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La disparità non esiste nei principi ma esiste nei fatti

 
La salute è condizione di emancipazione e sviluppo. Diffondere una medicina solidale, più giusta, più umana, più efficace e sostenibile nel tempo è un dovere. www.imagine.org

Come è emerso dall’intervista con Cesare Cislaghi benessere e malattia continuano ad essere distribuiti in modo disomogeneo. Le nostre regioni più svantaggiate sono quelle meridionali e insulari. Come intervenire sul divario fra Nord e Sud?

Questo divario è soprattutto il risultato di una cattiva organizzazione amministrativa. Il problema non è nuovo, ma è ben presente a chi ha la responsabilità di governo. Già nel 1988 era stata emanata  una legge, poi diventata famosa come l’ex articolo 20 della legge 67, che investiva una somma molto alta, distribuita regione per regione in tutto il paese, per l’ammodernamento delle strutture sanitarie e per la tecnologia. Lo scopo di questa legge era proprio di portare alla realizzazione di strutture più efficienti e, anche dal punto di vista alberghiero, più accoglienti per garantire una medicina più efficace e umanizzata, soprattutto nelle zone del Paese più svantaggiate.

Quali sono i risultati a distanza di anni?

Il risultato dopo 18 anni è che di quei fondi, cioè alcune decine di migliaia di miliardi di vecchie lire, ne sono stati utilizzati mediamente per il Centro-Sud il 23% (il che significa che quasi l’80% di quei fondi è rimasto inutilizzato); mentre vi sono aree del Nord del Paese dove i fondi sono stati utilizzati per il 100% delle disponibilità. Questa divagazione che sembra fatta solo di numeri e di economia ha dei riflessi reali sulla salute e sulla efficienza del Servizio Sanitario Nazionale. Significa, infatti, che nel momento del bisogno e della malattia un milione di persone di fatto si trasferisce ogni anno dal Sud verso il Nord alla ricerca di una struttura che possa assisterle. In alcuni casi questo significa la differenza tra la vita e la morte, perché non avere efficienza ed efficacia nelle cure vicino al luogo dove si abita costituisce un problema enorme.

L’Unione che soluzioni immagina?

Non immaginiamo una sanità dove esiste un centro di altissima specializzazione per ogni tipo di malattia a quindici minuti dall’abitazione di ogni cittadino. Piuttosto significa fare scelte precise, come investire in centri di alta specializzazione distribuiti sul territorio della regione, ma essere in grado di gestire, soccorrere e fornire assistenza immediata, quindi vicino a casa, per un problema di cataratta, ernia inguinale o emergenza per un trauma. Per le patologie che richiedono grandi investimenti tecnologici e strutture di eccellenza è necessario garantire un intervento razionalmente distribuito su tutto il territorio regionale.

Con Angelo Stefanini abbiamo parlato del ruolo che tutti gli operatori sanitari dovrebbero assumere in difesa di un sistema sanitario equo. Per l’American Journal of Public Health , "Public health is social justice": come garantire una "sanità di tutti, per tutti"?
Innanzitutto va chiarito che la politica deve fare delle scelte facendo un passo indietro sulla selezione delle figure tecniche. Il politico, infatti, non ha la competenza per scegliere o indirizzare la scelta tecnica di un primario. La politica poi deve rendersi conto di quali sono gli interventi da fare attraverso un censimento della situazione reale del Paese; dunque capire sulla base di queste carenze reali quali sono le differenze territoriali che poi si traducono in disuguaglianze e differenze di trattamento. Questo è uno dei compiti principali del Parlamento e del futuro Governo. Probabilmente occorrerà riprendere in considerazione molto seriamente la proposta di legge di Massimo D’Alema e Livia Turco che proponeva di stanziare delle risorse per le aree più svantaggiate del Paese, affinch venga annullata la disparità che non esiste nei principi, perché l’accesso alla salute è garantito dalla costituzione a tutti, ma esiste nei fatti.

Per l’Unione, valutare l’impatto degli interventi sulla salute è una priorità alla quale subordinare tutti i provvedimenti di politica economica a livello nazionale. Come riuscirci, concretamente?

Una politica della valutazione dei risultati si ricollega sicuramente a quanto si diceva prima sulla scelta delle figure tecniche. Una scelta che deve essere necessariamente indipendente dal potere politico.
Deve poi essere assolutamente realizzato un sistema di valutazione regionale che permetta di monitorare i risultati ottenuti nelle varie terapie e nelle diverse strutture. Per fare un esempio pratico, l’Agenzia di Sanità Pubblica del Lazio ha svolto un’indagine sulla valutazione della mortalità a trenta giorni dopo bypass aorto-coronarico e sono emerse delle differenze tra le diverse strutture, alcune delle quali molto rilevanti. Si dovrebbe seguire la strada già seguita per i trapianti di fegato per tutte le patologie e gli interventi terapeutici in modo da rendersi conto di quali disparità esistono nei risultati.
Tuttavia è fondamentale che ciò non venga visto come un criterio di valutazione punitivo, per puntare il dito contro chi ha risultati peggiori; piuttosto deve essere utilizzato in maniera positiva per capire perché in alcune aree i risultati sono peggiori e vedere quali sono i correttivi possibili. È in queste aree che si deve intervenire affinch i cittadini abbiano la garanzia di un livello standard di qualità garantito sul tutto il territorio nazionale.

A Milano – e non solo –  essere donna è un "fattore di rischio" a prescindere dal reddito. I politici ne sono consapevoli? Quali interventi sono previsti per garantire pari opportunità di genere?

La questione è molto più ampia. C’è sicuramente una disparità di genere in Italia ancora in moltissime situazioni che vanno dalla possibilità per una donna di accedere ad una posizione parlamentare alla possibilità di diventare primario in un ospedale o direttore di un istituto universitario. Leggevo proprio questa mattina nel bellissimo testo "Figlie di Minerva", che fa riferimento alla condizione femminile, come, secondo gli ultimi dati a disposizione di qualche anno fa, i ricercatori di sesso femminile in Italia sono il 25,8%, mentre quelli di sesso maschile il 74,2%. Questo purtroppo è un aspetto della nostra società che si riflette anche nell’accesso alle cure.

Ad esempio?

Un esempio molto chiaro è quello della mammografia. Non dico una novità scientifica affermando che le evidenze in favore di essa sono numerosissime: è una procedura che permette di salvare delle vite, perché consente di fare una diagnosi in un momento in cui c’è ancora una differenza tra curare o guarire. Ci sono regioni dell’Italia dove la mammografia nelle donne tra i 45 e 69 anni viene realizzata nell’80% della popolazione, come la Liguria, e regioni, come la Sicilia, dove meno del 2% delle donne tra i 45 e i 69 anni esegue una mammografia. Non è una differenza irrilevante perché si traduce in disastri.

Disastri non solo dal punto di vista medico…

Di recente mi è capitato di vedere nel Lazio donne che non hanno eseguito nessun tipo di controllo, perché si pone meno attenzione a queste patologie femminili, e sono state operate quando il tumore era ormai ad una stadiazione avanzata. Subito dopo hanno avuto metastasi epatiche e polmonari. Questo si traduce in un disastro dal punto di vista umano, medico, familiare, sociale e in un costo economico terribilmente più alto, perché un conto è operare un donna con un nodulo di 1 centimetro e mezzo e probabilmente condurla a guarigione, un altro è operarla con un nodulo di 3
centimetri e mezzo e arrivare a doverla seguire con metastasi polmonari, epatiche o ossee. La non attenzione a questi problemi non ha senso dal punto di vista umano, ma non ha senso anche dal punto di vista economico.

Sempre a proposito di donne e, più in generale, a proposito di questioni di bioetiche importanti, come si pone nei confronti della legge 194?

Vengo da una generazione nella quale si sono visti i disastri provocati da un’assenza di legislazione sull’aborto. Negli anni 70, quando ero un studente in medicina, da una parte c’erano ragazze con il  denaro per farlo che potevano andare ad abortire illegalmente in alcune cliniche a Roma o a Londra dove esisteva una legislazione sull’aborto. Dall’altra c’era la realtà delle donne che arrivavano nei pronto soccorsi con l’utero perforato a causa di procedere eseguite senza nessuna garanzia e attenzione sanitaria da persone che in maniera quasi criminale conducevano queste pratiche. Dunque ritengo che alcuni temi fondamentali come l’aborto siano materia che doveva assolutamente essere regolamentata proprio in difesa della salute delle donne e credo che la legge esistente sia una legge buona che ha fatto diminuire il numero degli aborti.

E nei confronti della ricerca sulle cellule staminali…

Per la ricerca sulle cellule staminali mentre abbiamo chiarezza di risultati con le cellule staminali adulte per alcune terapie, ad esempio nel caso della cecità, non abbiamo risultati clinici con le cellule staminali embrionali. Questo non significa che la ricerca non deve essere sostenuta, potenziata e portata avanti. Come uomo di scienza credo che la ricerca sulle cellule staminali embrionali debba essere portata avanti, ma allo stesso tempo non si può dire che le cellule staminali embrionali in questo momento hanno dimostrato dei risultati. Sono convinto che ci sia la potenzialità per giungere a dei risultati ma anche del lavoro che deve essere fatto.

 

5 aprile 2006

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