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I segni in-visibili degli abusi sui bimbi

copertina del libro l'abuso sessuale nei bambini prepubei Bambini abusati sessualmente, dentro o fuori le mura domestiche. Quanto è diffuso questo fenomeno nel nostro Paese?

Definirne le dimensioni è complesso. I numeri ci possono fornire una mera ipotesi della realtà, perché si basano solo sui casi che arrivano alle autorità giudiziarie. C’è però un enorme sommerso. Ad esempio, la nostra équipe multidisciplinare dell’ASLTO2 di Torino raccoglie, su una popolazione generale di 200 mila cittadini, una casistica di una cinquantina di casi all’anno. Di questi, solo il 25 per cento è stato segnalato all’autorità giudiziaria, perché presentava sufficienti indicatori per una diagnosi di abuso sessuale; negli altri casi, in cui era evidente comunque il disagio dei minori, abbiamo attivato risorse alternative spesso con l’aiuto del Tribunale dei minori. L’incidenza ha una forte variabilità: i dati americani riportano, a seconda degli studi, che dal 6 al 30 per cento della popolazione è stata vittima almeno di un atto di abuso sessuale nella propria vita. Dove per abuso sessuale non si intende solo un atto di tipo penetrativo tra un adulto e un prepubere, ma una gamma di atti e contesti erotizzati che, in un certo qual modo, possono causare un grave danno al bambino e alla bambina. L’entità del danno è variabile: più la relazione tra l’abusato e l’abusante è stretta (padre, nonno, zio, fratello), maggiore può essere il danno per diversi fattori; ma è anche vero che lo stesso atto di abuso sessuale può avere un impatto diverso a seconda del bambino e della bambina.

Come riuscire ad arrivare prima che succeda?

Nel nostro Paese, abbiamo dei progetti di prevenzione primaria degli abusi sessuali sui bambini. Alcune scuole – ad esempio – si propongono di insegnare ai bambini a proteggersi e a tutelarsi da atti abusanti, da parte di un familiare e di persone esterne. Ci sono tuttavia diverse discussioni in corso su come un bambino o una bambina, di tre, sette, dieci anni, sia in grado di discriminare un atto di abuso sessuale. Come può capire che quello non è un atto di affetto, non è un gesto adatto a un prepubere? I bambini non hanno una competenza psicologica per intuire che quanto viene presentato come “coccole”  può essere qualcosa di ben diverso dalla coccole, né ha la capacità di sottrarsi. Nella gran parte dei casi l’abuso sessuale non è un atto penetrativo, non causa dolore fisico, ma può rientrare in un insieme di azioni di grooming, cioè di allevare e crescere il bambino e la bambina in un’atmosfera molto erotizzata. Per una prevenzione primaria degli abusi sessuali domestici è importante lavorare all’interno dei nuclei familiari, bisogna però riconoscere che questo è un ambito molto complesso e difficile… Diverso è il discorso della prevenzione secondaria, cioè imparare a leggere e a decodificare indicatori di disagio che il bambino o la bambina può manifestare.

Cioè?

Si tratta di captare quei segnali che il piccolo lancia inconsapevolmente e che possono rappresentare i sintomi comportamentali di un abuso sessuale. In questo ambito, rivestono un ruolo fondamentale gli insegnanti dei nidi, delle materne e delle elementari. Quando il bambino o la bambina inizia, per esempio, a non andare bene a scuola, a mangiare poco, dimostra irrequietezza o aggressività, esibisce comportamenti sessualizzati inadeguati per l’età, fa dei disegni a contenuto sessuale, fa racconti espliciti di una storia di abuso, gli insegnati – adeguatamente sensibilizzati e preparati – leggono questi comportamenti come un segnale di disturbo e si possono rivolgere ai Servizi socio-sanitari competenti. A quest’ultimo spetta il compito di interpretare la totalità degli indicatori, per saper leggere il grado del pregiudizio in cui si può trovare quel bambino o quella bambina. L’équipe multidisciplinare dell’ASLTO2 di Torino lavora proprio in questa direzione, per soppesare la gravità della situazione e mettere in atto una serie di azioni, da una consulenza con l’insegnante per lavorare con la classe al fine di arrivare a comprendere le ragioni del cambio di comportamento, fino ad arrivare, se necessario, all’intervento di segnalazione all’autorità giudiziaria.

Quando l’abuso c’è stato effettivamente…

In questo caso, gli interventi sono di prevenzione terziaria, per proteggere i bambini dall’ambiente abusante. Nel caso di abusi gravi nel nucleo familiare l’abusato viene tolto ai genitori e messo in una comunità terapeutica. Questo è un nodo su cui si discute tanto, cioè sulla necessità di allontanare il piccolo da un nucleo gravemente maltrattante e abusante. Ma più l’abusato è “danneggiato”, più ha bisogno di protezione, di un sostegno terapeutico, di operatori in grado di relazionarsi con lui, prima di poterlo inserire in una famiglia affidataria.

Perché, secondo lei, è necessario un passaggio in comunità?

Un passaggio in una comunità competente è fondamentale perché spesso questi bambini sono molto difficili da “trattare”, vanno molto aiutati a rimuovere i sensi di colpa e vergogna, a capire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Una volta che la vittima dell’abuso ha compiuto questo primo percorso terapeutico, auspicabilmente non manifesta più i sintomi dei comportamenti sessualizzati, ed è più disposto a passare alla famiglia affidataria che a sua volta è più facilitata nell’accogliere il minore.

Abbiamo parlato di prevenzione sia primaria, che secondaria e terziaria. E per quanto riguarda la diagnosi del problema? A chi spetta questo difficile e delicato compito?

Per occuparsi della violenza sui minori, bisogna essere molto equilibrati e muoversi con molta competenza tecnica. È fondamentale una presa in carico multidisciplinare e multiprofessionale perché – trattandosi di un fenomeno complesso che coinvolge l’area sociale, psicologica, legale e medica – la diagnosi di certezza richiede una valutazione nella quale confluiscano competenze diverse, e questa non può essere che multidisciplinare. Il lavoro richiede un’attenta analisi dei sintomi fisici, comportamentali e psico-sociali del prepubere, che devono essere letti nella loro totalità per arrivare a un’ipotesi di abuso sessuale. Una parte importante, in questa diagnosi multidisciplinare, spetta al medico perché l’abuso sessuale è una patologia a tutti gli effetti.

Il ruolo del pediatra…

Anche è lui è importante nel processo diagnostico. Il suo ruolo non è certamente facile, perché il paziente è il bambino, la bambina, ma la relazione forte si instaura con il genitore. Per questo il pediatra si trova in difficoltà e serve lavorare in concerto con una équipe multidisciplinare.

Chi deve condurre la valutazione medica di sospetto di abuso sessuale nel minore ha diverse responsabilità, non da ultimo minimizzare il rischio di errori nella diagnosi e saper accogliere il bambino senza che la visita non rappresenti un ulteriore trauma…

Al medico viene richiesta una competenza professionale ed emotiva per garantire un adeguato percorso diagnostico. Il medico competente, di fronte a una ferita del bambino o della bambina, che sia una ferita ai genitali o una semplice contusione al braccio, dovrebbe disporre di una diagnostica differenziale per interpretare i segni fisici e definire la causa della ferita. Ad esempio, una perdita genitale può avere una causa infettiva ad esempio da stafilococco, o può essere legata all’effetto degli estrogeni materni nelle neonate, oppure essere il segno di una scarsa igiene personale o di un trauma, incluso l’abuso sessuale. Come punto di partenza il medico deve tenere in considerazione la totalità delle ipotesi diagnostiche e, per esclusione, arrivare alla certezza diagnostica. Il mancato rilievo di segni fisici non esclude che il bambino, o la bambina, non sia vittima di abuso sessuale: nella letteratura scientifica viene riportato che più del 90 per cento dei minori, vittime di un abuso sessuale accertato, presenta reperti genitali e/o analisi normali o non specifici. In questi casi il medico deve comunque effettuare una segnalazione al servizio sociale quando resta il sospetto di abuso sulla base di determinate circostanze. Il medico ha il dovere di acquisire la competenza tecnica per fare una diagnosi corretta; ma ha anche l’obbligo, una volta valutato il problema dal suo punto di vista, di uscire dall’autoreferenzialità e rapportarsi con le altre figure professionali, per una diagnosi e presa in carico multidisciplinare e per individuare il percorso terapeutico più appropriato per aiutare la vittima dell’abuso. A questo si aggiunge l’intervento per i genitori, compreso l’adulto abusante.

Il nostro Paese è pronto a prendersi cura dell’abuso sessuale nei minori?

In parte… In Italia si è iniziato a parlare di questo fenomeno intorno agli anni Novanta. Piano piano sono state avviate delle iniziative e dei servizi sociali competenti per una presa in carico multiprofessionale del problema. La situazione è ancora a macchia di leopardo. A questo si aggiunge la scarsa formazione dei medici per far fronte alla patologia dell’abuso nei prepuberi, basti pensare che all’università: nei corsi universitari di specializzazione non sono quasi mai previsti corsi ad hoc.

Da poco il Gruppo di lavoro per l’abuso e il maltrattamento dell’infanzia, da lei coordinato, ha pubblicato una Guida che presenta sinteticamente cosa fare per una valutazione appropriata dell’abuso sessuale nei prepuberi.

Sì. Il gruppo di lavoro, composto da 33 figure professionali tra ginecologi, medici legali e pediatri, si è formato nel 2003 proprio per la necessità di aggiornarsi sulla base della letteratura scientifica, in particolare quella condotta negli USA e in Gran Bretagna dove si è prodotto molto sull’abuso sessuale dei bambini, di condividere le esperienze e confrontarsi. Abbiamo così elaborato un documento di semeiotica medica, che abbiamo poi sottoposto alla lettura e revisione delle società e associazioni che in Italia si occupano dei minori in generale: la Società Italiana di Pediatria, l’Associazione Culturale Pediatri, la ‘Infanzia e dell’Adolescenza. Con il loro patrocinio è stata realizzata questa Guida L’abuso nei bambini prepuberi. Requisiti e raccomandazioni per una valutazione appropriata, che mi auguro possa servire come strumento pratico da usare laddove il medico venga a contatto con un abuso sessuale nei prepuberi.

Sono previsti dei corsi di formazione?

La Guida verrà utilizzata come materiale di lavoro per un corso di formazione che abbiamo organizzato a Torino, e mi auguro anche per altri eventi formativi su tutto il territorio. Verrà poi distribuita nei Convegni delle società e associazioni che hanno dato il patrocinio. Inoltre, è stata prevista una versione online.

Per concludere, una sua riflessione sui maltrattamenti e abusi nell’arena mediatica…

Sono ginecologa e sono psicoterapeuta, personalmente vorrei fossero vietate le cronistorie e le trasmissioni televisive che parlano di bambini maltrattati e abusati sessualmente. Si tratta di un modo di fare informazione che – per una questione di mercato – fa appello alla morbosità del fruitore dell’informazione, alla facile eccitabilità mediatica della popolazione. Sono dell’idea che la stampa e la televisione debbano dare informazioni che arricchiscano la parte più sana e riflessiva del lettore e dello spettatore. Qual è il valore aggiunto nel sapere come è stato condotto un omicidio o una violenza? Nessuno. Con questo non voglio negare il diritto all’informazione. Questo diritto ci deve essere e deve essere tutelato, definendo però cosa intendiamo per informazione. Una cosa è esporre l’incidenza di un problema, come può essere l’abuso sessuale sui minori, le evidenze raccolte in letteratura altra, gli interventi possibili eccetera; una cosa è fare di una violenza uno spettacolo… Il giornalismo buono c’è. È questo che deve essere preservato.  

 

10 novembre 2010

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