I 40 anni del pensiero di Archie Cochrane
Fa bene il Pensiero Scientifico a ricordare il quarantesimo anno dalla pubblicazione di Effectiveness and Efficiency. Random reflections on health services, pubblicato nel 1972 dal Nuffield Provincial Hospital Trust e in italiano nel 1978 dalla Feltrinelli nella collana Medicina e Potere (nel 1999 Il Pensiero Scientifico Editore ha pubblicato una seconda edizione arricchita da quanto aggiunto nelle successive edizioni inglesi: Efficienza ed Efficacia, ndr). Archie Cochrane scrive circa vent’anni dopo la nascita nel Regno Unito del National Health Service (NHS), e il libro è un’analisi e una definizione delle caratteristiche che ha il NHS e che dovrebbe avere un servizio sanitario nazionale: effectiveness basata sul trial controllato e randomizzato (RCTs) per la valutazione di tutti i suoi contenuti (ma in realtà della terapia – e Cochrane riconosce la minore attenzione allora come ora riservata alla diagnosi); la efficiency, cioè il trasferimento alla pratica delle procedure valutate con gli RCTs; e la equality nell’accesso gratuito di tutti i cittadini ai benefici della medicina (nelle parole che lo studente Cochrane aveva scritto in una bandiera sventolata negli anni Trenta: “all effective treatments must be free”). Forse sono due le cose che soprattutto si devono ricordare: primo, accanto alla preminenza dell’RCT come strumento di valutazione della terapia, Archie Cochrane aveva chiara l’idea che fra l’efficacia di una terapia in un RCT e la pratica reale c’è un abisso (nelle sue parole: “between the scientific measurements based on RCTs and the benefit measurements…in the community there is a gulf which has been much underestimated”); secondo, è vivo in Archie Cochrane il valore umano e morale della equality nell’avere accesso gratuito e libero alla medicina (“I needed another index with which to compare the two branches of NHS and add a little humanity in my approach”).
Dall’epoca di Archie Cochrane a oggi ci sono stati nella medicina molti cambiamenti: il prepotere dell’industria e la convenienza di molti ricercatori (soldi, carriera, prestigio…) che condizionano le priorità, il disegno e i risultati degli RCTs e pongono problemi alla valutazione della effectiveness; almeno in Italia l’invasione politica nella efficiency – la seconda componente della triade di Cochrane; e infine- forse il cambiamento più importante – il continuo aumento dei costi e degli sprechi della medicina (Berwick DM, Hackbarth AD. Eliminating waste in US health car. JAMA 2012; 307: 1513-16), che negli ultimi anni sembrano sopravanzare i benefici reali e che pongono problemi di sostenibilità e di mantenimento della equality.
Ma rimangono intatti il fascino e l’esempio di una logica penetrante e antesignana applicata alla medicina e l’affermazione del valore umano e morale dell’accesso libero e gratuito ai benefici della medicina, garantito per decenni nei Paesi dell’Eurozona e oggi forse a rischio almeno di limitazione, e dal quale è stata però sempre esclusa quella gran parte del mondo che è troppo povera per consentirlo ai suoi abitanti.
I 20 anni dell’EBM
L’articolo di JAMA che tenne a battesimo la evidence-based medicine (EBM) è del novembre 1992, vent’anni fra cinque mesi. Il titolo ripete il nome di battesimo della nuova creatura: Evidence-based medicine. L’ambizioso sottotitolo– a new approach to teaching the practice of medicine – è ribadito nelle prime parole dell’articolo – “a new paradigm for medical practice is emerging”.
Il messaggio dell’EBM è semplice – la medicina .e il suo insegnamento devono avere come base i risultati della ricerca, o più precisamente i risultati della ricerca sostenuti da prove metodologicamente valide, largamente identificate con gli RCTs.
L’EBM ha avuto e continua ad avere un enorme successo mediatico nella letteratura scientifica e medica e ha il merito essenziale di aver posto in primo piano la necessità di collegare la pratica medica con la ricerca – ma come nuovo approccio o nuovo paradigma per l’insegnamento/apprendimento e la pratica della medicina è largamente incompleto. Le decisioni che i medici devono prendere hanno molte determinanti che non si identificano con la ricerca, la valutazione e l’applicazione della “best external evidence available” predicate dall’EBM. Sono, queste determinanti, il rapporto e la comunicazione medico-paziente, la expertise del medico nel trasferire agli individui “evidenze” che riguardano le malattie, le risorse e i limiti dell’ambiente, la comorbidità sempre più frequente in un mondo di anziani e le interazioni tra farmaci co-prescritti e tra farmaci e malattie, le prefernze dei pazienti, la capacità di orientarsi nella frammentazione specialistica, la corretta diagnosi – e la diagnosi ha nell’EBM uno spazio marginale, tanto da giustificare l’osservazione che “Evidence-based medicine only follows when a correct diagnosis has been made” (PBS Fowler. Evidence – based diagnosis. J Eval Clin Pract 1997; 3: 153-9).
La mia conclusione ripete un editoriale di Lancet intitolato “Evidence-based medicine, in its place” (The Lancet. 1995; 346: 785). Ricollegandoci alla prima parte di questo scritto, è interessante un frammento dell’editoriale: “Cochrane, un fiero individualista sempre in guerra con quelli che pensavano di sapere le cose migliori (“the best”) difficilmente avrebbe accolto con favore l’elitismo di molta evidence-based medicine”. Ed è incisivo l’understatement britannico che “le richieste di avere la evidence-based medicine consacrata come la nuova ortodossia hanno qualche volta peccato di eleganza (finesse) e di equilibrio (balance).
20 giugno 2012
In primo piano
Effectiveness, efficiency, equality secondo Cochrane
I 40 anni del pensiero di Archie Cochrane
Fa bene il Pensiero Scientifico a ricordare il quarantesimo anno dalla pubblicazione di Effectiveness and Efficiency. Random reflections on health services, pubblicato nel 1972 dal Nuffield Provincial Hospital Trust e in italiano nel 1978 dalla Feltrinelli nella collana Medicina e Potere (nel 1999 Il Pensiero Scientifico Editore ha pubblicato una seconda edizione arricchita da quanto aggiunto nelle successive edizioni inglesi: Efficienza ed Efficacia, ndr). Archie Cochrane scrive circa vent’anni dopo la nascita nel Regno Unito del National Health Service (NHS), e il libro è un’analisi e una definizione delle caratteristiche che ha il NHS e che dovrebbe avere un servizio sanitario nazionale: effectiveness basata sul trial controllato e randomizzato (RCTs) per la valutazione di tutti i suoi contenuti (ma in realtà della terapia – e Cochrane riconosce la minore attenzione allora come ora riservata alla diagnosi); la efficiency, cioè il trasferimento alla pratica delle procedure valutate con gli RCTs; e la equality nell’accesso gratuito di tutti i cittadini ai benefici della medicina (nelle parole che lo studente Cochrane aveva scritto in una bandiera sventolata negli anni Trenta: “all effective treatments must be free”). Forse sono due le cose che soprattutto si devono ricordare: primo, accanto alla preminenza dell’RCT come strumento di valutazione della terapia, Archie Cochrane aveva chiara l’idea che fra l’efficacia di una terapia in un RCT e la pratica reale c’è un abisso (nelle sue parole: “between the scientific measurements based on RCTs and the benefit measurements…in the community there is a gulf which has been much underestimated”); secondo, è vivo in Archie Cochrane il valore umano e morale della equality nell’avere accesso gratuito e libero alla medicina (“I needed another index with which to compare the two branches of NHS and add a little humanity in my approach”).
Dall’epoca di Archie Cochrane a oggi ci sono stati nella medicina molti cambiamenti: il prepotere dell’industria e la convenienza di molti ricercatori (soldi, carriera, prestigio…) che condizionano le priorità, il disegno e i risultati degli RCTs e pongono problemi alla valutazione della effectiveness; almeno in Italia l’invasione politica nella efficiency – la seconda componente della triade di Cochrane; e infine- forse il cambiamento più importante – il continuo aumento dei costi e degli sprechi della medicina (Berwick DM, Hackbarth AD. Eliminating waste in US health car. JAMA 2012; 307: 1513-16), che negli ultimi anni sembrano sopravanzare i benefici reali e che pongono problemi di sostenibilità e di mantenimento della equality.
Ma rimangono intatti il fascino e l’esempio di una logica penetrante e antesignana applicata alla medicina e l’affermazione del valore umano e morale dell’accesso libero e gratuito ai benefici della medicina, garantito per decenni nei Paesi dell’Eurozona e oggi forse a rischio almeno di limitazione, e dal quale è stata però sempre esclusa quella gran parte del mondo che è troppo povera per consentirlo ai suoi abitanti.
I 20 anni dell’EBM
L’articolo di JAMA che tenne a battesimo la evidence-based medicine (EBM) è del novembre 1992, vent’anni fra cinque mesi. Il titolo ripete il nome di battesimo della nuova creatura: Evidence-based medicine. L’ambizioso sottotitolo– a new approach to teaching the practice of medicine – è ribadito nelle prime parole dell’articolo – “a new paradigm for medical practice is emerging”.
Il messaggio dell’EBM è semplice – la medicina .e il suo insegnamento devono avere come base i risultati della ricerca, o più precisamente i risultati della ricerca sostenuti da prove metodologicamente valide, largamente identificate con gli RCTs.
L’EBM ha avuto e continua ad avere un enorme successo mediatico nella letteratura scientifica e medica e ha il merito essenziale di aver posto in primo piano la necessità di collegare la pratica medica con la ricerca – ma come nuovo approccio o nuovo paradigma per l’insegnamento/apprendimento e la pratica della medicina è largamente incompleto. Le decisioni che i medici devono prendere hanno molte determinanti che non si identificano con la ricerca, la valutazione e l’applicazione della “best external evidence available” predicate dall’EBM. Sono, queste determinanti, il rapporto e la comunicazione medico-paziente, la expertise del medico nel trasferire agli individui “evidenze” che riguardano le malattie, le risorse e i limiti dell’ambiente, la comorbidità sempre più frequente in un mondo di anziani e le interazioni tra farmaci co-prescritti e tra farmaci e malattie, le prefernze dei pazienti, la capacità di orientarsi nella frammentazione specialistica, la corretta diagnosi – e la diagnosi ha nell’EBM uno spazio marginale, tanto da giustificare l’osservazione che “Evidence-based medicine only follows when a correct diagnosis has been made” (PBS Fowler. Evidence – based diagnosis. J Eval Clin Pract 1997; 3: 153-9).
La mia conclusione ripete un editoriale di Lancet intitolato “Evidence-based medicine, in its place” (The Lancet. 1995; 346: 785). Ricollegandoci alla prima parte di questo scritto, è interessante un frammento dell’editoriale: “Cochrane, un fiero individualista sempre in guerra con quelli che pensavano di sapere le cose migliori (“the best”) difficilmente avrebbe accolto con favore l’elitismo di molta evidence-based medicine”. Ed è incisivo l’understatement britannico che “le richieste di avere la evidence-based medicine consacrata come la nuova ortodossia hanno qualche volta peccato di eleganza (finesse) e di equilibrio (balance).