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La scienza a parole

Si è da poco conclusa a Bruxelles la seconda edizione del congresso internazionale Communicating European research, organizzato dalla Comunità europea per far incontrare chi fa ricerca, chi la comunica e chi ne beneficia come utente finale. Obiettivo principale dell’evento europeo è stato quello di aprire un dibattito sui ruoli della comunicazione scientifica indirizzata prevalentemente al comune cittadino, lontano dagli ambienti accademici: se finora la ricerca scientifica è vissuta prevalentemente grazie al consenso degli esperti del settore e dei peer-reviewer, il futuro della ricerca sembra doversi affidare al consenso di gruppi culturali e religiosi che oggi influenzano l’opinione pubblica, i politici e quindi da ultimo i finanziamenti per la ricerca.

Attualmente, la Comunità europea ha intrapreso una serie di studi per capire come il cittadino si rapporti con la scienza e la tecnologia. I dati raccolti finora hanno indicato che il cittadino medio sente di essere inadeguato di fronte alle questioni etiche poste da nuovi settori emergenti come, ad esempio, quelli delle cellule staminali o delle nanotecnologie. Molti vorrebbero essere più informati sulle nuove tecnologie ma non ne hanno il tempo; altri non sanno dove cercare le informazioni e altri ancora si sentono travolti da una marea di informazioni – più o meno attendibili – e vorrebbero dei punti saldi di riferimento. Dall’altra parte vi è poi una grossa fetta della popolazione che non nutre alcun interesse per la scienza in generale o non ne vede l’utilità immediata.

E quale l’offerta? Non molta visto che i media – giornali, televisione e radio – dedicano molto più spazio agli eventi sportivi che non alle scoperte scientifiche… Un chiaro sintomo che dovrebbe fare riflettere perché non è pensabile un progresso coscienzioso in una società che rimane neutra (se non addirittura passiva) di fronte allo svolgersi degli sviluppi in ambito scientifico. Favorire il progresso e la qualità della vita in Europa richiede avere un cittadino educato alla scienza, che possa apprezzare quali scelte politiche ed economiche implementeranno o limiteranno una tecnologia o un campo di ricerca rispetto ad un altro. Ma come creare i più appropriati canali di informazione al cittadino? E come prevenire la strumentalizzazione della comunicazione scientifica? A chi affidare il compito di creare e garantire una buona rete di comunicazione? Sono queste solo alcune delle domande emerse a Bruxelles che ha voluto dedicare spazio e tempo ai molti progetti finanziati dalla Comunità europea e agli istituti di ricerca coinvolti.

In linea con la politica di portare la scienza nelle strade, molti degli stand hanno allestito dei veri e propri laboratori, con tanto di banconi, strumenti, macchinari tecnologici – tutti a disposizione del pubblico come in una vera fiera delle scienze. Gli eventi interessanti sono stati molti, troppi da seguire in soli due giorni. Ma il successo maggiore dell’evento lo ha avuto forse i workshop sulla strategie di comunicazione e il giornalismo scientifico – un successo che sicuramente nemmeno gli organizzatori si aspettavano, considerato l’alto numero di partecipanti che affollavano le sale, arrangiati alla meglio seduti su tavoli o il pavimento.

Tra un misto di etica, economia di mercato, e rigore scientifico, i workshop hanno presentato aspetti curiosi sulla comunicazione tanto ovvi quanto dimenticati. Parlare di scienza a un vasto pubblico vuol dire tradurre correttamente teorie e meccanismi complessi in concetti comprensibili anche ai non esperti. Comunicare la scienza implica trasmettere informazioni che potrebbero riguardarci direttamente: quella tecnologia mi farà risparmiare tempo/soldi? E implica anche parlare di applicazioni “salvavita” delle scienza che toccano l’emotività di chi ascolta. Raccontare al signor Rossi che è stata scoperta una nuova molecola non cambierà tanto la sua idea di scienza, ma piuttosto le sue aspettative: sapere se quella molecola potrà guarire mai un suo familiare. Pur senza sottovalutare l’interesse che il singolo cittadino può avere per la scienza, è la sua sfera emotiva che inconsciamente determina la maggior parte delle sue decisioni quotidiane e che prevale sulla sfera razionale. Non a caso il giornalista, che vuole catturare l’attenzione del lettore, cerca di andare a toccare i punti emotivi e vulnerabili, comunicando le scoperte in funzione di parametri misurabili: quanto migliorerà il mio stato di salute? quanto renderà la mia casa più solida?

Teorie interessanti che nelle sale di Bruxelles hanno sollevato critiche più o meno costruttive tra i partecipanti. “Non stiamo forse parlando di commercializzazione della comunicazione scientifica?”, obietta qualcuno. “No, il termine corretto è socializzazione” precisano gli esperti di sociologia della comunicazione. Una raffinata sottigliezza che lascia un po’ perplessi i ricercatori che nella socializzazione invece vedono lo svilirsi della ricerca e della loro missione.

Una delle iniziative più interessanti emerse dal CER è stata quella avanzata dall’European Association of Science Editors che vorrebbe chiamare ad unirsi nello sforzo comune per stabilire degli standard di qualità e dei canoni di armonizzazione per la comunicazione in Europa. L’appello è stato rivolto a istituti di ricerca, agenzie e singoli esperti nel settore della comunicazione scientifica e dovrebbe concretizzarsi nei prossimi anni tramite un calendario di tavole rotonde e congressi. Nonostante l’ottima organizzazione del convegno, nota dolente è stata purtroppo la scarsa capacità oratoria di alcuni dei relatori che, pur presentandosi con argomenti molto promettenti, sono riusciti ad assopire la platea e far abbandonare la sala dai partecipanti. Segno forse che, in quanto a comunicazione, la strada da percorrere è ancora lunga.

A cura di Manuella Walker
23 novembre 2005

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