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Rifiuti, discariche e salute: quanto sappiamo sulla nocività delle discariche?

La relazione tra smaltimento dei rifiuti urbani e salute dei cittadini è oggetto di ricerca da diversi anni. Molti studi epidemiologici sono stati condotti all’estero, dove vengono smaltiti in discarica molti più rifiuti che da noi. In Gran Bretagna arriva in discarica il 90 per cento dei rifiuti (in Italia il 50 per cento), otto inglesi su dieci vivono nel raggio di due chilometri dalle discariche. Questi studi hanno però dei punti deboli: cercare di descrivere una relazione causa-effetto tra discarica e salute della popolazione è difficile perché vi sono diversi fattori confondenti. Ad esempio, le discariche si trovano in zone di maggiore deprivazione sociale, con minore accesso ai servizi sanitari e, pertanto, le persone che vi abitano partono già da condizione svantaggiata. Le evidenze sono ancora limitate, ma se le analizziamo nella loro totalità, pulendo gli studi dai fattori confondenti, riscontriamo che le discariche “che fanno male” sono quelle di rifiuti tossici, quelle incontrollate o a gestione mista. Quando una discarica di rifiuti urbani viene gestita in modo ottimale le emissioni costituiscono un rischio minimo per la salute, di qualche ordine di grandezza inferiore al limite definito per legge.

Sappiamo come gestire le discariche in modo ottimale?

La direttive sulla gestione dei rifiuti attuali prevedono un ciclo integrato che parte dalla prevenzione della produzione del rifiuto, alla separazione e riciclo dei materiali e dell’energia contenuta nei rifiuti stessi, alla posa in discarica del residuo inutilizzabile. Quindi le discariche entrano in questo ciclo e, di fatto, ci sono delle normative tecniche sul ciclo integrato dei rifiuti dalla loro produzione alla discarica. Tali normative sono state definite al fine di garantire una gestione dei rifiuti secondo procedure validate per la salvaguardia della salute. Una parte del problema dello smaltimento dei rifiuti di cui si sta discutendo tanto è la gestione malandrina, abusiva, delle discariche che viene condotta per interessi economici. La premessa è che la discarica non può non essere fatta. Negli anni Sessanta si era ipotizzato di arrivare ai rifiuti zero ma è un po’ un’utopia: per quanto si incentivi il riciclaggio, il 30 per cento dei rifiuti finiscono in discarica e questo è inevitabile. Dunque, i rifiuti non possono non esserci: lo smaltimento in discarica è un male necessario, ma che può essere ben gestito per prevenire i danni sulla salute e i disagi sociali. Il punto cruciale è imparare a farlo e, soprattutto, applicare la normativa.

Nessun cittadino appoggerebbe la costruzione di una discarica vicino alla propria casa…

Il cittadino è preoccupato per i potenziali rischi per la salute, ma a questi si aggiungono altri fattori negativi legati alla discarica: l’aumento del traffico pesante, la polvere, gli odori, il paesaggio deturpato, eccetera. Il territorio nei dintorni di una discarica sarà un ambiente vulnerabile che dovrà essere controllato. Questi disagi non devono essere tralasciati. È importante far capire alla popolazione locale che c’è qualcuno che misura gli effetti possibili sulla salute e controlla la qualità dell’ambiente, e che se ben gestita la discarica non è nociva. Il dialogo è la base di tutto.

Ma chi dialoga con i cittadini?

Personalmente, nei comuni dove sono stato chiamato, ho verificato in prima persona che quando si spiega ai cittadini qual è la condizione e quali sono i pericoli con i dati veri, locali, alla mano e si propongono degli interventi è più facile aprire un dialogo. Bisogna garantire ai cittadini che lo smaltimento dei rifiuti venga svolto con modalità sicure, appropriate e durature.Bisogna garantire dei controlli regolari della discarica da affidare ad organi esterni (che non hanno interessi di parte) per “misurare” la qualità dell’ambiente sulla base non solo dei parametri autorizzati, ma anche dei disagi sociali per la popolazione locale. I soldi associati alle discariche sono molti e una parte andrebbe investita in tal senso.Chi fa la discarica dovrebbe mettersi una mano sul cuore e sul portafoglio, per rimborsare gli abitanti in prossimità della discarica garantendo i controlli e finanziando servizi sociali.

discaricaUno dei punti critici in medicina è il divario tra ricerca e pratica. Lo stesso si riscontra nell’epidemiologia del ciclo dei rifiuti?

La ricerca è un tassello importante nella gestione del problema rifiuti. In questa direzione ci stiamo muovendo anche al “Mario Negri” servendoci dei mezzi migliori che la tecnologia ci mette a disposizione. Ma quello che vorremmo fare ora è un passo ulteriore che è indispensabile per colmare il divario tra ricerca e pratica. Cioè ci interroghiamo su quella che è la realtà locale e stiamo cercando di coinvolgere le autorità locali per valutare insieme qual è la situazione, quali sono i problemi e come cambia l’ambiente nella sua totalità una volta che il parametro è rispettato o che lo sarà come nel caso del benzo(a)pirene. Per fare questo servono studi di lunga durata e la collaborazione di più parti.

A proposito di benzo(a)pirene, che ne pensa della Decreto Legislativo n. 155 che ha spostato al 31 dicembre 2012 il divieto di superamento del livello di 1 nanogrammo a metro cubo per il benzo(a)pirene?

In teoria, quando l’industria si trova in difficoltà oggettive nel garantire delle emissioni al di sotto delle concentrazioni di riferimento entra in gioco il legislatore che deve mediare tra la salute ambientale e i reali bisogni e le necessità dell’impresa. Per mediare il legislatore interviene con una deroga che si pone come obiettivo ultimo la concentrazione di riferimento alla quale la popolazione verrà esposta, acconsentendo che i limiti vengano superati temporaneamente, nell’attesa che l’impresa si attrezzi per raggiungere l’obiettivo. In questo modo concede che la popolazione sia temporaneamente esposta a una concentrazione maggiore. Questo dal punto di vista della tossicologia potrebbe essere accettabile se il periodo di deroga, durante il quale le emissioni sono maggiori di quelle convenute, è limitato. La dose cui si sarà esposti per tutta la vita, se la deroga è limitata, non cambia sostanzialmente, e quindi anche gli effetti, i rischi, che dipendono dalla dose, non cambiano significativamente. Ma la deroga deve essere limitata nel tempo e la teoria non deve diventare la pratica come scusa per non fare niente. Comunque sono operazioni non indolori da diversi punti di vista e che dovrebbero essere considerate caso per caso.

Allora non c’è nulla di cui preoccuparsi?

Mettendo sulla bilancia rischi e benefici, ripeto che la deroga di per sé potrebbe forse essere accettabile in determinati contesti specifici ma a patto che venga rispettata la data del 31 dicembre 2012. Questo anzi potrebbe essere forse un punto di dialogo serio e forte, per contrattare gli interventi e gli obiettivi che dovranno essere rispettati, e monitorati magari da enti esterni, entro la scadenza della deroga. Con l’arsenico non è stato così: dieci anni fa era stata data la deroga all’Italia e in questo lasso di tempo gli interventi “non sono stati sufficienti” per abbassare il livello di arsenico a livelli accettabili. Auspicherei di riscontrare un impegno vero e concreto da parte delle imprese e dei produttori degli impianti, perché la deroga per il benzo(a)pirene non venga ulteriormente prolungata.

 

13 dicembre 2010

L’Istituto “Mario Negri” di Milano ha effettuato degli studi per stimare il rischio tossicologico in due discariche controllate in Italia: una ad Agrigento e una a Rosignano Marittimo in Toscana. I risultati non hanno evidenziato situazioni di criticità.

Bibliografia

  • Davoli E, Fattore E, Paiano V, et al. Waste management health risk assessment: a case study of a solid waste landfill in South Italy. Waste Management 2010; 30: 1608–1613 [abstract]

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