Di solito come vengono prese le decisioni in un’Azienda sanitaria?
Il più delle volte le decisioni in Sanità sono prese in condizioni non ideali per fare delle buone scelte. Un primo ostacolo è di ordine economico: spesso nelle Aziende sanitarie il principale determinante è legato alla compatibilità economica delle scelte e, pertanto, la razionalità decisionale incontra un limite obiettivo nella scarsità delle risorse disponibili. L’esigenza di risparmiare è una realtà degli ultimi anni che si sta diffondendo nella maggior parte del Paese.
Quindi, vincoli economici e poi…
Un secondo ostacolo è insito nel contesto del processo decisionale che, tranne invidiabili ma limitate esperienze avanzate, è fondato sulla scarsa trasparenza. Le decisioni in Sanità dovrebbero essere condivise tra professionisti sanitari, gli amministratori delle Aziende sanitarie e, non da ultimi, i pazienti che rappresentano i destinatari delle scelte. Il più delle volte, però, sono assunte direttamente dal professionista sanitario con l’amministratore, in un contesto informale, senza considerare il punto di vista dei diversi soggetti interessati. In assenza di una sede formalmente istituita per prendere delle decisioni è inevitabile che alcune scelte vengano spesso negate e talvolta annegate. Da un lato le esigenze di risparmiare risorse e dall’altro la scarsa trasparenza incidono negativamente sul processo decisionale e gli esempi non mancano.
Ci può fare un esempio?
In molte Regioni è vietato l’acquisto di nuove apparecchiature ospedaliere per mancanza di risorse. Un escamotage per superare il divieto di acquisto è noleggiare l’apparecchiatura, pagando di più i materiali di consumo legati alla tecnologia. Un classico esempio è quello di un nuovo strumento di laboratorio che l’Ospedale paga indirettamente attraverso i costi dei reattivi. In questi casi la decisione non è esplicita ma occultata e la scelta potrebbe non essere fondata su una valutazione di appropriatezza, di efficacia e sicurezza della tecnologia, né su una valutazione economica. L’assenza di un contesto trasparente in cui prendere delle decisioni può avere delle conseguenze devastanti, anche sul piano del risparmio in nome del quale paradossalmente sono vietati i nuovi acquisti.
I decisori hanno a disposizione strumenti validati per valutare le alternative disponibili e per fare delle scelte basate su evidenze scientifiche solide e di qualità?
Disporre di tutte le informazioni necessarie per prendere una buona decisione sapendo quello che la scelta comporta è un problema non da poco e lo si incontra anche quando il contesto decisionale consente una valutazione preliminare delle alternative offerte. Mi riferisco a uno dei tradizionali difetti del nostro sistema sanitario, cioè la neutralità e affidabilità dell’informazione scientifica. La maggior parte delle informazioni utile al decisore sull’efficacia e sicurezza dei farmaci, dei nuovi test diagnostici, degli apparecchi per le indagini strumentali è detenuta e distribuita da chi ha interesse a vendere il prodotto o è frutto di ricerche sponsorizzate dalle aziende produttrici. C’è un alto rischio che questa informazione sia distorta. In diversi ambiti della medicina una grossa fetta della ricerca è sponsorizzata dai produttori delle tecnologie ed è stato dimostrato che spesso i risultati delle ricerche finanziate dai produttori non sono completi e “neutrali” ma tendono ad assecondare il punto di vista dei produttori. A questo si aggiunge il problema della non pubblicazione dei risultati negativi delle ricerche per presentare in maniera ancora più favorevole il farmaco o la tecnologia oggetto di studio. Purtroppo dobbiamo riconoscere che, nonostante alcune importanti esperienze sostenute nel nostro Paese dalle Istituzioni (quali il Progetto nazionale di linea guida e l’HTA di AGENAS e di alcune Agenzie regionali), un corretto e affidabile processo decisionale nelle Aziende sanitarie viene ostacolato su più fronti: mancano luoghi espliciti in cui formare le decisioni, spesso le decisioni sono prese per via indiretta, le informazioni sui cui si basano sono incomplete, insufficienti e viziate perché non sono frutto di una ricerca indipendente.
Le valutazioni più difficili riguardano le scelte cliniche o quelle di politica sanitaria?
In generale è complicato decidere anche perché, come sottolineavo, raramente i contesti delle aziende sanitarie facilitano le decisioni trasparenti. Le decisioni cliniche risentono del limite della disponibilità dell’informazione di qualità e non viziata dagli interessi delle aziende. Questo limite è una conseguenza delle difficoltà che si incontrano nelle scelte di politica sanitaria nel nostro Paese. Affinché i decisori clinici dispongano, al letto del malato, di informazioni di qualità servirebbe che le istituzioni sanitarie investissero stabilmente sull’informazione di qualità affidandone la produzione a istituzioni indipendenti e preparate. Ma questo investimento invece è sporadico, il che la dice lunga sulla qualità delle decisioni di politica sanitaria. Sono le politiche sanitarie in generale a zoppicare… e l’esempio dei vaccini è uno dei più illuminati e preoccupanti.
Cioè?
Il controllo delle malattie infettive è di competenza centrale perché la lotta alle malattie infettive dovrebbe essere fatta indipendentemente dai confini geografici regionali. La questione è che i vaccini rientrano tra i livelli essenziali di assistenza (Lea) che sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di un ticket. Con la riforma costituzionale del 2001 le Regioni hanno la responsabilità dell’organizzazione e gestione del servizio sanitario e concorrono a decidere i Lea. Nonostante l’esistenza di un piano nazionale di prevenzione vaccinale condiviso e contenente indicazioni razionali, molte Regioni adottano politiche vaccinali autonome. Così, nel nostro Paese, coesistono offerte vaccinali eterogenee, diverse da Regione a Regione o addirittura all’interno della stessa Regione, in barba ai Lea e alle indicazioni razionali del Piano nazionale. Questo capita perché, sui vaccini, esiste una forte pressione commerciale che, nel nostro Paese, non si esercita solo sui decisori politici regionali ma, soprattutto, sugli operatori sanitari. Nel resto d’Europa le raccomandazioni nazionali sui vaccini sono uniche, in Italia coesistono le raccomandazioni Statali, quelle delle Regioni e poi quelle delle Società scientifiche. Insomma ogni soggetto istituzionale o scientifico si sente libero di produrre e diffondere le proprie raccomandazioni, premere sui decisori e, spesso, aumentare le spese ingiustificate. In questa babele di raccomandazioni entrano anche vaccini inutili, di efficacia limitata o rivolti verso malattie molto rare. La più grave conseguenza di questa irrazionalità decisionale è però la perdita di autorevolezza delle istituzioni sanitarie e il crollo della fiducia da parte dei cittadini.
Strumenti come DECIDE possono essere utili per ripensare al modo col quale si prendono le decisioni in Sanità?
Considero DECIDE un passo in avanti di straordinaria importanza per rendere utilizzabili le prove scientifiche di efficacia da parte dei decisori. Con questo progetto l’EBM ha dimostrato che non si pone solo il problema di produrre prove di buona qualità ma anche di fare in modo che qualcuno le utilizzi. Il fine è raggiungere tutti i decisori – i singoli professionisti, i sanitari pubblici, gli amministratori, i cittadini – e comunicare efficacemente con tutti gli interlocutori partendo dall’ascolto. Il processo corretto di comunicazione dovrebbe partire dall’ascolto, dalla comprensione di quelle che sono le percezioni e le attitudini del soggetto a cui sono destinate le informazioni. Non può esserci comunicazione senza l’ascolto ma spesso nella nostra società la comunicazione si traduce nel fornire semplicemente informazioni unidirezionali per influire sulle scelte di chi le riceve. Il mio giudizio su DECIDE è positivo e mi auguro che il progetto prosegua. Le informazioni di qualità sono necessarie per prendere le decisioni e la comunicazione deve raggiungere i decisori, quindi strumenti come DECIDE sono necessari. Serve però anche un cambiamento culturale che premi le scelte razionali. Il governo della sanità dovrebbe premiare chi prende le decisioni giuste e punire chi prende quelle scorrette. In Italia abbiamo esperienze di governo clinico con piena responsabilizzazione dei professionisti nel governo della sanità che vanno in questa direzione. È prioritario, per chi lavora nel sistema sanitario, sapere che viene approvato il suo comportamento se se usa bene le risorse, se cura considerando il punto di vista del paziente e che questo suo comportamento è approvato e, al contrario, sentirsi scoraggiato ad agire in modo irrazionale. Accade spesso che chi cerca di affermare la cultura della EBM si trovi a dover scalare una montagna di difficoltà con il rischio di sentirsi disapprovare perché ha speso leggermente di più o perché ha contrastato gli interessi di qualche produttore. Per concludere, riconosco che DECIDE è uno strumento essenziale ma il nostro contesto non è al momento ancora favorevole alla sua diffusione. Se non aumenta la capacità critica da parte di tutti – operatori sanitari, cittadini e politici – strumenti come DECIDE restano iniziative di buona volontà ma di difficile applicazione.
30 gennaio 2013
Scelte in Soccorso. Intervista a
Daniele Coen, Direttore di Medicina d’urgenza e Pronto soccorso, Ospedale Niguarda Ca’ Granda.
Il convegno
“Se una notte d’inverno un decisore…” Con DECIDE, dalle evidenze alle decisioni nel SSN. Roma, 1 marzo 2013 |
Programma (PDF)
In primo piano
I (non) luoghi delle scelte in Sanità
Di solito come vengono prese le decisioni in un’Azienda sanitaria?
Il più delle volte le decisioni in Sanità sono prese in condizioni non ideali per fare delle buone scelte. Un primo ostacolo è di ordine economico: spesso nelle Aziende sanitarie il principale determinante è legato alla compatibilità economica delle scelte e, pertanto, la razionalità decisionale incontra un limite obiettivo nella scarsità delle risorse disponibili. L’esigenza di risparmiare è una realtà degli ultimi anni che si sta diffondendo nella maggior parte del Paese.
Quindi, vincoli economici e poi…
Un secondo ostacolo è insito nel contesto del processo decisionale che, tranne invidiabili ma limitate esperienze avanzate, è fondato sulla scarsa trasparenza. Le decisioni in Sanità dovrebbero essere condivise tra professionisti sanitari, gli amministratori delle Aziende sanitarie e, non da ultimi, i pazienti che rappresentano i destinatari delle scelte. Il più delle volte, però, sono assunte direttamente dal professionista sanitario con l’amministratore, in un contesto informale, senza considerare il punto di vista dei diversi soggetti interessati. In assenza di una sede formalmente istituita per prendere delle decisioni è inevitabile che alcune scelte vengano spesso negate e talvolta annegate. Da un lato le esigenze di risparmiare risorse e dall’altro la scarsa trasparenza incidono negativamente sul processo decisionale e gli esempi non mancano.
Ci può fare un esempio?
In molte Regioni è vietato l’acquisto di nuove apparecchiature ospedaliere per mancanza di risorse. Un escamotage per superare il divieto di acquisto è noleggiare l’apparecchiatura, pagando di più i materiali di consumo legati alla tecnologia. Un classico esempio è quello di un nuovo strumento di laboratorio che l’Ospedale paga indirettamente attraverso i costi dei reattivi. In questi casi la decisione non è esplicita ma occultata e la scelta potrebbe non essere fondata su una valutazione di appropriatezza, di efficacia e sicurezza della tecnologia, né su una valutazione economica. L’assenza di un contesto trasparente in cui prendere delle decisioni può avere delle conseguenze devastanti, anche sul piano del risparmio in nome del quale paradossalmente sono vietati i nuovi acquisti.
I decisori hanno a disposizione strumenti validati per valutare le alternative disponibili e per fare delle scelte basate su evidenze scientifiche solide e di qualità?
Disporre di tutte le informazioni necessarie per prendere una buona decisione sapendo quello che la scelta comporta è un problema non da poco e lo si incontra anche quando il contesto decisionale consente una valutazione preliminare delle alternative offerte. Mi riferisco a uno dei tradizionali difetti del nostro sistema sanitario, cioè la neutralità e affidabilità dell’informazione scientifica. La maggior parte delle informazioni utile al decisore sull’efficacia e sicurezza dei farmaci, dei nuovi test diagnostici, degli apparecchi per le indagini strumentali è detenuta e distribuita da chi ha interesse a vendere il prodotto o è frutto di ricerche sponsorizzate dalle aziende produttrici. C’è un alto rischio che questa informazione sia distorta. In diversi ambiti della medicina una grossa fetta della ricerca è sponsorizzata dai produttori delle tecnologie ed è stato dimostrato che spesso i risultati delle ricerche finanziate dai produttori non sono completi e “neutrali” ma tendono ad assecondare il punto di vista dei produttori. A questo si aggiunge il problema della non pubblicazione dei risultati negativi delle ricerche per presentare in maniera ancora più favorevole il farmaco o la tecnologia oggetto di studio. Purtroppo dobbiamo riconoscere che, nonostante alcune importanti esperienze sostenute nel nostro Paese dalle Istituzioni (quali il Progetto nazionale di linea guida e l’HTA di AGENAS e di alcune Agenzie regionali), un corretto e affidabile processo decisionale nelle Aziende sanitarie viene ostacolato su più fronti: mancano luoghi espliciti in cui formare le decisioni, spesso le decisioni sono prese per via indiretta, le informazioni sui cui si basano sono incomplete, insufficienti e viziate perché non sono frutto di una ricerca indipendente.
Le valutazioni più difficili riguardano le scelte cliniche o quelle di politica sanitaria?
In generale è complicato decidere anche perché, come sottolineavo, raramente i contesti delle aziende sanitarie facilitano le decisioni trasparenti. Le decisioni cliniche risentono del limite della disponibilità dell’informazione di qualità e non viziata dagli interessi delle aziende. Questo limite è una conseguenza delle difficoltà che si incontrano nelle scelte di politica sanitaria nel nostro Paese. Affinché i decisori clinici dispongano, al letto del malato, di informazioni di qualità servirebbe che le istituzioni sanitarie investissero stabilmente sull’informazione di qualità affidandone la produzione a istituzioni indipendenti e preparate. Ma questo investimento invece è sporadico, il che la dice lunga sulla qualità delle decisioni di politica sanitaria. Sono le politiche sanitarie in generale a zoppicare… e l’esempio dei vaccini è uno dei più illuminati e preoccupanti.
Cioè?
Il controllo delle malattie infettive è di competenza centrale perché la lotta alle malattie infettive dovrebbe essere fatta indipendentemente dai confini geografici regionali. La questione è che i vaccini rientrano tra i livelli essenziali di assistenza (Lea) che sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di un ticket. Con la riforma costituzionale del 2001 le Regioni hanno la responsabilità dell’organizzazione e gestione del servizio sanitario e concorrono a decidere i Lea. Nonostante l’esistenza di un piano nazionale di prevenzione vaccinale condiviso e contenente indicazioni razionali, molte Regioni adottano politiche vaccinali autonome. Così, nel nostro Paese, coesistono offerte vaccinali eterogenee, diverse da Regione a Regione o addirittura all’interno della stessa Regione, in barba ai Lea e alle indicazioni razionali del Piano nazionale. Questo capita perché, sui vaccini, esiste una forte pressione commerciale che, nel nostro Paese, non si esercita solo sui decisori politici regionali ma, soprattutto, sugli operatori sanitari. Nel resto d’Europa le raccomandazioni nazionali sui vaccini sono uniche, in Italia coesistono le raccomandazioni Statali, quelle delle Regioni e poi quelle delle Società scientifiche. Insomma ogni soggetto istituzionale o scientifico si sente libero di produrre e diffondere le proprie raccomandazioni, premere sui decisori e, spesso, aumentare le spese ingiustificate. In questa babele di raccomandazioni entrano anche vaccini inutili, di efficacia limitata o rivolti verso malattie molto rare. La più grave conseguenza di questa irrazionalità decisionale è però la perdita di autorevolezza delle istituzioni sanitarie e il crollo della fiducia da parte dei cittadini.
Strumenti come DECIDE possono essere utili per ripensare al modo col quale si prendono le decisioni in Sanità?
Considero DECIDE un passo in avanti di straordinaria importanza per rendere utilizzabili le prove scientifiche di efficacia da parte dei decisori. Con questo progetto l’EBM ha dimostrato che non si pone solo il problema di produrre prove di buona qualità ma anche di fare in modo che qualcuno le utilizzi. Il fine è raggiungere tutti i decisori – i singoli professionisti, i sanitari pubblici, gli amministratori, i cittadini – e comunicare efficacemente con tutti gli interlocutori partendo dall’ascolto. Il processo corretto di comunicazione dovrebbe partire dall’ascolto, dalla comprensione di quelle che sono le percezioni e le attitudini del soggetto a cui sono destinate le informazioni. Non può esserci comunicazione senza l’ascolto ma spesso nella nostra società la comunicazione si traduce nel fornire semplicemente informazioni unidirezionali per influire sulle scelte di chi le riceve. Il mio giudizio su DECIDE è positivo e mi auguro che il progetto prosegua. Le informazioni di qualità sono necessarie per prendere le decisioni e la comunicazione deve raggiungere i decisori, quindi strumenti come DECIDE sono necessari. Serve però anche un cambiamento culturale che premi le scelte razionali. Il governo della sanità dovrebbe premiare chi prende le decisioni giuste e punire chi prende quelle scorrette. In Italia abbiamo esperienze di governo clinico con piena responsabilizzazione dei professionisti nel governo della sanità che vanno in questa direzione. È prioritario, per chi lavora nel sistema sanitario, sapere che viene approvato il suo comportamento se se usa bene le risorse, se cura considerando il punto di vista del paziente e che questo suo comportamento è approvato e, al contrario, sentirsi scoraggiato ad agire in modo irrazionale. Accade spesso che chi cerca di affermare la cultura della EBM si trovi a dover scalare una montagna di difficoltà con il rischio di sentirsi disapprovare perché ha speso leggermente di più o perché ha contrastato gli interessi di qualche produttore. Per concludere, riconosco che DECIDE è uno strumento essenziale ma il nostro contesto non è al momento ancora favorevole alla sua diffusione. Se non aumenta la capacità critica da parte di tutti – operatori sanitari, cittadini e politici – strumenti come DECIDE restano iniziative di buona volontà ma di difficile applicazione.
30 gennaio 2013
Al Meyer decisioni condivise di qualità. Intervista a Tommaso Langiano, direttore generale della AOU Meyer.
“Se una notte d’inverno un decisore…” Con DECIDE, dalle evidenze alle decisioni nel SSN. Roma, 1 marzo 2013 | Programma (PDF)