Tra 40 e 80 mila persone muoiono ogni anno per errori medici evitabili negli Stati Uniti. Errori che costano qualcosa come 30 miliardi di dollari l’anno. Spostandoci nel nostro Paese, scopriamo che l’Italia ha il record negativo di consumo di gel idroalcolico per l’igiene delle mani e ha in Europa una delle più elevate prevalenze di infezioni ospedaliere e di resistenze batteriche. Eppure non c’è consapevolezza della gravità del problema da parte del personale sanitario. Il quadro tracciato da gran parte degli interventi al convegno Per la sicurezza dei pazienti – Patient Safety Practices (Psp), svolto il 9 settembre a Bologna è un pugno nello stomaco.
Le PSP sono interventi o azioni, di diversa complessità, che la ricerca ha rivelato possano essere utili per evitare, prevenire o mitigare le conseguenze indesiderate dell’assistenza sanitaria. Ne ha descritto la genesi e il processo di definizione e validazione Paul G Shekelle, direttore del Quality Assessment and Quality Improvement della RAND Health di Santa Monica in California. “Molto, quasi tutto, dipende dal contesto” ha spiegato Shekelle, “contesto influenzato da quattro forze: i determinanti esterni, gli aspetti strutturali, le dinamiche interne e l’organizzazione”. Il colpo d’ala della relazione è giunto quando la persona, che è tra i maggiori esperti del mondo, ha chiarito il problema principale: troppe volte si ritiene che l’implementazione di pratiche utili alla sicurezza del malato sia un atto unidirezionale, tutto sommato “semplice” da essere eseguito (dopo tutto, molte PSP sono azioni o interventi dettati dal buon senso che “per forza” si ritiene debbano essere accettate dal personale sanitario…): tutto il contrario, perché “migliorare la sicurezza di chi è assistito è simile a fare giardinaggio e ciò che viene prima dell’intervento vero e proprio è alla base della riuscita del processo: abbiamo preparato bene il terreno? La pianta è adatta al luogo dove sarà messa a dimora?”.
Leadership nella conduzione del percorso, sorveglianza, riconoscimento precoce del rischio, più tempo a disposizione del personale sono altri elementi chiave da cui dipende la riuscita dell’intervento.
“Medical innovation is a transactional act” che dipende dal coinvolgimento, dalla partecipazione delle persone molto più di quanto non sia influenzato dalle “cose”. Sembra ovvia la convinzione di Trisha Greenhalgh, Dean for Research Impact della St Bartholomew Medical School: ci fermiamo a monitorare l’efficacia degli strumenti piuttosto che a comprendere le ragioni che ne hanno determinato o sfavorito l’impatto positivo sull’assistenza e sulle cure. La campagna per migliorare l’igiene delle mani ha funzionato? L’adozione di una checklist in sala operatoria ha ridotto gli incidenti? La riconciliazione farmaceutica o il coinvolgimento/supervisione del farmacista clinico hanno permesso il contenimento di reazioni indesiderate da medicinali o errori di prescrizione o di somministrazione? Domande lecite ma il punto è, piuttosto, quello di comprendere il perché questi interventi/strumenti sono stati o meno risolutivi: quali dinamiche causate per esempio dalla influenza negativa delle gerarchie all’interno di un reparto hanno impedito che una campagna di promozione dell’igiene delle mani in apparenza perfetta sulla carta si è rivelata inefficace? Perché l’attività di controllo, teoricamente esercitata dal personale infermieristico, non è riuscita a motivare i medici ad un più assiduo lavaggio col gel idralcolico? Perché, ad un’iniziale adeguata aderenza del personale, è seguito un progressivo abbandono della “buona pratica”?
Trisha Greenhalgh è un’evangelista del ricorso all’etnografia nella ricerca sanitaria, così che anche in questo caso è tornata a spiegare come la metodologia quasi… antropologica possa essere la chiave per lo studio qualitativo di come le persone usano le tecnologie. Quali sono le regole non scritte che determinano le azioni di un gruppo in un contesto? Chi sostiene gran parte del lavoro restando nell’ombra, ma di fatto condizionando con la qualità del proprio lavoro e la compliance agli obiettivi dell’organizzazione la riuscita di un programma di implementazione di PSP?
Finalmente, con la relazione di Trisha Greenhalgh è apparso chiaro come la cosiddetta “medicina narrativa” possa trasformarsi da esercizio di stile di nostalgici dei bei tempi andati (quando il medico condotto guardava negli occhi il malato, parlandogli e tenendogli la mano ma praticando cure del tutto prive di efficacia dimostrata) in uno strumento di rilevazione e analisi delle dinamiche umane e, di conseguenza, organizzative che determinano la maggiore o minore “qualità” dell’assistenza sanitaria. In definitiva, la narrazione deve essere inserita in un percorso analitico di ricerca per dare insight specifici utili a risolvere i problemi che impediscono che una guidance sia concretamente tradotta nella pratica.
La Regione Emilia-Romagna ha portato avanti iniziative di ricerca e di miglioramento della qualità in diversi ambiti assistenziali, tre dei quali sono stati approfonditi in altrettante sessioni del convegno, coordinate da Stefania Rodella – responsabile dell’area per la Valutazione dell’assistenza e dei servizi dell’Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale – e “commentate” dai due ospiti stranieri, Shekelle e Greenhalgh:
1. prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza
2. prevenzione degli eventi avversi in chirurgia
3. prevenzione degli eventi avversi da farmaci
Grande interesse per la costante attenzione alla multidisciplinarietà dell’approccio e platea rapita dalla “storia” dello sviluppo e dell’implementazione delle checklist in sala operatoria. Nella sala dell’auditorium del complesso delle torri di Kenzo Tange aleggiava la presenza di Atul Gawande, chirurgo di Harvard e firma del New Yorker che con maggiore tempestività e capacità… seduttiva, ha celebrato l’importanza delle checklist come strumento utile alla sicurezza del malato. Ma era, più che consolante, incoraggiante e di sprone vedere che – sebbene con difficoltà, battute d’arresto e indecisioni – in diversi contesti regionali l’adozione e uso di “liste di spunta” non solo si era rivelata praticabile ma era concretamente riuscita a migliorare la sicurezza. Anche in questo caso, i problemi – quando ci sono – sono di ordine relazionale, dipendono dal commitment dello staff, dalla personale motivazione o pigrizia, dal maggiore o minore senso di fiducia.
È in occasioni come queste che si comprende la complessità con cui deve fare i conti chi lavora per migliorare la sanità pubblica: le 22 Patient Safety Practices incoraggiate (più o meno “fortemente”…) dal rapporto Making Healthcare Safer II corrispondono ad altrettante sfide “di sistema” ma hai voglia ad affrontarle in modo direttivo e impersonale…
Dopotutto, non si dice che il bravo giardiniere è quello che sa parlare e si fa voler bene dalle piante e dal proprio giardino?
11 settembre 2013
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In primo piano
La sicurezza del malato nelle mani del bravo giardiniere
Le PSP sono interventi o azioni, di diversa complessità, che la ricerca ha rivelato possano essere utili per evitare, prevenire o mitigare le conseguenze indesiderate dell’assistenza sanitaria. Ne ha descritto la genesi e il processo di definizione e validazione Paul G Shekelle, direttore del Quality Assessment and Quality Improvement della RAND Health di Santa Monica in California. “Molto, quasi tutto, dipende dal contesto” ha spiegato Shekelle, “contesto influenzato da quattro forze: i determinanti esterni, gli aspetti strutturali, le dinamiche interne e l’organizzazione”. Il colpo d’ala della relazione è giunto quando la persona, che è tra i maggiori esperti del mondo, ha chiarito il problema principale: troppe volte si ritiene che l’implementazione di pratiche utili alla sicurezza del malato sia un atto unidirezionale, tutto sommato “semplice” da essere eseguito (dopo tutto, molte PSP sono azioni o interventi dettati dal buon senso che “per forza” si ritiene debbano essere accettate dal personale sanitario…): tutto il contrario, perché “migliorare la sicurezza di chi è assistito è simile a fare giardinaggio e ciò che viene prima dell’intervento vero e proprio è alla base della riuscita del processo: abbiamo preparato bene il terreno? La pianta è adatta al luogo dove sarà messa a dimora?”.
Leadership nella conduzione del percorso, sorveglianza, riconoscimento precoce del rischio, più tempo a disposizione del personale sono altri elementi chiave da cui dipende la riuscita dell’intervento.
“Medical innovation is a transactional act” che dipende dal coinvolgimento, dalla partecipazione delle persone molto più di quanto non sia influenzato dalle “cose”. Sembra ovvia la convinzione di Trisha Greenhalgh, Dean for Research Impact della St Bartholomew Medical School: ci fermiamo a monitorare l’efficacia degli strumenti piuttosto che a comprendere le ragioni che ne hanno determinato o sfavorito l’impatto positivo sull’assistenza e sulle cure. La campagna per migliorare l’igiene delle mani ha funzionato? L’adozione di una checklist in sala operatoria ha ridotto gli incidenti? La riconciliazione farmaceutica o il coinvolgimento/supervisione del farmacista clinico hanno permesso il contenimento di reazioni indesiderate da medicinali o errori di prescrizione o di somministrazione? Domande lecite ma il punto è, piuttosto, quello di comprendere il perché questi interventi/strumenti sono stati o meno risolutivi: quali dinamiche causate per esempio dalla influenza negativa delle gerarchie all’interno di un reparto hanno impedito che una campagna di promozione dell’igiene delle mani in apparenza perfetta sulla carta si è rivelata inefficace? Perché l’attività di controllo, teoricamente esercitata dal personale infermieristico, non è riuscita a motivare i medici ad un più assiduo lavaggio col gel idralcolico? Perché, ad un’iniziale adeguata aderenza del personale, è seguito un progressivo abbandono della “buona pratica”?
Trisha Greenhalgh è un’evangelista del ricorso all’etnografia nella ricerca sanitaria, così che anche in questo caso è tornata a spiegare come la metodologia quasi… antropologica possa essere la chiave per lo studio qualitativo di come le persone usano le tecnologie. Quali sono le regole non scritte che determinano le azioni di un gruppo in un contesto? Chi sostiene gran parte del lavoro restando nell’ombra, ma di fatto condizionando con la qualità del proprio lavoro e la compliance agli obiettivi dell’organizzazione la riuscita di un programma di implementazione di PSP?
Finalmente, con la relazione di Trisha Greenhalgh è apparso chiaro come la cosiddetta “medicina narrativa” possa trasformarsi da esercizio di stile di nostalgici dei bei tempi andati (quando il medico condotto guardava negli occhi il malato, parlandogli e tenendogli la mano ma praticando cure del tutto prive di efficacia dimostrata) in uno strumento di rilevazione e analisi delle dinamiche umane e, di conseguenza, organizzative che determinano la maggiore o minore “qualità” dell’assistenza sanitaria. In definitiva, la narrazione deve essere inserita in un percorso analitico di ricerca per dare insight specifici utili a risolvere i problemi che impediscono che una guidance sia concretamente tradotta nella pratica.
La Regione Emilia-Romagna ha portato avanti iniziative di ricerca e di miglioramento della qualità in diversi ambiti assistenziali, tre dei quali sono stati approfonditi in altrettante sessioni del convegno, coordinate da Stefania Rodella – responsabile dell’area per la Valutazione dell’assistenza e dei servizi dell’Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale – e “commentate” dai due ospiti stranieri, Shekelle e Greenhalgh:
1. prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza
2. prevenzione degli eventi avversi in chirurgia
3. prevenzione degli eventi avversi da farmaci
Grande interesse per la costante attenzione alla multidisciplinarietà dell’approccio e platea rapita dalla “storia” dello sviluppo e dell’implementazione delle checklist in sala operatoria. Nella sala dell’auditorium del complesso delle torri di Kenzo Tange aleggiava la presenza di Atul Gawande, chirurgo di Harvard e firma del New Yorker che con maggiore tempestività e capacità… seduttiva, ha celebrato l’importanza delle checklist come strumento utile alla sicurezza del malato. Ma era, più che consolante, incoraggiante e di sprone vedere che – sebbene con difficoltà, battute d’arresto e indecisioni – in diversi contesti regionali l’adozione e uso di “liste di spunta” non solo si era rivelata praticabile ma era concretamente riuscita a migliorare la sicurezza. Anche in questo caso, i problemi – quando ci sono – sono di ordine relazionale, dipendono dal commitment dello staff, dalla personale motivazione o pigrizia, dal maggiore o minore senso di fiducia.
È in occasioni come queste che si comprende la complessità con cui deve fare i conti chi lavora per migliorare la sanità pubblica: le 22 Patient Safety Practices incoraggiate (più o meno “fortemente”…) dal rapporto Making Healthcare Safer II corrispondono ad altrettante sfide “di sistema” ma hai voglia ad affrontarle in modo direttivo e impersonale…
Dopotutto, non si dice che il bravo giardiniere è quello che sa parlare e si fa voler bene dalle piante e dal proprio giardino?
11 settembre 2013