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La geografia regionale delle disuguaglianze

 
Non mancano le evidenze delle disuguaglianze nella salute tra paesi ricchi e poveri, tra il Nord e il Sud del mondo. N mancano le evidenze che vi siano forti disuguaglianze anche all’interno delle grande città nei paesi industrializzati come ha sottolineato Giuseppe Costa nella sua intervista sullo status syndrome. Ma come è possibile allocare equamente le risorse disponibili per prevenire quelle disuguaglianze che si accumulano passando dal centro alla periferia delle grandi città?

Un’opportuna allocazione delle risorse disponibili, almeno per quanto riguarda il finanziamento di enti ed istituzioni che perseguono obiettivi di riduzione sostanziale delle disuguaglianze nelle condizioni di salute (il Servizio Sanitario Nazionale, ad esempio), può essere guidata dall’individuazione di popolazioni ed aree a rischio sanitario indotto dalle condizioni di svantaggio socio-economico. Le evidenze raccolte in numerosi studi dimostrano che appartenenza a classi sociali svantaggiate e povertà si associano a un maggior rischio di morbilità e di mortalità; quindi è logico pensare che siano individuabili aree urbane e periferiche all’interno delle città o regioni/aree/comuni in condizioni di degrado socioeconomico, che necessitano di un maggior ricorso ai servizi sanitari e che siano queste le aree da individuare per prevenire le disuguaglianze.

E come si possono individuare?

Possono essere individuate all’interno di una popolazione prendendo in considerazione anche il contesto in cui vivono.

Quindi non basta "misurare" lo status socioeconomico?

Certamente le disuguaglianze nella salute si manifestano sia per le modalità con cui il reddito si distribuisce all’interno di una popolazione (inevitabilmente se si concentra nelle mani di pochi le disuguaglianze aumentano) sia per le opportunità di accesso ai servizi e alle reti di relazioni sociali che supportano i cittadini. E la classe sociale di appartenenza riveste sicuramente un ruolo importante (ma le nostre società democratiche non riescono a cancellare il concetto di classe sociale). Occupare i gradini più bassi nella scala sociale si traduce in una insicurezza economica e, conseguentemente, in una ridotta possibilità di praticare stili di vita salubri ed accedere a servizi sanitari adeguati. Tuttavia, dovendo valutare come distribuire le risorse all’interno di un contesto come quello italiano – caratterizzato da una variabilità notevole tra territori di indicatori di salute e di opportunità di accesso e di qualità dei servizi – è realistico pensare ad una connessione tra contesti di vita e salute. Inoltre, in tempi di federalismo e devolution è quanto mai importante documentarne le differenze. A questo aggiungerei anche la estrema variabilità con cui sono disponibili i dati socioeconomici a livello individuale nel nostro Paese; gli indici di deprivazione realizzati con dati censuari hanno il vantaggio di poter essere costruiti ovunque.

Gli indici di deprivazione potrebbero rappresentare un buona modalità per pianificare e ridistribuire le risorse sanitarie?

Gli indici di deprivazione indicano uno stato di svantaggio in relazione alle condizioni di vita della comunità alle quali un individuo, una famiglia o un gruppo appartengono. Sintetizzano le caratteristiche socioeconomiche di piccole aree geografiche ed esprimono diverse dimensioni di "deprivazione materiale" che vanno dalla condizione di disoccupazione, che è indicativa di una mancanza di reddito e quindi di insicurezza economica, al sovraffollamento abitativo e alla mancanza di una casa di proprietà che rispecchiamo le condizioni di vita e di benessere. Anche il possedere o meno un macchina è una variabile che rientra nella misurazione degli indici di deprivazione. Sommando diversi indicatori che hanno una potenziale influenza nell’esprimere il benessere/malessere di un territorio è possibile estrapolare gli indici di aree svantaggiate all’interno delle aree su cui bisogna intervenire per ridurre le disuguaglianze nelle condizioni di salute e accesso alle cure.

Voi avete applicato questo sistema per mappare le aree svantaggiate sul territorio italiano?

Sì, a livello regionale. Ad esempio abbiamo costruito una mappa dei Comuni della Regione Abruzzo e della Regione Basilicata utilizzando i dati censuari da cui abbiamo estrapolato le variabili demografiche, occupazionali, culturali-educative, familiari e abitative. E abbiamo ottenuto una mappa dove i comuni vengono classificati secondo quattro diversi livelli di deprivazione. Ovviamente questi dati si rivelano utili nel momento in cui vengono letti nel contesto in cui maturano e utilizzati ai fini di programmazione e pianificazione sanitaria. Ed è in questa direzione che intendiamo proseguire anche in collaborazione con gli amministratori locali. Una lunga tradizione in questo senso è quella che viene dal Piemonte e dal gruppo di Costa, come ha sottolineato in apertura.

Documentare è già un buon passo per risolvere le disuguaglianze…

Quello che mi preme sottolineare è come non sia importante l’indice in s o la sua capacità descrittiva, quanto la necessità di guardare alla salute come un diritto cui accedere in condizioni di parità. Non è un caso ad esempio che abbia suscitato tanto interesse una ricerca condotta da Maurizio Bonati e Rita Campi documentata nel libro "Nascere e crescere oggi in Italia", edito da Il Pensiero Scientifico, in cui si documenta tra l’altro che il rischio di morte neonatale precoce per un bambino con basso peso alla nascita in Abruzzo è nove volte quello di un neonato della Valle d’Aosta. In questo senso la capacità di documentare dovrebbe andare di pari passo alla capacità della comunità di farsi carico delle sue componenti più vulnerabili, bambini, anziani, malati psichiatrici, disabili… i cui diritti già precari sono ulteriormente a rischio a causa di tutte le forme in cui si manifesta la povertà.

22 marzo 2006

Per saperne di più…

Marta Valerio. Uno sguardo su contesti di vita e salute: gli indici di svantaggio sociale. Assistenza infermieristica e ricerca 2005; 24: 174-8.

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