Inviato il: 11.10.2008
Da: Nives Nadia Piccin
Pienamente d’accordo con le proposte di Grandolfo, visti gli attuali enormi limiti del sistema ECM. Ma soprattutto, per la visione che ne ha la maggior parte degli operatori: ECM vista solo come mera acquisizione dei crediti obbligatori, pronta-confezionata e soprattutto gratuita, disgiunta dalla ricaduta operativa. Finché non evolverà la mentalità dei destinatari di questo processo e dell’organizzazione che la sostiene – con la possibilità di incentivare i professionisti che lavorano bene e di disincentivare quelli che si trascinano nella protettiva routine e nei propri interessi – dubito che si vedranno dei cambiamenti davvero consistenti.
Ritengo sia comunque necessario porre la massima attenzione affinché non si creino solo nuove posizioni di gente che studia altra gente, individua problemi e propone interventi in cui nessuno crede. Forse, bisognerebbe indagare sul perché tanti professionisti della salute sono così distanti dallo scopo principale del loro lavoro e comprendere cosa potrebbe indurli a cambiare il loro atteggiamento. Sicuramente, una rivoluzione organizzativa non “rigida ma facilmente aggirabile”, bensì rigorosa e coerente.
Cordiali saluti.
Nives Nadia Piccin
Coordinatore infermieristico, Torino.
Inviato il: 8.10.2008
Da: Michele Grandolfo.
E se si decidesse, una volta per tutte, di valutare l’ECM sulla base del miglioramento degli indicatori che misurano la qualità della salute in una definita popolazione servita dal sistema sanitario? Ma per fare ciò è necessario che sia stata effettuata una valida progettazione operativa delle attività, valida se parte dagli obiettivi di salute e dagli specifici indicatori di esito per misurarli.
Lo sviluppo della progettazione operativa permette di identificare gli indicatori di processo e di risultato, con i quali completare gli elementi disponibili per la valutazione. Se gli indicatori di esito non sono soddisfacenti o è da rivedere la progettazione operativa, oppure, è da rivedere la qualità nella pratica (con opportuni indicatori di risultato). Senza trascurare un problema gigantesco della sanità pubblica, che ne rappresenta la sua condanna a morte: i ceti sociali più svantaggiati sono più esposti alle pratiche inappropriate e meno esposte a quelle appropriate (opportuni indicatori di processo e di risultato specifici per condizione sociale- basterebbe il livello di istruzione- farebbero emergere con chiarezza il problema). La sanità pubblica trova la sua giustificazione se è in grado di ridurre gli effetti delle disuguaglianze sociali sulla salute.
Tutto questo per dire che programmazione, valutazione e aggiornamento professionale devono stare assieme. Separati, sono sterili esercizi e perdita di tempo. Chi opera deve pretendere di partecipare in modo trasparente alla progettazione operativa e deve essere attore principale della valutazione, a partire dalla autovalutazione, senza la quale non ha efficacia la valutazione esterna, mediante la quale i pari si confrontano alla luce delle conoscenze scientifiche disponibili e con metodi appropriati.
Il punto è che chi opera nella sanità pubblica si trova a tradurre in domanda un bisogno percepito di salute, potenziale o in atto, fornisce la risposta e ne giudica l’efficacia: il rischio di conflitto di interesse e di autoreferenzialità è evidente. Ma il giudizio di efficacia è teoricamente impossibile nella singola operazione, perché è indisponibile la prova controfattuale. I processi vitali sono infatti irreversibili e non esiste certezza. La conoscenza scientifica è tale se, e soltanto se, è calcolabile la probabilità che sia falsa e il progresso scientifico si determina falsificando le “certezze” acquisite.
Solo il confronto tra gruppi, con i metodi epidemiologici appropriati, rappresenta il surrogato accettabile della non disponibile prova controfattuale e permette di arrivare a conclusioni di cui è calcolabile la probabilità che siano sbagliate. La riflessione sugli “errori” sollecita l’aggiornamento professionale e l’aggiornamento dei modelli appropriati di intervento, fino alla revisione dei paradigmi epistemologici che li sottendono. La trasparenza deve prevedere anche la costruzione della capacità della comunità di riconoscere come valutare la qualità della salute, che è apprezzabile solo a livello di comunità, a partire dalla osservazione se persistono differenziali di salute nelle stratificazioni sociali.
Questo approccio farebbe emergere con chiarezza l’esigenza del coordinamento a livello decisionale e l’integrazione e la sinergia a livello esecutivo. Un serio processo continuo di valutazione farebbe emergere immediatamente gli eventuali effetti dei conflitti di interesse e le speculazioni mercantili sulla salute.
L’eccellente contributo di Pisacane rappresenta la fondamentale condizione necessaria, la valutazione del miglioramento della qualità è la condizione sufficiente.
Michele Grandolfo
Reparto Salute della donna e dell’età evolutiva
Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute
Istituto Superiore di Sanità.
In primo piano
ECM, (ri)parliamone
Inviato il: 11.10.2008
Da: Nives Nadia Piccin
Pienamente d’accordo con le proposte di Grandolfo, visti gli attuali enormi limiti del sistema ECM. Ma soprattutto, per la visione che ne ha la maggior parte degli operatori: ECM vista solo come mera acquisizione dei crediti obbligatori, pronta-confezionata e soprattutto gratuita, disgiunta dalla ricaduta operativa. Finché non evolverà la mentalità dei destinatari di questo processo e dell’organizzazione che la sostiene – con la possibilità di incentivare i professionisti che lavorano bene e di disincentivare quelli che si trascinano nella protettiva routine e nei propri interessi – dubito che si vedranno dei cambiamenti davvero consistenti.
Ritengo sia comunque necessario porre la massima attenzione affinché non si creino solo nuove posizioni di gente che studia altra gente, individua problemi e propone interventi in cui nessuno crede. Forse, bisognerebbe indagare sul perché tanti professionisti della salute sono così distanti dallo scopo principale del loro lavoro e comprendere cosa potrebbe indurli a cambiare il loro atteggiamento. Sicuramente, una rivoluzione organizzativa non “rigida ma facilmente aggirabile”, bensì rigorosa e coerente.
Cordiali saluti.
Nives Nadia Piccin
Coordinatore infermieristico, Torino.
Inviato il: 8.10.2008
Da: Michele Grandolfo.
E se si decidesse, una volta per tutte, di valutare l’ECM sulla base del miglioramento degli indicatori che misurano la qualità della salute in una definita popolazione servita dal sistema sanitario? Ma per fare ciò è necessario che sia stata effettuata una valida progettazione operativa delle attività, valida se parte dagli obiettivi di salute e dagli specifici indicatori di esito per misurarli.
Lo sviluppo della progettazione operativa permette di identificare gli indicatori di processo e di risultato, con i quali completare gli elementi disponibili per la valutazione. Se gli indicatori di esito non sono soddisfacenti o è da rivedere la progettazione operativa, oppure, è da rivedere la qualità nella pratica (con opportuni indicatori di risultato). Senza trascurare un problema gigantesco della sanità pubblica, che ne rappresenta la sua condanna a morte: i ceti sociali più svantaggiati sono più esposti alle pratiche inappropriate e meno esposte a quelle appropriate (opportuni indicatori di processo e di risultato specifici per condizione sociale- basterebbe il livello di istruzione- farebbero emergere con chiarezza il problema). La sanità pubblica trova la sua giustificazione se è in grado di ridurre gli effetti delle disuguaglianze sociali sulla salute.
Tutto questo per dire che programmazione, valutazione e aggiornamento professionale devono stare assieme. Separati, sono sterili esercizi e perdita di tempo. Chi opera deve pretendere di partecipare in modo trasparente alla progettazione operativa e deve essere attore principale della valutazione, a partire dalla autovalutazione, senza la quale non ha efficacia la valutazione esterna, mediante la quale i pari si confrontano alla luce delle conoscenze scientifiche disponibili e con metodi appropriati.
Il punto è che chi opera nella sanità pubblica si trova a tradurre in domanda un bisogno percepito di salute, potenziale o in atto, fornisce la risposta e ne giudica l’efficacia: il rischio di conflitto di interesse e di autoreferenzialità è evidente. Ma il giudizio di efficacia è teoricamente impossibile nella singola operazione, perché è indisponibile la prova controfattuale. I processi vitali sono infatti irreversibili e non esiste certezza. La conoscenza scientifica è tale se, e soltanto se, è calcolabile la probabilità che sia falsa e il progresso scientifico si determina falsificando le “certezze” acquisite.
Solo il confronto tra gruppi, con i metodi epidemiologici appropriati, rappresenta il surrogato accettabile della non disponibile prova controfattuale e permette di arrivare a conclusioni di cui è calcolabile la probabilità che siano sbagliate. La riflessione sugli “errori” sollecita l’aggiornamento professionale e l’aggiornamento dei modelli appropriati di intervento, fino alla revisione dei paradigmi epistemologici che li sottendono. La trasparenza deve prevedere anche la costruzione della capacità della comunità di riconoscere come valutare la qualità della salute, che è apprezzabile solo a livello di comunità, a partire dalla osservazione se persistono differenziali di salute nelle stratificazioni sociali.
Questo approccio farebbe emergere con chiarezza l’esigenza del coordinamento a livello decisionale e l’integrazione e la sinergia a livello esecutivo. Un serio processo continuo di valutazione farebbe emergere immediatamente gli eventuali effetti dei conflitti di interesse e le speculazioni mercantili sulla salute.
L’eccellente contributo di Pisacane rappresenta la fondamentale condizione necessaria, la valutazione del miglioramento della qualità è la condizione sufficiente.
Michele Grandolfo
Reparto Salute della donna e dell’età evolutiva
Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute
Istituto Superiore di Sanità.