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I bibliotecari insegnano…

Quanto insegnano i bibliotecari?

Da noi tantissimo. Per i corsi interni facciamo una media di 25 giornate all’anno: sono i corsi generali, quindi aperti a tutti. Poi facciamo corsi specifici per settore, ad esempio, il settore infermieristico o quello psichiatrico. Nella nostra Azienda i vari servizi possono chiedere corsi ad hoc per le specifiche utenze e in genere si tratta di due o tre mezze giornate.

Quante persone partecipano al corso?

In media 15.

In aule multimediali?

Sì. Di solito ci sono una o due persone per PC. Le lezioni prevedono una prima parte frontale, in cui si spiega l’obiettivo del corso e come funziona una banca dati o le risorse in oggetto; poi, una parte interattiva, in cui si svolgono esercitazioni insieme; poi, una terza parte di esercizi svolti dai partecipanti in autonomia. Infine, c’è un’ultima parte in cui si correggono le attività individuali e si danno le conclusioni.

Obbligati o no? Chi sono i partecipanti?

Tutti partecipano di loro spontanea volontà. Tutti i corsi sono accreditati. A partecipare sono più i medici, circa il 60 per cento; poi c’è un 20 per cento di infermieri e un 20 per cento di farmacisti.

Prima di venire al corso sono capaci di “trovare”?

Pensano di esserlo; in realtà anche per chi già svolge ricerche, il corso serve per dare ordine: cioè ad acquisire la capacità di organizzare ciò che si è cercato. Chi è già in grado di cercare, quindi, acquisisce la consapevolezza degli strumenti che ha a disposizione, chi invece è nuovo alla ricerca acquisirà nuove competenze. Di solito gli utenti si fermano al solo utilizzo di Medline/Pubmed o Google. Il resto degli strumenti è nuovo: la Cochrane Library o le linee-guida sono risorse, se non mai sentite, sicuramente mai utilizzate.

Che bisogno c’è di insegnare tutte queste cose?

Per rendere il medico, il farmacista, l’infermiere e in generale i professionisti sanitari un po’ più autonomi. Il nostro primo obiettivo è quello di mettere a loro disposizione gli strumenti e insegnare loro a utilizzarli autonomamente. Di fronte ad un qualsiasi tipo di bisogno informativo, almeno una prima ricerca, devono riuscire a farla da soli anche se il nostro aiuto e supporto è sempre garantito.

Come fanno a decidere quando interrompere una ricerca?

Questo è il punto più problematico. Perché, per quanto si possa insegnare come fare una ricerca, la parte di valutazione critica dell’informazione manca. È possibile insegnare qual è il modo migliore di cercare per arrivare ai gold standard per alcuni tipi di quesiti, però continua a mancare una parte finale di valutazione. Il medico, più abituato a cercare e a valutare, sente meno questa lacuna, le altre figure professionali di più. Ad esempio, gli infermieri, meno abituati a cercare, sono quelli che sentono di più questa mancanza.

Da cosa partite? Dalla banca dati oppure da un problema clinico?

Generalmente si parte dalla spiegazione della banca dati, attraverso un esempio pratico. Essendo corsi aperti a tutti, si tratta di esempi generali. Il corso migliore ovviamente è quello in cui si parte con esempi mirati ai partecipanti, perché in questo modo si restituisce una dimensione pratica. A volte ci sono corsi che partono direttamente da un quesito per cercare di risolverlo e, attraverso la sua risoluzione, insegnano a cercare meglio utilizzando le risorse a disposizione.

Non è un rischio rendere più autonomi i medici nella ricerca?

No. Sicuramente è possibile aiutare i medici ad orientarsi, di più e meglio.

Cosa ti ha fatto conoscere la tua esperienza a Londra?

A Londra, i medici si affidano di più ai bibliotecari per le loro ricerche. Li è molto definito il ruolo del documentalista e dell’Information Specialist, una figura professionale specifica per la ricerca delle informazioni, preparata anche a fare per il medico una preselezione delle informazioni recuperate.

E in Italia?

In Italia manca questo tipo di rapporto con la biblioteca. Il medico tende a fare da solo e sicuramente non affida al bibliotecario la selezione del materiale. A mio avviso il bibliotecario potrebbe fare di più senza sostituirsi alla figura del medico, fornendogli per esempio documenti specifici per specifici quesiti e/o indirizzarlo alle risorse che rispondano meglio alle sue interrogazioni.

I documenti più affidabili sono anche però i più difficili da capire, mentre si sa che il medico più spesso si affida ai consigli del collega. Perché non insegnate meglio a chiedere a un collega?

Nulla ci vieta di pensare di inserire questo, tra i corsi del prossimo anno. In fondo i nostri corsi nascono anche dalle esigenze dell’utente. Però io non saprei come farli: dovrebbero essere i medici ad occuparsi della didattica in questo tipo di corso.

“Come chiedere ad un collega minimizzando il rischio di bufale”, ad esempio. Qualcosa da aggiungere?

Che mi piacerebbe che qui in Italia ci fosse un riconoscimento maggiore del nostro ruolo: la figura del bibliotecario manca sia dal un punto di vista amministrativo (non esiste il ruolo del bibliotecario nel Sistema Sanitario Nazionale!), sia dal punto di vista della preparazione. Ci auto-formiamo e ci auto-miglioriamo, però sicuramente manca il riconoscimento.
Oltre ad imparare come chiedere ad un collega, forse bisognerebbe imparare ad usare bene le biblioteche e i bibliotecari. Se si investisse di più nel ruolo del bibliotecario, si potrebbe ottenere sicuramente di più.

Cosa legge un bibliotecario per informarsi?

Newsletter di vari siti per un’informazione e un aggiornamento di base. Poi riviste e libri di settore. E infine le riviste non indirizzate ai bibliotecari, come Plos Medicine o le riviste di BioMed central, dove si trovano spesso articoli che riguardano le strategie di ricerca bibliografiche e propongono i nuovi filtri di ricerca o il confronto tra banche dati.

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