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Disturbi alimentari: più strutture riabilitative?

Anoressia e bulimia sono patologie frequenti, pericolose e costose. Costose per chi ne soffre, per le famiglie e per la società. E difficili da curare, tanto da richiedere il concorso di specialisti diversi, in una strategia multidimensionale ben concertata. Nel 1998 il Ministero ha proposto una rete di assistenza a modello integrato, attribuendo un peso a ciascun livello di assistenza, valutandone costi e benefici: 60% assistenza ambulatoriale; 20% intervento semi-residenziale diagnostico-terapeutico (day hospital); 10% assistenza ospedaliera per terapie complesse o d’emergenza; 10% strutture riabilitative a medio e lungo termine. A quasi dieci anni di distanza tali indicazioni si sono mostrate davvero costo-efficaci. Dove, in alternativa, sarebbe necessario appoggiare di più la cura. Rispondono Laura Dalla Ragione e Gianfranco Palma.

Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile del Centro disturbi del comportamento alimentare, Palazzo Francisci di Todi, Asl 2 dell’Umbria

Nel 1997 la Commissione ministeriale competente fornì le linee di indirizzo per un modello organizzativo dei servizi dedicati al trattamento e alla prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare, ipotizzando quattro livelli di trattamento, a seconda delle necessità di intervento (ambulatorio, day-hospital, ricovero ospedaliero in fase acuta e residenzialità extraospedaliera) prospettando una futura rete di assistenza su tutto il territorio nazionale. Da allora le Regioni si sono mosse, ma non tutte né con uguale passo.
Purtroppo, però, in questi nove anni nessuno si è preoccupato di conoscere quale evoluzione abbia avuto la Sanità pubblica nel settore, e non è stato fatto nessun monitoraggio per verificare la traduzione concreta di quelle indicazioni sui diversi territori.
Questo nonostante ci si trovi di fronte ad un disturbo con basi psicopatologiche che dilaga e domina le azioni di tanti giovani in maniera ossessiva: i dati ministeriali più recenti dicono che 2 milioni di ragazzi in Italia soffrono di disturbi del comportamento alimentare e decine di milioni nel mondo si ammalano ogni anno. Ogni 100 ragazze, tra i 12 e i 25 anni, 10 soffrono di qualche disturbo collegato all’alimentazione, 1-2 delle forme più gravi come anoressia e bulimia. Dati, peraltro, che sottostimano il fenomeno, poiché si riferiscono a quasi dieci anni fa e non tengono conto né dei maschi né delle donne over 25.
I quattro livelli di assistenza sono tutti necessari. L’uno non esclude l’altro, anzi la presenza di una rete completa in tutte le sue parti garantisce l’appropriatezza dell’intervento e soprattutto la presa in carico del paziente e della sua famiglia .
L’ambulatorio è e deve rimanere il punto centrale dell’intervento ed è giusto che risponda al 60% della domanda di cura. È necessario però che tale intervento garantisca un reale approccio integrato che comprenda sia l’approccio nutrizionale sia quello psicologico.
Il day hospital e l’intervento sull’urgenza garantiscono la presa in carico in un momento più critico della terapia, ugualmente importante.
I livelli residenziali e semiresidenziali, necessariamente extraospedalieri, garantiscono che la riabilitazione (che ha una durata di 3-4 mesi) possa avvenire in un ambiente adeguato e "osmotico", dove giovani adolescenti e a volte bambine possano essere curate senza avere tutti gli effetti negativi di una lunga ospedalizzazione.
Dalla nostra esperienza si osserva che, mentre inizialmente si riservava l’intervento residenziale solo ad una quota più ridotta delle pazienti (10%) e solo se l’intervento ambulatoriale falliva, attualmente lo si utilizza in misura maggiore (30%) e in prima battuta se si ritiene che l’intervento ambulatoriale abbia scarse possibilità di successo. Dai follow- up triennali delle pazienti trattate è emerso che un intervento terapeutico più deciso e intensivo all’inizio garantisce una migliore prognosi in fase successiva.

Gianfranco Palma, psichiatra, direttore del Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma E

La crescente diffusione dei disturbi del comportamento alimentare e le ripercussioni sociali hanno determinato negli ultimi anni il moltiplicarsi di attenzioni e iniziative per agire sul piano preventivo e diagnostico-terapeutico: sono nati servizi sanitari dedicati e specializzati nel trattamento di tali disturbi, con una tendenza a privilegiare soprattutto le strutture residenziali riabilitative private di tipo comunitario. Parallelamente anche le aziende sanitarie pubbliche hanno incrementato l’offerta di specifici servizi, limitatamente a segmenti assistenziali parziali, quali day-hospital, ambulatori dedicati o posti letto ospedalieri. La presenza frammentata e disarticolata di ambiti parziali di trattamento si è anche accompagnata ad una scarsa prassi multidisciplinare sin dal primo contatto con l’utente, nonostante sia considerata una condizione indispensabile ai fini dell’efficacia degli interventi.
In carenza di un sistema complessivo che garantisca l’intera rete assistenziale e che governi la continuità delle cure attraverso ambiti di trattamento differenziati ma coerenti e integrati, la domanda dell’utenza si è naturalmente orientata verso soluzioni sempre più disancorate da una dimensione longitudinale di percorso e alla ricerca di luoghi separati, totipotenti, lontani dal contesto abituale di vita. L’urgenza attuale consiste nel costruire nelle aziende sanitarie territoriali una rete unitaria di servizi specifici e specializzati, completa dei quattro indispensabili ambiti di trattamento (ambulatorio integrato, day-hospital, struttura comunitaria intensiva residenziale e semiresidenziale, posti letto ospedalieri "salva vita"), che preveda la centralità del presidio ambulatoriale integrato – con annessa attività diurna per i "pasti assistiti" – come luogo di accesso al sistema per tutti gli utenti, come ambito per la valutazione multidisciplinare e la formulazione del progetto terapeutico personalizzato, come contesto privilegiato per la maggioranza dei trattamenti terapeutici, come luogo di regia per l’intero percorso assistenziale e per il filtro all’invio nelle altre strutture (comunità, day-hospital, ospedale). L’ambulatorio, più che le strutture riabilitative residenziali, è il luogo di elezione per circa il 70% dei casi e la sua mancata centralità, come fulcro del sistema, rischia di amplificare soluzioni non sempre appropriate, poco efficaci a lungo termine e onerose sul piano economico.

 

6 giugno 2007

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