Autunno è tempo di raccolta: funghi, uva, castagne e … notizie di mirabolanti molecole capaci di risolvere molti (se non tutti) dei troppi problemi di salute che ci affliggono. Prodotti destinati a "impattare drammaticamente" sull’assistenza sanitaria (attenzione: sia impattare, sia drammaticamente hanno valenza positiva nel sempre più sorprendente lessico del marketing farmaceutico). Autunno è tempo di raccolta soprattutto da quando le alchimie ministeriali hanno imposto che qualsiasi congresso accreditato si svolga al di fuori del periodo estivo (norma condivisibile: ai primi di ottobre, Taormina o Fort Village sono certamente più godibili che a Ferragosto, no?).
E insieme ai ricci di castagna, in autunno si schiudono i bozzoli che contengono i mille opinion leader nostrani o internazionali, pronti a partecipare in prima linea a nuove campagne di informazione che rendano cittadini e pazienti sempre più consapevoli: anzi, empowered, che fa più chic. Potenziati dal sapere che la meravigliomicina ci proteggerà da un nuovo ictus e che il fantastumab prolungherà "l’intervallo libero da malattia oncologica" (di venticinque giorni e a prezzo di una tossicità difficilmente governabile: ma questo è meglio non dirlo, qualcuno si potrebbe impressionare). Potenziati anche dall’apprendere che muovere ritmicamente le gambe mentre aspettiamo i risultati di un esame è una malattia da trattare, così come dal sapere che i valori di colesterolo o di pressione arteriosa che pensavamo confortanti sono invece il segno preoccupante di una premalattia o di una patologia sottosoglia.
Mille opinion leader la cui agenda fatica a tenere traccia di tutti gli impegni, soprattutto nel caso non infrequente di presenza concomitante a diversi simposi satellite presso lo stesso congresso. Il dono della "bilocazione", infatti, non è più prerogativa dei grandi santi ma scelta (questa sì, consapevole) di "esperti" che sanno quanto sia importante non abbandonare lo sponsor vecchio per il nuovo, così che meravigliomicina o fantastumab difficilmente saranno una sostituzione; piuttosto "un nuovo alleato che si aggiunge al nostro armamentario terapeutico". Ad ascoltarli, i KOL troveranno forse pochi congressisti ma gran parte dei giornalisti che contano e che, all’indomani, riferiranno puntualmente di "iceberg di patologie sommerse", di "grandi cambiamenti per malati e familiari", di farmaci salvacuore ma anche di apparecchiature diagnostiche da fantascienza, videocapsule o programmi di screening disponibili – guarda caso – presso istituti privati di ricovero e cura a carattere … fantascientifico.
Assai spesso, a scrivere gli articoli di cui parla Roberto Banfi saranno giovanotti alle prime armi, attratti dalla location più o meno tropicale o dalla ospitalità generosa offerta da agenzie di pubbliche relazioni per conto dell’una o dell’altra azienda (la crisi dell’advertising ha coinciso con l’esplodere delle "public relations"…) (1). Scriveranno il loro pezzo guidati da comunicati stampa a senso unico che non citeranno mai lo sponsor, né si soffermeranno sui vantaggi "marginali" del prodotto, né sui costi necessari per il suo acquisto da parte del servizio sanitario (2). Giornalisti in formazione, cottimisti costretti all’ottimismo per non essere d’impaccio agli ottimi rapporti tra l’industria e i giornali a cui l’articolo è destinato, quotidiani o settimanali remunerati con sostanziosi contratti di pubblicità istituzionale. Scriveranno il loro pezzo quasi in diretta, non avendo tempo o voglia di approfondire o documentarsi; dopo tutto, abbonarsi a riviste o a banche dati costa un sacco di soldi e, a forza di 30 euro ad articolo, la Cochrane Library resta un miraggio. Alla fine, raramente la loro firma apparirà in calce all’articolo (3).
Roberto Banfi si chiede se, invece di un cittadino empowered, non si corra il rischio di costruire dei consumatori weakened. Certo, è un rischio che si corre, anche perché la filiera della dis-informazione è perfettamente oliata e funzionante. Nessun "conflitto" di interesse: anzi, interessi sinergici e convergenti tra società scientifiche, università, agenzie di pubbliche relazioni e case editrici; è molto difficile invertire la rotta, ma la buona notizia è che in diverse redazioni lavorano ancora giornalisti coscienziosi che declinano gli inviti loro rivolti o che riportano notizie con equilibrio e senza enfasi, che si documentano prima di scrivere, consci della delicatezza del loro ruolo. Si tratta, spesso, di ragazzi formati in corsi come il Master di Comunicazione della Scienza di Trieste o l’Open Lab dell’università di Pavia.
E poi, per … fortuna (?), la stampa è in crisi e i nostri figli adolescenti sono più attenti di noi a selezionare l’informazione; il loro critical appraisal è un’attività condivisa: crescono "valutando criticamente" insieme ad amici e sconosciuti libri o dischi o professori, e continueranno a farlo in ambiti diversi. Al diavolo gli "esperti", insomma: ciascuno diventerà editore filtrando e costruendo saperi. Già oggi è il web, l’esperto.
2 marzo 2011
In primo piano
Cottimisti costretti all’ottimismo
Autunno è tempo di raccolta: funghi, uva, castagne e … notizie di mirabolanti molecole capaci di risolvere molti (se non tutti) dei troppi problemi di salute che ci affliggono. Prodotti destinati a "impattare drammaticamente" sull’assistenza sanitaria (attenzione: sia impattare, sia drammaticamente hanno valenza positiva nel sempre più sorprendente lessico del marketing farmaceutico). Autunno è tempo di raccolta soprattutto da quando le alchimie ministeriali hanno imposto che qualsiasi congresso accreditato si svolga al di fuori del periodo estivo (norma condivisibile: ai primi di ottobre, Taormina o Fort Village sono certamente più godibili che a Ferragosto, no?).
E insieme ai ricci di castagna, in autunno si schiudono i bozzoli che contengono i mille opinion leader nostrani o internazionali, pronti a partecipare in prima linea a nuove campagne di informazione che rendano cittadini e pazienti sempre più consapevoli: anzi, empowered, che fa più chic. Potenziati dal sapere che la meravigliomicina ci proteggerà da un nuovo ictus e che il fantastumab prolungherà "l’intervallo libero da malattia oncologica" (di venticinque giorni e a prezzo di una tossicità difficilmente governabile: ma questo è meglio non dirlo, qualcuno si potrebbe impressionare). Potenziati anche dall’apprendere che muovere ritmicamente le gambe mentre aspettiamo i risultati di un esame è una malattia da trattare, così come dal sapere che i valori di colesterolo o di pressione arteriosa che pensavamo confortanti sono invece il segno preoccupante di una premalattia o di una patologia sottosoglia.
Mille opinion leader la cui agenda fatica a tenere traccia di tutti gli impegni, soprattutto nel caso non infrequente di presenza concomitante a diversi simposi satellite presso lo stesso congresso. Il dono della "bilocazione", infatti, non è più prerogativa dei grandi santi ma scelta (questa sì, consapevole) di "esperti" che sanno quanto sia importante non abbandonare lo sponsor vecchio per il nuovo, così che meravigliomicina o fantastumab difficilmente saranno una sostituzione; piuttosto "un nuovo alleato che si aggiunge al nostro armamentario terapeutico". Ad ascoltarli, i KOL troveranno forse pochi congressisti ma gran parte dei giornalisti che contano e che, all’indomani, riferiranno puntualmente di "iceberg di patologie sommerse", di "grandi cambiamenti per malati e familiari", di farmaci salvacuore ma anche di apparecchiature diagnostiche da fantascienza, videocapsule o programmi di screening disponibili – guarda caso – presso istituti privati di ricovero e cura a carattere … fantascientifico.
Assai spesso, a scrivere gli articoli di cui parla Roberto Banfi saranno giovanotti alle prime armi, attratti dalla location più o meno tropicale o dalla ospitalità generosa offerta da agenzie di pubbliche relazioni per conto dell’una o dell’altra azienda (la crisi dell’advertising ha coinciso con l’esplodere delle "public relations"…) (1). Scriveranno il loro pezzo guidati da comunicati stampa a senso unico che non citeranno mai lo sponsor, né si soffermeranno sui vantaggi "marginali" del prodotto, né sui costi necessari per il suo acquisto da parte del servizio sanitario (2). Giornalisti in formazione, cottimisti costretti all’ottimismo per non essere d’impaccio agli ottimi rapporti tra l’industria e i giornali a cui l’articolo è destinato, quotidiani o settimanali remunerati con sostanziosi contratti di pubblicità istituzionale. Scriveranno il loro pezzo quasi in diretta, non avendo tempo o voglia di approfondire o documentarsi; dopo tutto, abbonarsi a riviste o a banche dati costa un sacco di soldi e, a forza di 30 euro ad articolo, la Cochrane Library resta un miraggio. Alla fine, raramente la loro firma apparirà in calce all’articolo (3).
Roberto Banfi si chiede se, invece di un cittadino empowered, non si corra il rischio di costruire dei consumatori weakened. Certo, è un rischio che si corre, anche perché la filiera della dis-informazione è perfettamente oliata e funzionante. Nessun "conflitto" di interesse: anzi, interessi sinergici e convergenti tra società scientifiche, università, agenzie di pubbliche relazioni e case editrici; è molto difficile invertire la rotta, ma la buona notizia è che in diverse redazioni lavorano ancora giornalisti coscienziosi che declinano gli inviti loro rivolti o che riportano notizie con equilibrio e senza enfasi, che si documentano prima di scrivere, consci della delicatezza del loro ruolo. Si tratta, spesso, di ragazzi formati in corsi come il Master di Comunicazione della Scienza di Trieste o l’Open Lab dell’università di Pavia.
E poi, per … fortuna (?), la stampa è in crisi e i nostri figli adolescenti sono più attenti di noi a selezionare l’informazione; il loro critical appraisal è un’attività condivisa: crescono "valutando criticamente" insieme ad amici e sconosciuti libri o dischi o professori, e continueranno a farlo in ambiti diversi. Al diavolo gli "esperti", insomma: ciascuno diventerà editore filtrando e costruendo saperi. Già oggi è il web, l’esperto.
Bibliografia