In viaggio verso Lone Pine
Se andrete nella California del Sud non resisterete certo alla tentazione di calpestare le spiagge di Santa Monica, Long Beach, Malibù, né di correre a Hollywood o di sconfinare in Nevada fino a Las Vegas. La California marina, mondana e sorridente è quella lì. Ma due o tre giorni riservateli a una California meno ridente, alla dura e arida terra del Western cinematografico.
Prendete a nord di Los Angeles, e dopo Pasadena, la Highway 395, una strada dritta come una spada e fate un paio di centinaia di miglia. La 395 ben presto sarà a due corsie poi, sempre più diritta, a una sola corsia; vi troverete presto nel deserto del Mojave. Perderete per strada gli alberi; vi rimarranno solo i ciuffi alti degli ispidi Joshua Trees, con le barbe di Giosuè stese lungo i fianchi, che hanno imparato a vivere senza acqua. A fianco delle vostre ruote un solo tenero Antiquity con le foto di Delano Roosvelt, aridi cespugli giallastri. Su, più a Nord bianchi laghi di sale, accecanti, sulla vostra destra, mentre cominceranno a vedersi le montagne delle Sierra Nevada che sorgono dal nulla e al tramonto hanno un colore azzurro scuro.
Dopo quasi 400 chilometri sarete a Lone Pine e vedrete a occidente, sorgere praticamente dal piano, alto quanto il Cervino, il monte Whitney con la neve dei suoi 4418 metri.
Lone Pine è un paese del vecchio West: 1600 abitanti, sulla via principale una manciata di case in legno con la data in cima: 1897, 1910. L’atmosfera è quello del film western e sul legno delle pareti delle piccole Eating house, trovate incise le firme di Gary Cooper, Edward G. Robinson, Virginia Mayo, Randolph Scott, Douglas Fairbanks jr. E foto di scena di film girati da quelle parti: da How the west was gone a Springfield rifle a Westbound a Gunga Din. Qui si è raccontata, con il cinema, l’ultima umana epopea: l’Odissea degli uomini del West.
Vedrete una clinica per le cure dei denti degli indiani Inyo in cui si può entrare chinandosi , ma non saprete che Lone Pine è uno dei punti oscuri della storia americana moderna: qui vicino, a Manzanar, 11.000 giapponesi, e fra questi due terzi di cittadini americani, vi furono rinchiusi nel corso della seconda guerra mondiale perché evitassero di stare dalla parte dei nemici. Un canto racconta “… and they drove us through the desert, to a place called Manzanar a spanish word for apple orchards“. Altri 100 mila giapponesi furono racchiusi in altri campi.
Da Lone Pine andrete obbligatoriamente verso la Death Valley, continuando a percorrere laghi di sale. Al Mojave disperato, ma con la sua bellezza intatta, si sostituirà un immaginario toponomastico infernale con cui la valle della morte cercherà di fermarvi per lasciare solo al cinema i suoi segreti: Devil golf course, Furnace Creek, giù, giù fino alle Funeral Mountains. Anche la Dante’s View, discutibile profilo roccioso di Dante, è qui forse più come richiamo al suo Inferno che al vero profilo del poeta.
Poi finirete inevitabilmente, ancora cinema, a Zabrinsky Point. La poesia di Zabrinski , con le costolature che si inseguono e si rincontrano sotto un azzurro accecante non si può raccontare. E non fate i baggiani: non cercate di fotografarlo Zabrinsky. La valle non vi permette di portare via nulla. Quei colori che vi stanno incantando non si trasferiranno mai sulla vostra pellicola. A casa porterete solo tinte banalissime. I colori di Zabrinsky rimangono solo nella memoria e non li farete vedere agli amici.
Ma attenzione: non prendetemi alla lettera. E non andateci ora, d’agosto; potreste essere arrostiti nella vostra auto come capitò, in un caldo ottobre, a quel mio amico, psichiatra, che non sapeva che l’auto presa in noleggio era dotata di aria condizionata!
Un libro da mettere in valigia? “Assoluzione” scritto da Antonio Monda (Mondandori, 2008), un italiano che vive in America che si occupa di Cinema. Il libro è una riflessione sulla giustizia e raccoglie molte riflessioni sull’America e sul cinema, specialmente sul cinema americano.
In primo piano
Inventiamo Pensieri e costruiamo realtà
Per una Repubblica delle banane ormai quasi privata dell’inno nazionale, non avere più regole diventa quasi normale; l’importante che ci siano controlli, dice il tale: ma controlli de che, a quel punto? Insomma, andiamo in vacanza che è meglio. Abbiamo rintracciato un po’ di nostri autori e guardiamo insieme la mappa di sogni e realtà.
Vanno molto balene e baleniere, ne vedranno Quadrino e Bert, ma anche Dobrilla e Geddes, che (mi raccomando) non parleranno del Pensiero in Normandia seduti a un tavolo insieme a mangiare ostriche, finché ci sono. Sull’altra sponda, Fioritti sui luoghi di Melville, innamorato però del Portogallo.
Altri States per Biasini e Romanini: quanto dareste per vederli insieme sulla spiaggia di Malibu, shorts a fiori e tavola da surf? Luciana Ballini (in moto?) e Maria Francesca Siracusano per una Sicilia antica e lenta; giradischiSilvana scappa da Giorgio, approda sulla spiaggia e ascolta Gino Paoli: sarà mica Panicaccio quel tipo là, sotto l’ombrellone?
La Grandori sui sentieri di montagna segue il passo del Professore esperto d’alte vie, ma la Luisella ne scuoterebbe forse il passo, ché la monotonia non è il suo ritmo, come per Giorgino, il figlio di Marina, che sarebbe bello se facesse amicizia con quei tipi svegli dei figli di Bertolini, quelli del miliardano, che inventano parole che diventano verità.
Insomma, ci si rincontra tutti, quest’estate. Sarebbe il massimo se si ritrovassero insieme Maurizio e Papitolindo: secondo voi, si riconoscerebbero?
Sentiamo cos’hanno da dire in proposito:zionale, non avere più regole diventa quasi normale; l’importante che ci siano controlli, dice il tale: ma controlli de che, a quel punto? Insomma, andiamo in vacanza che è meglio. Abbiamo rintracciato un po’ di nostri autori e guardiamo insieme la mappa di sogni e realtà.
Vanno molto balene e baleniere, ne vedranno Quadrino e Bert, ma anche Dobrilla e Geddes, che (mi raccomando) non parleranno del Pensiero in Normandia seduti a un tavolo insieme a mangiare ostriche, finché ci sono. Sull’altra sponda, Fioritti sui luoghi di Melville, innamorato però del Portogallo.
Altri States per Biasini e Romanini: quanto dareste per vederli insieme sulla spiaggia di Malibu, shorts a fiori e tavola da surf? Luciana Ballini (in moto?) e Maria Francesca Siracusano per una Sicilia antica e lenta; giradischiSilvana scappa da Giorgio, approda sulla spiaggia e ascolta Gino Paoli: sarà mica Panicaccio quel tipo là, sotto l’ombrellone?
La Grandori sui sentieri di montagna segue il passo del Professore esperto d’alte vie, ma la Luisella ne scuoterebbe forse il passo, ché la monotonia non è il suo ritmo, come per Giorgino, il figlio di Marina, che sarebbe bello se facesse amicizia con quei tipi svegli dei figli di Bertolini, quelli del miliardano, che inventano parole che diventano verità.
Insomma, ci si rincontra tutti, quest’estate. Sarebbe il massimo se si ritrovassero insieme Maurizio e Papitolindo: secondo voi, si riconoscerebbero?
Sentiamo cos’hanno da dire in proposito:
Da qui conviene lasciarsi guidare lungo la costa o nell’interno più dall’istinto che dalle guide turistiche. Uno scorcio di mare che indica una spiaggia, un sentiero che inizia dalle dune e si apre misteriosamente su un inatteso monumento megalitico, una “allée couverte” che domina il mare.
O seguire il fascino dei nomi dei luoghi: la Baie des Trépassées, che evoca lontani naufragi, la pointe de la chèvre. Turisti pochi. K-way di rigore, la pioggia arriva improvvisa, poi smette; nuvole che corrono, luce che cambia di continuo, e il colore del mare che cambia insieme a lei.
Bisogna guardarsi intorno per scoprire i tesori dei luoghi: antichi calvaires dilavati dal vento e dalla pioggia, chiese con la volta a chiglia di nave. Emozionanti cimiteri marini dove i cognomi che si ripetono e l’età dei dispersi parlano di padri, figli, nipoti scomparsi con le loro navi in lontane cacce alla balena.
È un viaggio per chi ama questo tipo di mare; per chi ama il mare vero. In valigia, qualche romanzo non maigrettiano di Simenon (ce n’è sempre qualcuno che non si è letto…). Musica? Escludendo la musica celtica, la scelta è fra la musica della natura (vento, onde, gabbiani, il tintinnio delle barche a vela), una compilation di Paolo Conte, un ciclo di lieder di Schubert (Winterreise, per esempi). Più il piacere sempre più raro del chiacchierare in coppia, parlando del mare.
P.S.: per la componente femminile della coppia (Silvana) la conclusione ideale di questa vacanza è una settimana di regressione adolescenziale su una spiaggia mediterranea: sole, mare blù, crema solare, frammenti di vita di familiare rubati alle chiacchiere dei vicini di ombrellone, cercando di indovinare chi ucciderà per primo l’altro e come. Gino Paoli canta “Sapore di sale”.
La musica? Se siete sul posto, sintonizzate l’autoradio sui 94.7 FM di The Wave. Altrimenti qualsiasi brano prodotto da David Foster e Jay Graydon tra il 1977 e il 1983. Uno solo? Allora devo dirottarvi su “What you won’t do for love” di Bobby Caldwell.
Tempo per i libri, pochissimo. Se state solo sognando la California e puntate a una lettura disimpegnata mi affiderei a un romanzo del grande Steve Martin, meglio ancora alla sceneggiatura di L.A Story!
“Una solitudine troppo rumorosa“, di Bohumil Hrabal (Einaudi, 2006). In questo libro tutto è inusuale: la storia, lo stile, i pensieri che evoca. Il protagonista, Hanta, è adetto a una pressa che distrugge libri, ma li ama talmente che riesce a salvarne l’anima in modo fantasioso e a sottrarne al macero ogni giorno qualcuno. “quando incomincio a leggere – dice Hanta – sto proprio altrove, sto nel testo, io mi meraviglio e devo colpevolmente ammettere di essere davvero stato in un sogno, in un mondo più bello, di essere stato nel cuore della verità. ….. ritorno dal lavoro, silenzioso e in profonda meditazione cammino per le vie, oltrepasso i tram e le auto e i passanti nella nube dei libri che ho trovato quel giorno …. sorrido, perché in borsa porto libri dai quali mi aspetto che a sera apprenderò di me stesso qualche cosa che ancora non so”. Hrabal scrive usando lunghi periodi che possono durare anche tutta una pagina senza prendere fiato, passando continuamente da un’immagine che ne suggerisce un’altra e poi un’altra ancora, quasi all’infinito. In un mondo sempre in bilico tra sogno e realtà, una poesia un po’ folle che diverte e trascina.
Il viaggio
Il viaggio che vorrei fare da sempre, è un lungo giro per rifugi di montagna. Con poche cose, in silenzio, guardando e pensando o anche solo lasciandomi portare dal ritmo dei passi e del respiro, senza pensare, per giorni e giorni. Vorrei andarci da sola, ma non sono abbastanza esperta per poterlo fare. Mi devo accontentare di passeggiate giornaliere in luoghi che conosco già. Va bene lo stesso, purché sia montagna, purché sia silenzio, purché sia pensieri in libertà o libertà di perdersi in tutto il resto intorno.
La musica
La sonata n. 5 di Galuppi. È una musica limpida, una musica che potrebbe suonare un bambino, quasi un carillon. Evoca le immagini proiettate sul muro da una lanterna magica, un giostra che gira lenta. È un po’ malinconica ma soprattutto consola, come se nell’assurdità dentro e fuori di noi ci fosse un filo nascosto che lega tutto, passato, presente, futuro. Un filo limpido e dolcissimo come questa musica.
Plinio, Storia Naturale, Libri 28-32, Einaudi, I Millenni, Volume IV, Medicina e Farmacologia.
Certo, si tratta di schede tecniche colposamente non aggiornate di medicinali alquanto imperfetti ma…
Il viaggio
Le Alte Vie delle Dolomiti, Alta Via 1, Dal Lago di Braies a Belluno, a piedi da rifugio a rifugio, 9-13 tappe. Il primo tratto nel magico Regno dei Fanes.
La musica
Muzio Clementi: “Sonate, Duetti & Capricci”. Interpreti: Pietro Spada e Giorgio Cozzolino.
Antistress!
…e sempre sospirare,pregare a mani tese:
Pur che il mio nome appaia nel Mercurio Francese?
No,grazie! Calcolare, tremar tutta la vita
far piu’ tosto una visita che una strofa tornita,
scrivere suppliche, qua e la farsi presentare?
Grazie no, grazie no, grazie no! Ma….cantare,
sognar sereno e gaio, libero, indipendente,
aver l’occhio sicuro e la voce possente,
mettersi quando piaccia il feltro di traverso,
per un si, per un no, battersi o fare un verso!
Lavorar, senza cura di gloria o di fortuna,
a qual sia più gradito viaggio, nella luna!
Nulla che sia farina d’altri scrivere,e poi
modestamente dirsi: ragazzo mio, tu puoi
tenerti pago al frutto, pago al fiore,alla foglia
pur che nel tuo giardino, nel tuo,tu li raccolga!
Poi se venga il trionfo, per fortuna o per arte,
non dover darne a Cesare la più piccola parte,
aver tutta la palma della meta compita,
e, disdegnando d’essere l’ellera parassita,
pur non la quercia essendo, o il gran tiglio fronzuto
salir anche non in alto,a salir senza aiuto!
Un piccolo libro in un bagaglio necessariamente piccolo per arrivare alla mia meta, “La scala dei Turchi“, un angolo di Sicilia antico e di una bellezza magnifica, ma non violenta né aggressiva, spalancato sul mare infinito, al quale attraccare con una barca a vela, ascoltando il silenzio. E senza disturbare la voce del mare, ascolterei “Joy” di Giovanni Allevi, per la sua energia e la sua grazia, e l’ultimo di Francesco De Gregori, “Per brevità chiamato artista“, con tante canzoni che sono la storia della mia storia e per cercare di stabilire, come dice Woody Allen, “se un ricordo è qualcosa che hai o che hai perduto”.
Trovare l’occasione per riflettere sul potere della musica nel comunicare emozioni del tutto individuali oppure nell’educarci al paziente esercizio della condivisione attraverso la disciplina dell’ascolto non può dunque essere perduta. Significa riappropriarsi della consapevolezza e del piacere di ascoltarla.
È quello che accade nella lettura de “La musica sveglia il tempo“, di Daniel Barenboim (Feltrinelli, 2007). Un libro che riesce ad accarezzare i nostri pensieri facendoci conoscere il senso del silenzio e del suono, illuminando, attraverso il risveglio della nostra attenzione ai segni vitali, anche il senso della nostra vita. Pensiamo a questa opportunità durante un viaggio di vacanza o nei tardi pomeriggi dopo una giornata di sole e di mare, oppure dopo una lunga e rilassante passeggiata in montagna. A me è successo di provarlo proprio nella scorsa primavera facendo un lungo viaggio prima in aereo e poi in treno.
E al termine della lettura scoppia anche la voglia di ascoltare la musica cui Barenboim fa riferimento nel suo libro.
Se c’è una conseguenza positiva di vivere un’epoca nella quale si possono ricordare secoli di produzione musicale è l’opportunità di essere coevi – e quindi seguirne con partecipazione i percorsi artistici – di compositori capaci di condensare tanta storia musicale, modellandola attraverso capacità creative. È quello che sta accadendo alla storia musicale di Giovanni Allevi, pianista e compositore noto anche al grande pubblico per le sue preziose composizioni. Classici come Chopin, Rachmaninov, Bach, Scarlatti, Palestrina, Debussy, insieme a contemporanei più “leggeri” come Chick Corea o Sting riecheggiano nella musica di Allevi, mescolando un senso rassicurante di deja-vu con una ventata di originalità, a sua volta intrisa di sensazioni vicinissime alla nostra moderna sensibilità.
Guardare il mare seduti sotto l’ombrellone è la condizione perfetta per ascoltare i dischi di Allevi e gustare l’ultimo uscito, “Evolution“. L’orizzonte ci apparirà ancora più lontano insieme alle nostre ansie e alle nostre paure.
Se andrete nella California del Sud non resisterete certo alla tentazione di calpestare le spiagge di Santa Monica, Long Beach, Malibù, né di correre a Hollywood o di sconfinare in Nevada fino a Las Vegas. La California marina, mondana e sorridente è quella lì. Ma due o tre giorni riservateli a una California meno ridente, alla dura e arida terra del Western cinematografico.
Prendete a nord di Los Angeles, e dopo Pasadena, la Highway 395, una strada dritta come una spada e fate un paio di centinaia di miglia. La 395 ben presto sarà a due corsie poi, sempre più diritta, a una sola corsia; vi troverete presto nel deserto del Mojave. Perderete per strada gli alberi; vi rimarranno solo i ciuffi alti degli ispidi Joshua Trees, con le barbe di Giosuè stese lungo i fianchi, che hanno imparato a vivere senza acqua. A fianco delle vostre ruote un solo tenero Antiquity con le foto di Delano Roosvelt, aridi cespugli giallastri. Su, più a Nord bianchi laghi di sale, accecanti, sulla vostra destra, mentre cominceranno a vedersi le montagne delle Sierra Nevada che sorgono dal nulla e al tramonto hanno un colore azzurro scuro.
Dopo quasi 400 chilometri sarete a Lone Pine e vedrete a occidente, sorgere praticamente dal piano, alto quanto il Cervino, il monte Whitney con la neve dei suoi 4418 metri.
Lone Pine è un paese del vecchio West: 1600 abitanti, sulla via principale una manciata di case in legno con la data in cima: 1897, 1910. L’atmosfera è quello del film western e sul legno delle pareti delle piccole Eating house, trovate incise le firme di Gary Cooper, Edward G. Robinson, Virginia Mayo, Randolph Scott, Douglas Fairbanks jr. E foto di scena di film girati da quelle parti: da How the west was gone a Springfield rifle a Westbound a Gunga Din. Qui si è raccontata, con il cinema, l’ultima umana epopea: l’Odissea degli uomini del West.
Vedrete una clinica per le cure dei denti degli indiani Inyo in cui si può entrare chinandosi , ma non saprete che Lone Pine è uno dei punti oscuri della storia americana moderna: qui vicino, a Manzanar, 11.000 giapponesi, e fra questi due terzi di cittadini americani, vi furono rinchiusi nel corso della seconda guerra mondiale perché evitassero di stare dalla parte dei nemici. Un canto racconta “… and they drove us through the desert, to a place called Manzanar a spanish word for apple orchards“. Altri 100 mila giapponesi furono racchiusi in altri campi.
Da Lone Pine andrete obbligatoriamente verso la Death Valley, continuando a percorrere laghi di sale. Al Mojave disperato, ma con la sua bellezza intatta, si sostituirà un immaginario toponomastico infernale con cui la valle della morte cercherà di fermarvi per lasciare solo al cinema i suoi segreti: Devil golf course, Furnace Creek, giù, giù fino alle Funeral Mountains. Anche la Dante’s View, discutibile profilo roccioso di Dante, è qui forse più come richiamo al suo Inferno che al vero profilo del poeta.
Poi finirete inevitabilmente, ancora cinema, a Zabrinsky Point. La poesia di Zabrinski , con le costolature che si inseguono e si rincontrano sotto un azzurro accecante non si può raccontare. E non fate i baggiani: non cercate di fotografarlo Zabrinsky. La valle non vi permette di portare via nulla. Quei colori che vi stanno incantando non si trasferiranno mai sulla vostra pellicola. A casa porterete solo tinte banalissime. I colori di Zabrinsky rimangono solo nella memoria e non li farete vedere agli amici.
Ma attenzione: non prendetemi alla lettera. E non andateci ora, d’agosto; potreste essere arrostiti nella vostra auto come capitò, in un caldo ottobre, a quel mio amico, psichiatra, che non sapeva che l’auto presa in noleggio era dotata di aria condizionata!
Un libro da mettere in valigia? “Assoluzione” scritto da Antonio Monda (Mondandori, 2008), un italiano che vive in America che si occupa di Cinema. Il libro è una riflessione sulla giustizia e raccoglie molte riflessioni sull’America e sul cinema, specialmente sul cinema americano.
“L’anima navigante. Racconti dal Portogallo“, a cura di Gianluca Miraglia e Marcella Sacco (Besa editore, 2006).
Una antologia del racconto portoghese degli ultimi trent’anni molto godibile in viaggio. Venti racconti “fulminanti” dei più grandi autori contemporanei, da Antonio Lobo Antunes, a Lidia Jorge a Josè Rico Direitinho. In poche pagine venti microromanzi. E due prefazioni, una divertentissima di Saramago ed una profonda di Jose Gil. D’estate bisogna leggere il giusto, va privilegiata la brevità e l’intensità…”
Una musica
Ennio Morricone & Dulce Pontes: “Focus”. È un disco che non può non piacere a tutti, a casa, in viaggio, al mare, in montagna… Morricone esprime tutta la sua grandezza affidandola ad una delle più belle voci del mondo, Dulce “bela voz” Pontes, che lo ripaga della fiducia cantando in Portoghese, in Italiano ed in Inglese le musiche per cinema. A cominciare da Nuovo Cinema Paradiso”.
Il viaggio
L’ho fatto ma lo rifarei. Il mare freddo del Massachusetts, attorno a Cape Cod. Partendo da Plymouth, scalo della Mayflower e paese di Sacco e Vanzetti (oggi fiorente comunità italiana, sono tutti discendenti da emigrati emiliani dell’inizio ‘900, parlano ancora il nostro dialetto), scendendo a New Bedford (luogo Melvilliano per eccellenza, è li che è ambientato Moby Dick. C’è il museo della caccia alle balene), risalendo il Cape, attraversando First Encounter Beach (primo incontro tra i pellegrini e gli indiani d’America), poi la stazione cui Marconi inviò il primo segnale radio dalla Cornovaglia, fino a Provincetown, fra paesi di pescatori, lunghe lingue di sabbia bianca nell’oceano, boschi d’acero, canneti e uccelli marini di ogni tipo. E tanto, tanto silenzio.
E il Portogallo? New Bedford e Provincetown sono due comunità fondate da pescatori portoghesi delle Azzorre venuti intorno al 1850 per la caccia alle balene. La lingua ufficiale del posto è ancora il portoghese. Il caldo verde e il baccalà lo fanno proprio come a Lisbona…
Jerome Groopman, “Come pensano i dottori” (Mondadori 2008).
Sono racconti clinici, avvincenti e scritti con grande chiarezza. Si apprende molto sui meccanismi mentali dei medici (e non solo dei medici) e sui possibili “errori di ragionamento”. Si basa su una grande esperienza e su una ottima bibliografia. Lettura ….da vacanza! (provare per credere)!
Un viaggio
Tornare in Bretagna e Normandia rileggendo i racconti di Maupassant. Vedere Mont Saint-Michel (solo da lontano!) e mangiare ostriche prima che una misteriosa malattia (come ci informano i giornali recentemente) le faccia scomparire. Meglio scomparire insieme!
Una musica
Diana Damrau: “Arie di Bravura” (Classics Virgin). Ha la grandezza (quasi) della Callas e una escursione di voce altrettanto ampia! Non so dove si debba ascoltare: in poltrona, in un rifugio di montagna? Io proferirei dal vivo! Forse il cd è adatto per essere ascoltato in barca (ma io non pratico la nautica), come suggerisce il film di Fellini “E la nave va”, con colonna sonora dalla Norma. Ascoltate le arie da “Cublai, Gran Khan dei Tartari” (sembra il titolo di un fumetto!!). Autore – come a voi tutti noto (?) – Antonio Salieri. Oltre che innocente della morte di Mozart era un compositore di grande livello!!
Il libro ideale da accompagnare a questo viaggio, per gli appassionati di archeologia è senz’altro “La città perduta degli Inca”, scritto dal Hiram Bingham, che scoprì il sito archeologico nel 1911.
La musica che sceglierei per accompagnare questo viaggio è quella di Giovanni Allevi, sia per piano solo che per orchestra. Le ultime composizioni a mio avviso si adattano bene alla ricerca di un equilibrio tra l’uomo, la civiltà e la natura.
“Babbo Natale Gesù adulto. In cosa crede chi crede”, di Maurizio Ferraris (Bompiani 2006). Serve a riflettere su cose sulle quali, ipnotizzati dalla TV, si riflette poco.
Un viaggio
Dalla Normandia ad Arcachon, con sosta obbligata a Mont Saint Michel (pernottando però al Manoir de la Roche, Torin, a 11 Km con vista sul MSM). L’emozione di tante croci bianche (alcune senza nome) del cimitero di Omaha Beach a ricordarci, anche se siamo in villeggiatura, che il nazismo è stata una cosa mostruosa.
Una musica
Qualche buon CD con Armstrong o Nat King Cole in cui non manchi “Solitude” di Duke Ellington, “Unforgettable” e “Moon River”.
“Il fondamentalista riluttante“, Mohsin Hamid (Einaudi 2007).
Un piccolo romanzo appassionante che si legge in poche ore, ma lascia un segno indelebile. Un giovane pakistano, economista di successo, che lavora per una famosa azienda americana, in seguito alla caduta delle torri gemelle, vede progressivamente crollare le certezze su cui si era sempre basata la sua esistenza e si trasforma lentamente in un fondamentalista…”riluttante”.
Con una scrittura avvincente ed una forma letteraria originale, mette a fuoco molte contraddizioni della nostra epoca.
Una musica
Ali Farka Touré & Toumani Diabate, “In the Heart of the Moon”, World Circuit 2005.
Due grandi musicisti del Mali, uno più tradizionale e uno più all’avanguardia, si uniscono per produrre un disco, la cui musica ti culla in una straordinaria atmosfera di sogno, ovunque ti trovi ad ascoltarla, solo un avvertimento: i bambini non la sopportano: troppo “monotona”!
Un viaggio o una vacanza?
Quest’anno una vacanza “sostenibile”. Sembrerà strano ma esiste ancora una parte (piccola) di costa italiana incontaminata, la costiera del Parco del Cilento, pochi chilometri di costa piena di baie, piccole spiagge, formazioni rocciose dalle forme più fantasiose. Si riscopre il piacere di esplorare il mare in una atmosfera di grande tranquillità. Il posto abitato dove alloggiare è Scario, certamente un posto che vale la pena di conoscere.
“L’eleganza del riccio“, di Muriel Barbery, Edizioni E/O (per ri-dare valore alla riservatezza).
Un viaggio
Un viaggio che da tempo sogno di realizzare: un viaggio in Sicilia (lungo e lento).
Una musica
I Rage against the machine (per non perdere l’abitudine).
Tutti elementi che dovrebbero allietare una serata estiva visitando la Pechino della principessa di gelo con i cori di popolo dei cinesi. Un buon viatico per seguire (criticamente) le imminenti XXIX Olimpiadi. Come arrivare a Torre del Lago? Il suggerimento è di arrivare in treno utilizzando la rete delle ferrovie secondarie (quelle toscane sono una tradizione). Per queste vie interne, tra oliveti, vitigni e insediamenti industriali (anche) d’epoca, potrebbe capitare di imbattersi, con sorpresa, in alcuni cinesi: non sono “fantasmi” e nemmeno le comparse della Turandot, ma parte di quella ampia comunità che lavora (con ritmi e regole cinesi) nella moltitudine dei laboratori manifatturieri (cinesi) sparsi attorno alla Versilia. Può quindi essere utile far precedere al viaggio la lettura del libretto dell’opera e di “Cindia“, libro di Federico Rampini (Mondadori, 2007).
Ad esempio, nel settore farmaceutico è di moda parlare di meno regole e più controlli. Un po come se decidessimo di ritenere che per segnare il tempo sia sufficiente affidarsi alle ore senza più gli inutili minuti e secondi aggiungendo un più costante controllo dell’orologio. Insomma, un gran mal di testa con infinite discussioni su immancabili ritardi ed anticipi. Ma tant’è.
Per accompagnare la lettura consiglio la musica di Allevi live. Per quanto infine riguarda il viaggio non ho molti consigli se non quello di chiudere gli occhi sulla musica di Allevi e… lasciarsi trasportare.
Posta tra l’Oceano Pacifico e quello Atlantico e confluendo in parte nell’Amazzonia, la Colombia è una nazione ricca sia economicamente che culturalmente, con un immenso patrimonio naturale. Famosa per il narcotraffico (è il principale esportatore mondiale di cocaina) che genera corruzione e mafia, con oltre 3 milioni di desplazados interni (seconda solo al Sudan) la “Colombia, il paese dell’eccesso” di Guido Piccoli (Feltrinelli 2003) è ben altro. Bogotà è quella delle pagine di “Perdere è una questione di metodo” di Santiago Gamboa (Guanda 1998) o del film “La strategia della lumaca” di Sergio Cabrera.
Il fascino/curiosità della selva guerrigliera la si può vedere e “vivere” in zona sicura a Leticia sulle sponde del Rio delle Amazzoni. Mentre risalendo il Rio Magdalena che sfocia a nord nei Caraibi, si possono ripercorrere i luoghi di “Cent’anni di solitudine,” passando per Aracataca (la Macondo di Marquez) fino a Santa Clara e a Cartagena. Il tropico colombiano dominato dal ritmo musicale della cumbia, ma anche dalla musica del menestrello moderno Carlos Vives o dalla voce di Shakira.
L’esposizione mediatica intensa (ed esagerata) di Ingrid Betancourt di questi giorni ha moventi ed interessi molteplici che preludono ad un ritorno sulla scena internazionale in un prossimo futuro: una ragione ulteriore per avvicinarsi ad un popolo-continente con occhi “disincantati”.
– … non è vero, io ne ho molti più di te!
– Beh, io ne ho cento!
– E io mille!!!
– E io… un miliardano!
– Ma il miliardano non esiste.
– Sì, che esiste!
– Non è vero! Vero, papà, che il miliardano non esiste?
Il nome mi piace, il concetto è chiaro; ma di fronte ad una domanda così precisa e perentoria non posso tergiversare:
– Effettivamente, Giacomo, il miliardano non esiste…
Non finisco la frase che lui m’incalza con il tono di chi deve spiegare l’ovvio:
– Invece esiste. Senti: un miliardano e uno, un miliardano e due, un miliardano e tre…
È una prova schiacciante. Così ammetto, nonostante le vibrate proteste di sua sorella, che in realtà il miliardano non esisteva fino a un minuto prima, ma che ora era stato inventato e dunque esisteva a pieno diritto. Non me la sono sentita di frustrare quello che avevo letto come un piccolo guizzo di creatività.
Un libro appena uscito per i tipi di Erickson mi ha convinto che forse la mia intuizione non era così sbagliata. Marco Dallari, in “In una notte di luna vuota” spiega che “il linguaggio non serve solo a comunicare, ma anche a pensare e a costruire rappresentazione del mondo e di sé. Il linguaggio delle parole, quello delle immagini e tutti i linguaggi che gli esseri umani hanno a disposizione sono ingredienti fondamentali per la costruzione dell’autonomia e dell’identità, poiché la capacità di utilizzare in modo compiuto e personale gli universi simbolici conferisce sicurezza, autostima e capacità di relazione”.
“In una notte di luna vuota” è un volumetto molto divertente ma anche e, soprattutto, prezioso. In un epoca che tende a omologare e stereotipare tutto e tutti questo libro è un piccolo ma significativo contributo che aiuta a difendere e a difendersi, “educando a pensieri metaforici, laterali e impertinenti”. Davvero indispensabile!