In primo piano

Il cardiologo e l’aggiornamento

Come si aggiorna il cardiologo?

Non si hanno dati certi sulla modalità di aggiornamento perché mancano delle indagini precise su come si aggiorna oggi il cardiologo in Italia. Comunque è importante precisare che parlare indistintamente di cardiologo non è corretto perché oggi si riconoscono varie tipologie di cardiologi che adottano modalità di aggiornamento differenti tra di loro. Ci sono i cardiologi superspecialisti che si occupano di emodinamica, interventistica ed elettrofisiologia, poi i cardiologi clinici ospedalieri e universitari, infine ci sono i cardiologi che operano nell’ambito delle strutture ambulatoriali del territorio. Sono tipologie professionali diverse che operano in strutture diverse e si distinguono anche negli interessi culturali e che, presumibilmente, seguono percorsi di formazione e di aggiornamento in parte diversi tra di loro.

Quali sono le offerte di formazione più o meno specialistiche?

Tra le offerte formatrici congressuali che riguardano ogni categoria, cito il congresso dell’Associazione Nazionale di Medici Ospedalieri (ANMCO), quello della Società Italiana di Cardiologia (SIC) e il simposio “Conoscere e curare il cuore”: sono le tre occasioni più gettonate a livello nazionale. Poi esistono i congressi delle sottospecialità che seguono aggiornamenti specifici, come quelli di interventistica, di ecografia, di riabilitazione, di elettrofisiologia e così via. Infine vi sono diverse offerte locali che però – a mio avviso – sono troppe e, purtroppo, di qualità non rilevante quando invece questa modalità sarebbe fondamentale per una reale formazione medica, che superi il gap tra teoria e mondo reale.

Quindi il congresso rappresenta la principale modalità di formazione continua per il cardiologo italiano…

Il congresso può rappresentare una buona modalità, ma sicuramente non è la sola n probabilmente la più importante. Il medico può infatti aggiornarsi sui lavori presentati al congresso senza parteciparvi fisicamente ma, in modo molto più semplice, accedendo a Internet dove nell’arco di pochi giorni sono disponibili articoli, presentazioni e commenti relativi al congresso. Quindi il medico può liberamente scegliere di andare al congresso solo in casi specifici, come potrebbe essere la necessità di incontrare dei colleghi, di partecipare a riunioni e comitati, oppure di confrontarsi con qualche esperto…

Come sarebbe quindi augurabile che si aggiornassero i cardiologi?

Reputo la lettura delle interviste, sia nella versione cartacea che elettronica, uno strumento fondamentale per l’acquisizione di informazioni aggiornate. A questo aggiungerei la ricerca sul web, che oggi viene facilitata anche da alcuni siti internazionali di cardiologia qualificati che in più dedicano degli spazi a dibattiti e confronti. Parallelamente alla partecipazione a congressi e ai corsi di aggiornamento che si basano su un’esposizione frontale, ritengo che gran parte dell’aggiornamento debba seguire la modalità dell’e-learning, e considero la “vecchia” lettura delle riviste specialistiche ancora la risorsa più importante.

Qual è il suo giudizio sui nuovi strumenti di educazione continua a distanza?

Ritengo sia un valido strumento di formazione di facile fruibilità. L’unico punto debole potrebbe riguardare la difficoltà nella valutazione del livello di apprendimento raggiunto.

Nella nostra serie di interviste sulla formazione è emerso da più voci il valore formativo della partecipazione a progetti di ricerca e alla stesura delle linee-guida. Lei riconosce questo valore anche nell’ambito della cardiologia?

Assolutamente si! Anzi, rivendico in qualche misura alla cardiologia italiana il merito di aver sperimentato per prima questo percorso formativo soprattutto attraverso l’esperienza degli studi GISSI. Studi pragmatici su larga scala, che hanno esplorato (e in parte risolto) problemi clinici rilevanti, coinvolgendo la maggior parte delle strutture cardiologiche italiane. In pratica a partire dagli anni Ottanta l’intera comunità assistenziale cardiologia si è in qualche misura trasformata in una comunità di ricerca clinica, e questo ha sostanzialmente contribuito a far sì che la cardiologia italiana divenisse assolutamente competitiva con quella degli altri paesi avanzati, non solo e non tanto nei punti di eccellenza, ma soprattutto nella prassi diffusa. Questo originale percorso formativo mi appare più fecondo rispetto a certe modalità di ECM, oggi in atto nel nostro Paese, in cui la formazione sembra più orientata all’acquisizione di crediti che allo sviluppo di una reale competenza clinica: purtroppo mi sembra che oggi il credito prevalga sulla cultura.

Come potrebbe essere invertita questa tendenza poco formativa?

Un’ulteriore modalità da adottare sarebbe quella di agire a livello locale di Asl e/o azienda ospedaliera avvicinando gli specialisti (i cardiologi nel nostro caso) ai medici di medicina generale (MMG), perché possano mettere a confronto non solo le loro conoscenze ma anche le difficoltà applicative che si incontrano. Solo in questo modo si può pensare da un lato di superare il gap tra efficacia teorica (desumibile dai trial e dalle linee-guida) ed efficacia pratica rilevabile nel mondo reale, dall’altro di garantire non solo operatori sanitari ben formati ma anche un contesto di organizzazione sanitaria locale in grado di superare gli ostacoli che inevitabilmente si incontrano nella pratica clinica. Oggi disponiamo di linee-guida valide che, seppure conosciute dai medici, non vengono applicate perché non tengono conto del contesto locale e, quindi, non si concretizzano in “percorsi diagnostico-terapeutici”.

Un passo fondamentale per trasferire le conoscenze teoriche generali nel contesto della pratica clinica locale…

Sì, e per farlo è indispensabile passare da una formazione esclusivamente teorica a una formazione che consenta di entrare nel merito al fine di trasferire le conoscenze al contesto reale in cui i medici operano.

Il confronto con cardiologi potrebbe inoltre servire per formare i MMG nella gestione nel paziente cardiopatico e nella prevenzione cardiovascolare…

Nella cardiologia l’integrazione tra specialisti e MMG è essenziale: le cardiopatie infatti sono caratterizzate da momenti di acuzie che richiedono la specifica competenza dello specialista e la sofisticata tecnologia ospedaliera, ma poi hanno un andamento cronico progressivo e la loro gestione sul lungo periodo non può non ricadere sul MMG. Anche la formazione pertanto non dovrebbe essere disgiunta, specie per quegli aspetti rilevanti come la prevenzione primaria e secondaria, la gestione dello scompenso cardiaco e della fibrillazione atriale. Importante è che la formazione non sia solo unidirezionale da specialista a MMG, ma che avvenga tramite un confronto sui problemi e nel rispetto delle reciproche competenze.

Qual è la sua rivista preferita di medicina interna?

A pari merito The Lancet e The New England Journal of Medicine.

E quale di medicina specialistica?

Circulation.

A quale congresso lei cerca di "non mancare"?

Oltre ai tre congressi nazionali che ho citato – SIC, ANMCO, Conoscere e curare il cuore – cerco di non mancare al Congresso della Società europea di Cardiologia e a quello dell’American Heart Association.

Quali altri strumenti di educazione non "canonici" suggerirebbe a un suo collega? Narrativa, cinema, arte, interventi nel sociale?

La fiction rappresenta certamente uno strumento di informazione fruibile dal cittadino, che può rivelarsi utile anche al medico per tematiche che non sono di sua competenza. Ne è un esempio la trasmissione televisiva ER. Un altro canale di comunicazione da non sottovalutare è la stampa laica che può paradossalmente influire sull’aggiornamento del medico. Infatti i medici appaiono essere dei fruitori assidui della copertura di argomenti medici da parte dei media, a cui attingono per preselezionare nell’enorme massa di pubblicazioni e ricerche. Secondo uno studio del 1991, un articolo pubblicato sul New England ha una probabilità tre volte maggiore di essere citato nella letteratura scientifica se è stato citato sul New York Times.

 

6 aprile 2005

Bibliografia

Phillips DP, Kanter EJ, Bednarczyk B, Tastad PL. Importance of the lay press in the transmission of medical knowledge to the scientific community. N Engl J Med 1991; 325: 1180-3.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *