo che l’informazione può svolgere per questa partecipazione. Nascono programmi di formazione pensati per le associazioni, ad esempio, l’Istituto Superiore di Sanità organizza corsi che spiegano come leggere una ricerca o un programma di intervento sanitario.
Sviluppare il territorio. È stata una parola d’ordine per tanti anni, ma ancora non è una realtà, perlomeno in molte regioni della Penisola. Il modello della "casa della salute", emblema della politica di Livia Turco, prevede un sistema di cure primarie sempre più vicine al domicilio del paziente, soprattutto per i problemi, di grande attualità, di lungo assistenza o per la patologia cronica. Sempre in questa ottica, ciò che avremmo voluto fare, ma non ne abbiamo avuto il tempo, è la riforma della Medicina di base e pediatrica. C’è bisogno di un servizio di Medicina di base che preveda assistenza 24 ore su 24, in modo da riuscire a prendersi la responsabilità dei propri assistiti e rispondere meglio alle esigenze di salute di ognuno.
Una specialistica ospedaliera sempre più qualificata ma ridotta nella sua estensione.
Garantire l’integrazione socio-sanitaria, raffinando i Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria (LEA), definendo i Livelli Essenziali di Assistenza Sociale (LIVEAS), per poter garantire un finanziamento degli interventi socio-sanitari integrati, e favorendo un meccanismo di confronto tra le Regioni che permetta di tradurre i LEA in azioni che siano eque ed omogenee sul territorio.
I LEA sono un sistema di garanzia che però non garantisce ancora a sufficienza, soprattutto in termini di omogeneità sul territorio nazionale. Ad esempio, rispetto alla salute mentale, i LEA sono ancora legati al concetto di prestazione, mentre abbiamo bisogno di definire pacchetti di intervento per problemi, che tengano conto di una molteplicità di interventi individualizzati rispetto al singolo problema così come di un budget individualizzato.
Il meccanismo di funzionamento dei LEA va raffinato per garantire l’omogeneità. Visto che compete loro l’organizzazione e la gestione, le Regioni hanno una responsabilità molto grande nel tradurre i LEA in interventi efficaci e nel raggiungere l’obiettivo di eguaglianza e di equità, trovando il modo di confrontarsi tra loro, affinché le organizzazioni efficaci ed efficienti siano riproducibili dagli altri.