Uno dei temi discussi tra i politici è quello della cittadinanza a figli di immigrati. Alla trasmissione Che tempo che fa, il Ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri ha commentato: “lo ius soli semplice avrebbe l’effetto di far nascere in Italia bambini da tutto il mondo”. La cittadinanza dovrebbe “derivare da un insieme di fattori: se un bambino è nato in Italia, i genitori sono stabilmente in Italia e magari ha già fatto parte degli studi qua ed è inserito, allora credo sia giusto”. Dottoressa Lo Giudice, qual è il suo punto di vista di Pediatra di famiglia?
La premessa è che ogni bambino ha il diritto di crescere bene. Ma nascere e crescere in una terra di cui non si è cittadini si traduce in una condizione di instabilità e insicurezza che non aiuta di certo il bambino a crescere bene. Non essere cittadini del Paese in cui si vive significa non godere appieno di tutti i doveri e anche di tutti diritti (come ad esempio il diritto all’asilo nido e alla scuola materna ma solo il diritto/dovere alla scuola dell’obbligo fino a 16 anni), inoltre vuol dire crescere con la possibilità di essere allontanato dal Paese. Tutto questo genera un senso di precarietà e insicurezza, anche all’interno della famiglia, che non favorisce la stabilità psicoaffettiva del bambino e la sua integrazione completa nella nostra Società. Come Pediatra non posso che non contestare tutto ciò che ostacola lo sviluppo sano del bambino e quindi anche la regola dello ius sanguinis. Una regola che tra l’altro è in netta contrapposizione con la convenzione di New York sui diritti dell’infanzia – ratificata dal Governo italiano nel 1991 – e che stabilisce che qualunque bambino presente nel Paese deve godere degli stessi diritti. Da Pediatra di famiglia mi auspico che il Ministro degli Interni cambi posizione… Seguire il principio dello ius soli per acquisire la cittadinanza significa riconoscere al bambino il diritto di crescere con un senso di sicurezza e appartenenza, significa tutelare il bene “salute” quale complessa situazione di benessere psico-fisico.
I bambini risentono più degli adolescenti della mancanza di un senso di sicurezza e appartenenza? O viceversa?
Non avere senso appartenenza incide maggiormente nella fase adolescenziale, ancor di più se la famiglia stessa non è ben integrata. Un report sul successo scolastico degli alunni stranieri del MIUR ha evidenziato chiaramente che c’è un costante minore successo scolastico degli alunni stranieri, e il divario aumenta dalla scuola elementare alla scuola superiore (ndr: la differenza dei tassi di promozione degli allievi stranieri e di quelli italiani è inferiore di 3,36 punti nella scuola primaria, di 7,06 nella secondaria di I grado, e di ben 12,56 nella secondaria di II grado, nella quale più di un alunno straniero su quattro non consegue la promozione). Questo è un chiaro segnale che non avere la piena cittadinanza potrebbe essere causa di una serie di problematiche, quali l’abbandono scolastico e il rischio di incorrere in comportamenti devianti.
Voi pediatri trovate difficoltà a garantire l’assistenza ai figli di immigrati?
Bisogna distinguere i bambini nati in Italia da genitori immigrati non regolari e i bambini nati da genitori immigrati con regolare permesso di soggiorno. I figli di immigrati irregolari, i cosiddetti “clandestini”, possono usufruire delle vaccinazioni e dell’assistenza ospedaliera ma non delle cure primarie perché non possono essere iscritti negli elenchi dei pediatri di libera scelta: non hanno diritto all’assistenza pediatrica di base. Dunque, noi pediatri non possiamo seguirli. Il che vuol dire perdere una quota di medicina preventiva e – ancor di più – vuol dire discriminare i figli degli immigrati. È una grossa problematica da affrontare…
E i figli degli immigrati regolari?
Loro possono essere iscritti negli elenchi dei pediatri di libera scelta, ma allo scadere del permesso di soggiorno possono essere cancellati. A seconda dell’efficienza della burocrazia della Regione, possono esserci dei periodi in cui non usufruiscono dell’assistenza di base e non sono tutelati dalla legge. Si viene quindi a rompere la continuità dell’assistenza del bambino. Nel lavoro con il bambino e con la mamma la continuità è fondamentale. Una mamma che partorisce in terra straniera, senza il supporto parentale della madre e delle sorelle, si trova in una condizione di solitudine e di inadeguatezza. Il nostro ruolo di pediatri è dare sicurezza alla mamma, di visita in visita, allacciando una relazione di fiducia da mantenere nel tempo. Se si perde questa continuità, si perde la mamma e anche il bambino.
A proposito di continuità… Che ne pensa dell’ipotesi del Ministro della Salute di ridimensionare l’area pediatrica alla sola fascia d’età 0-6 anni?
Una pura follia. Anche dal punto di vista economico non conviene allo Stato, perché significa perdere tutta la quota di prevenzione dai 6 ai 14 anni.
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Il bene salute non ha confini
La premessa è che ogni bambino ha il diritto di crescere bene. Ma nascere e crescere in una terra di cui non si è cittadini si traduce in una condizione di instabilità e insicurezza che non aiuta di certo il bambino a crescere bene. Non essere cittadini del Paese in cui si vive significa non godere appieno di tutti i doveri e anche di tutti diritti (come ad esempio il diritto all’asilo nido e alla scuola materna ma solo il diritto/dovere alla scuola dell’obbligo fino a 16 anni), inoltre vuol dire crescere con la possibilità di essere allontanato dal Paese. Tutto questo genera un senso di precarietà e insicurezza, anche all’interno della famiglia, che non favorisce la stabilità psicoaffettiva del bambino e la sua integrazione completa nella nostra Società. Come Pediatra non posso che non contestare tutto ciò che ostacola lo sviluppo sano del bambino e quindi anche la regola dello ius sanguinis. Una regola che tra l’altro è in netta contrapposizione con la convenzione di New York sui diritti dell’infanzia – ratificata dal Governo italiano nel 1991 – e che stabilisce che qualunque bambino presente nel Paese deve godere degli stessi diritti. Da Pediatra di famiglia mi auspico che il Ministro degli Interni cambi posizione… Seguire il principio dello ius soli per acquisire la cittadinanza significa riconoscere al bambino il diritto di crescere con un senso di sicurezza e appartenenza, significa tutelare il bene “salute” quale complessa situazione di benessere psico-fisico.
I bambini risentono più degli adolescenti della mancanza di un senso di sicurezza e appartenenza? O viceversa?
Non avere senso appartenenza incide maggiormente nella fase adolescenziale, ancor di più se la famiglia stessa non è ben integrata. Un report sul successo scolastico degli alunni stranieri del MIUR ha evidenziato chiaramente che c’è un costante minore successo scolastico degli alunni stranieri, e il divario aumenta dalla scuola elementare alla scuola superiore (ndr: la differenza dei tassi di promozione degli allievi stranieri e di quelli italiani è inferiore di 3,36 punti nella scuola primaria, di 7,06 nella secondaria di I grado, e di ben 12,56 nella secondaria di II grado, nella quale più di un alunno straniero su quattro non consegue la promozione). Questo è un chiaro segnale che non avere la piena cittadinanza potrebbe essere causa di una serie di problematiche, quali l’abbandono scolastico e il rischio di incorrere in comportamenti devianti.
Voi pediatri trovate difficoltà a garantire l’assistenza ai figli di immigrati?
Bisogna distinguere i bambini nati in Italia da genitori immigrati non regolari e i bambini nati da genitori immigrati con regolare permesso di soggiorno. I figli di immigrati irregolari, i cosiddetti “clandestini”, possono usufruire delle vaccinazioni e dell’assistenza ospedaliera ma non delle cure primarie perché non possono essere iscritti negli elenchi dei pediatri di libera scelta: non hanno diritto all’assistenza pediatrica di base. Dunque, noi pediatri non possiamo seguirli. Il che vuol dire perdere una quota di medicina preventiva e – ancor di più – vuol dire discriminare i figli degli immigrati. È una grossa problematica da affrontare…
E i figli degli immigrati regolari?
Loro possono essere iscritti negli elenchi dei pediatri di libera scelta, ma allo scadere del permesso di soggiorno possono essere cancellati. A seconda dell’efficienza della burocrazia della Regione, possono esserci dei periodi in cui non usufruiscono dell’assistenza di base e non sono tutelati dalla legge. Si viene quindi a rompere la continuità dell’assistenza del bambino. Nel lavoro con il bambino e con la mamma la continuità è fondamentale. Una mamma che partorisce in terra straniera, senza il supporto parentale della madre e delle sorelle, si trova in una condizione di solitudine e di inadeguatezza. Il nostro ruolo di pediatri è dare sicurezza alla mamma, di visita in visita, allacciando una relazione di fiducia da mantenere nel tempo. Se si perde questa continuità, si perde la mamma e anche il bambino.
A proposito di continuità… Che ne pensa dell’ipotesi del Ministro della Salute di ridimensionare l’area pediatrica alla sola fascia d’età 0-6 anni?
Una pura follia. Anche dal punto di vista economico non conviene allo Stato, perché significa perdere tutta la quota di prevenzione dai 6 ai 14 anni.
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