È recente la sentenza del Tribunale civile di Trieste che ha condannato due genitori di un paesino di 6.500 abitanti, perché mandavano a piedi a scuola il figlio di nove anni; la scuola si trova a 200 metri da casa. Cosa ne pensa?
Da questa sentenza si evince che la sicurezza è un diritto che prevale su tutti. Il giudice ha affermato, infatti, che il diritto della sicurezza del bambino è più forte del diritto dell’autonomia. Ritengo piuttosto sconcertante questa dichiarazione, perché è discutibile che un giudice possa valutare qual è l’interesse maggiore per l’infanzia. A questo si aggiunge che secondo le dichiarazioni del Ministero degli Interni, dei politici e degli amministratori i crimini in Italia stanno diminuendo. Il nostro Paese viene considerato sostanzialmente sicuro. Ma, paradossalmente, al diminuire dei pericoli aumenta la paura. Una situazione paradossale che solleva riflessioni di natura sociale…
Cioè?
Il problema è che oggi la paura viene utilizzata come strumento di consenso dai politici e dalle amministrazioni. E anche dai media. I politici promettono ai cittadini più sicurezza per raccogliere voti e consensi; le amministrazioni potenziano i sistemi di videosorveglianza e la presenza delle forze dell’ordine per le strade; i mezzi di comunicazione dedicano trasmissioni su trasmissioni a fatti criminali gravi ed efferati per ottenere un alto ascolto, che si traduce in una ampia raccolta di pubblicità. All’interno di questo quadro i bambini sono i più penalizzati perché la paura giustifica, autorizza, se non addirittura obbliga, i genitori a impedire ai loro figli di uscire di casa da soli e di fare esperienze in autonomia. Il risultato è che la giornata dei bambini di oggi è cambiata da quella dei bambini della scorsa generazione. Nel senso che – purtroppo – è scomparso il tempo libero.
Non c’è tempo per il tempo libero?
Il problema è che il tempo libero non viene più contemplato, perché si parte dal presupposto che la città non lo permetta in quanto pericolosa per questioni sia fisiche (traffico, smog), sia di carattere morale e sociale (pedofilia, crimini, delitti). Le famiglie si sentono giustificate nel dire al figlio: “Non esci. Se devi uscire ti accompagno io”. Un tempo i bambini erano impegnati nelle ore di scuola e dei compiti, poi c’era il tempo libero da riempire senza la presenza vigile dei grandi. Il controllo c’era ma non era diretto, avveniva attraverso un serie di regole imposte dai genitori (regole di tempo, di spazio o di carattere sociale come non frequentare persone più grandi). A questo si aggiungeva un controllo sociale diffuso, cioè il vicinato che in qualche modo si faceva carico della sicurezza dei bambini. In questo tempo libero, i bambini avevano abbastanza autonomia nella scelta degli amici da incontrare, dei giochi fare e del luogo più idoneo per realizzarli.
La giornata dei bambino di oggi invece…
La giornata è piena di impegni: al mattino c’è la scuola, nel pomeriggio i compiti e poi una serie di attività creative e sportive (chitarra, pianoforte, danza, piscina, eccetera) che non nascono più come gioco ma come scuola. Il bambini di oggi non giocano a calcio, ma studiano calcio. Il tempo che rimane libero si passa davanti a uno schermo: computer, televisione, video giochi. Questa situazione produce il crollo dell’autonomia: tanto a scuola quanto in tutte queste attività pomeridiane il bambino viene sempre accompagnato da un adulto. Quando è più piccolo viene portato in luoghi costruiti ad hoc – i giardinetti e le ludoteche – dove è evidente (e piuttosto umiliante) la logica sottostante, cioè che i bambini non sanno giocare e siamo noi adulti a spiegare come si gioca e mettiamo a disposizione lo scivolo, l’altalena, i cubi colorati, eccetera. Il bambini diventano solo l’utilizzatore finale del gioco.
Quali le conseguenze di un bambino senza autonomia?
Non sono certamente da sottovalutare. Vivere delle esperienze in autonomia, senza la presenza degli adulti, è importante sia sul piano cognitivo che sociale perché permettono al bambino di esplorare lo spazio, sperimentare il rischio in cui mettere alla prova nelle proprie capacità, conoscere gli altri e imparare a stare con loro, subire le umiliazioni e rivendicare le proprie ragioni, sviluppare delle regole. I bambini che non fanno esperienze senza i grandi non hanno la necessità di elaborare delle strategie autonome, come il semplice controllo del tempo; crescono senza la motivazione di elaborare degli strumenti che sono poi gli strumenti per vivere. Sono dell’idea che molti dei drammi dell’adolescenza (bullismo, vandalismo, abuso di droghe e alcol, suicidio) siano l’effetto di errori educativi nell’infanzia. Non fare esperienze “forti” per la presenza degli adulti vigilanti produce un accumulo di desiderio che potrà realizzarsi solo quando si diventa adolescenti e per prima volta si avranno le chiavi di casa in mano o il motorino. E trattandosi di un’esplosione può rivelarsi pericolosa.
Messo a fuoco il problema, la domanda sorge spontanea: nella società di oggi è possibile restituire ai bambini l’autonomia perduta?
Sì lavorando su più fronti. Nel nostro progetto ventennale La città dei bambini proponiamo di restituire autonomia ai bambini attraverso l’esperienza "A scuola ci andiamo da soli" che chiede ai bambini di andare a scuola e tornare a casa con gli amici senza gli adulti. Si tratta di un’esperienza diversa dal Pedibus, in cui i bambini vengono accompagnati da operatori. Quanto proponiamo è molto più complesso e difficile: richiede un’adeguata preparazione e partecipazione dei commercianti, degli anziani, dei vigili urbani e, cosa non facile, il superamento della paura delle famiglie che possa succedere qualcosa ai bambini. Ma ha un significato sociale più alto. Da una parte i bambini vivono quotidianamente un periodo di libertà con i loro amici e compagni di scuola. Dall’altro la città riscopre i bambini e diventa più sicura perché laddove i bambini si muovono autonomamente cresce l’attenzione e la sicurezza. A Buenos Aires, i dati presentati dai responsabili della sicurezza hanno evidenziato un calo della criminalità urbana del 50 per cento nei quartieri dove si è sviluppata l’iniziativa “A scuola ci andiamo da soli”.
Paradossalmente il diritto alla sicurezza viene garantito con l’autonomia dei bambini…
Innanzitutto è essenziale ricostruire un senso di cittadinanza, di attenzione cittadina. Per ridare autonomia ai nostri figli ci vuole molto coraggio e impegno. Molto possono fare le amministrazioni, studiando interventi adeguati per i pedoni; molto le scuole, promuovendo esperienze di autonomia come "Noi a scuola ci andiamo da soli"; e molto i pediatri, spiegando ai genitori che i bambini hanno bisogno di vivere esperienze senza il controllo vigile degli adulti. Per restituire la città come luogo di crescita dei nostri bambini, dobbiamo superare l’interpretazione soggettiva del pericolo. Il pericolo percepito è superiore di quello reale… Sarebbe importante che i mezzi di comunicazione assumessero il ruolo di trasmettere le reali dimensioni del pericolo invece di fare dei casi di Cogne e di Maratea delle occasioni di grande attrazione mediatica. In questo modo si alimenta la paura, si fa percepire come probabili dei pericoli che sono in realtà eventi terribili ma isolati. C’è quasi una costrizione alla difesa da parte dei cittadini, per primi dei genitori nei confronti dei bambini. Sarebbe invece importante che la politica da una parte e i mezzi di comunicazione dall’altra aiutassero i cittadini a percepire correttamente il mondo in cui viviamo.
3 novembre 2010
In primo piano
Io non ho paura
È recente la sentenza del Tribunale civile di Trieste che ha condannato due genitori di un paesino di 6.500 abitanti, perché mandavano a piedi a scuola il figlio di nove anni; la scuola si trova a 200 metri da casa. Cosa ne pensa?
Da questa sentenza si evince che la sicurezza è un diritto che prevale su tutti. Il giudice ha affermato, infatti, che il diritto della sicurezza del bambino è più forte del diritto dell’autonomia. Ritengo piuttosto sconcertante questa dichiarazione, perché è discutibile che un giudice possa valutare qual è l’interesse maggiore per l’infanzia. A questo si aggiunge che secondo le dichiarazioni del Ministero degli Interni, dei politici e degli amministratori i crimini in Italia stanno diminuendo. Il nostro Paese viene considerato sostanzialmente sicuro. Ma, paradossalmente, al diminuire dei pericoli aumenta la paura. Una situazione paradossale che solleva riflessioni di natura sociale…
Cioè?
Il problema è che oggi la paura viene utilizzata come strumento di consenso dai politici e dalle amministrazioni. E anche dai media. I politici promettono ai cittadini più sicurezza per raccogliere voti e consensi; le amministrazioni potenziano i sistemi di videosorveglianza e la presenza delle forze dell’ordine per le strade; i mezzi di comunicazione dedicano trasmissioni su trasmissioni a fatti criminali gravi ed efferati per ottenere un alto ascolto, che si traduce in una ampia raccolta di pubblicità. All’interno di questo quadro i bambini sono i più penalizzati perché la paura giustifica, autorizza, se non addirittura obbliga, i genitori a impedire ai loro figli di uscire di casa da soli e di fare esperienze in autonomia. Il risultato è che la giornata dei bambini di oggi è cambiata da quella dei bambini della scorsa generazione. Nel senso che – purtroppo – è scomparso il tempo libero.
Non c’è tempo per il tempo libero?
Il problema è che il tempo libero non viene più contemplato, perché si parte dal presupposto che la città non lo permetta in quanto pericolosa per questioni sia fisiche (traffico, smog), sia di carattere morale e sociale (pedofilia, crimini, delitti). Le famiglie si sentono giustificate nel dire al figlio: “Non esci. Se devi uscire ti accompagno io”. Un tempo i bambini erano impegnati nelle ore di scuola e dei compiti, poi c’era il tempo libero da riempire senza la presenza vigile dei grandi. Il controllo c’era ma non era diretto, avveniva attraverso un serie di regole imposte dai genitori (regole di tempo, di spazio o di carattere sociale come non frequentare persone più grandi). A questo si aggiungeva un controllo sociale diffuso, cioè il vicinato che in qualche modo si faceva carico della sicurezza dei bambini. In questo tempo libero, i bambini avevano abbastanza autonomia nella scelta degli amici da incontrare, dei giochi fare e del luogo più idoneo per realizzarli.
La giornata dei bambino di oggi invece…
La giornata è piena di impegni: al mattino c’è la scuola, nel pomeriggio i compiti e poi una serie di attività creative e sportive (chitarra, pianoforte, danza, piscina, eccetera) che non nascono più come gioco ma come scuola. Il bambini di oggi non giocano a calcio, ma studiano calcio. Il tempo che rimane libero si passa davanti a uno schermo: computer, televisione, video giochi. Questa situazione produce il crollo dell’autonomia: tanto a scuola quanto in tutte queste attività pomeridiane il bambino viene sempre accompagnato da un adulto. Quando è più piccolo viene portato in luoghi costruiti ad hoc – i giardinetti e le ludoteche – dove è evidente (e piuttosto umiliante) la logica sottostante, cioè che i bambini non sanno giocare e siamo noi adulti a spiegare come si gioca e mettiamo a disposizione lo scivolo, l’altalena, i cubi colorati, eccetera. Il bambini diventano solo l’utilizzatore finale del gioco.
Quali le conseguenze di un bambino senza autonomia?
Non sono certamente da sottovalutare. Vivere delle esperienze in autonomia, senza la presenza degli adulti, è importante sia sul piano cognitivo che sociale perché permettono al bambino di esplorare lo spazio, sperimentare il rischio in cui mettere alla prova nelle proprie capacità, conoscere gli altri e imparare a stare con loro, subire le umiliazioni e rivendicare le proprie ragioni, sviluppare delle regole. I bambini che non fanno esperienze senza i grandi non hanno la necessità di elaborare delle strategie autonome, come il semplice controllo del tempo; crescono senza la motivazione di elaborare degli strumenti che sono poi gli strumenti per vivere. Sono dell’idea che molti dei drammi dell’adolescenza (bullismo, vandalismo, abuso di droghe e alcol, suicidio) siano l’effetto di errori educativi nell’infanzia. Non fare esperienze “forti” per la presenza degli adulti vigilanti produce un accumulo di desiderio che potrà realizzarsi solo quando si diventa adolescenti e per prima volta si avranno le chiavi di casa in mano o il motorino. E trattandosi di un’esplosione può rivelarsi pericolosa.
Messo a fuoco il problema, la domanda sorge spontanea: nella società di oggi è possibile restituire ai bambini l’autonomia perduta?
Sì lavorando su più fronti. Nel nostro progetto ventennale La città dei bambini proponiamo di restituire autonomia ai bambini attraverso l’esperienza "A scuola ci andiamo da soli" che chiede ai bambini di andare a scuola e tornare a casa con gli amici senza gli adulti. Si tratta di un’esperienza diversa dal Pedibus, in cui i bambini vengono accompagnati da operatori. Quanto proponiamo è molto più complesso e difficile: richiede un’adeguata preparazione e partecipazione dei commercianti, degli anziani, dei vigili urbani e, cosa non facile, il superamento della paura delle famiglie che possa succedere qualcosa ai bambini. Ma ha un significato sociale più alto. Da una parte i bambini vivono quotidianamente un periodo di libertà con i loro amici e compagni di scuola. Dall’altro la città riscopre i bambini e diventa più sicura perché laddove i bambini si muovono autonomamente cresce l’attenzione e la sicurezza. A Buenos Aires, i dati presentati dai responsabili della sicurezza hanno evidenziato un calo della criminalità urbana del 50 per cento nei quartieri dove si è sviluppata l’iniziativa “A scuola ci andiamo da soli”.
Paradossalmente il diritto alla sicurezza viene garantito con l’autonomia dei bambini…
Innanzitutto è essenziale ricostruire un senso di cittadinanza, di attenzione cittadina. Per ridare autonomia ai nostri figli ci vuole molto coraggio e impegno. Molto possono fare le amministrazioni, studiando interventi adeguati per i pedoni; molto le scuole, promuovendo esperienze di autonomia come "Noi a scuola ci andiamo da soli"; e molto i pediatri, spiegando ai genitori che i bambini hanno bisogno di vivere esperienze senza il controllo vigile degli adulti. Per restituire la città come luogo di crescita dei nostri bambini, dobbiamo superare l’interpretazione soggettiva del pericolo. Il pericolo percepito è superiore di quello reale… Sarebbe importante che i mezzi di comunicazione assumessero il ruolo di trasmettere le reali dimensioni del pericolo invece di fare dei casi di Cogne e di Maratea delle occasioni di grande attrazione mediatica. In questo modo si alimenta la paura, si fa percepire come probabili dei pericoli che sono in realtà eventi terribili ma isolati. C’è quasi una costrizione alla difesa da parte dei cittadini, per primi dei genitori nei confronti dei bambini. Sarebbe invece importante che la politica da una parte e i mezzi di comunicazione dall’altra aiutassero i cittadini a percepire correttamente il mondo in cui viviamo.