Le polizze assicurative, con premi sempre più elevati a carico delle Aziende sanitarie, sono una delle conseguenze più pesanti (in termini economici) della medicina difensiva. Esistono soluzioni o esperienze virtuose per arginare il problema?
L’unica soluzione che abbiamo per ridurre la spesa dei risarcimenti è il controllo del rischio, mettendo in atto le misure consigliate dalla letteratura scientifica internazionale per prevenire gli eventi avversi. Ma ci sono anche altre possibilità, più immediate.
Quali, per esempio?
Rinegoziare le polizze, definendo altri criteri per valutare la rischiosità dell’azienda sanitaria. Oggi il premio assicurativo viene definito sulla base dell’ammontare dei risarcimenti, in particolare delle riserve, e della massa salariale. Ma questo non rappresenta un metodo che ha correlazioni con il rischio clinico. È necessario stabilire i premi sulla base di indicatori precisi di patient safety, che riguardino non solo le strutture ma anche i singoli professionisti.
Esistono altre possibili soluzioni?
Ridurre il ricorso al contenzioso legale, mediante la conciliazione; per adesso le uniche esperienze conosciute in Italia sono quelle della Provincia di Bolzano e dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze. Con la conciliazione si possono accelerare i tempi di risarcimento e trovare delle soluzioni non esasperate dal contenzioso e, in particolare, dalle spese legali che hanno un peso talvolta rilevante.
Un’ultima possibilità, ma non in ordine di importanza, è assumersi il rischio in proprio e non trasferirlo ad una compagnia assicurativa. Ciò avviene generalmente tramite la costituzione di un fondo di garanzia.
In Italia chi ha già tentato questa strada?
Al momento, abbiamo soltanto l’esperienza, di recente attivazione, della Toscana; la scelta è stata conseguente alla creazione, in questi ultimi cinque anni, di un sistema regionale di gestione del rischio. Pur rimanendo incomprimibile una quota di sinistrosità, numerosi sono gli interventi che si possono attuare per ridurre gli eventi avversi e riguardano vari aspetti: non solo quelli strettamente legati alle abilità tecniche dei professionisti, ma anche alle capacità organizzative.
L’assunzione di responsabilità ha delle importanti ricadute sulla sicurezza: ognuno è costretto ad occuparsene, senza delegare ad altri, dimostrando in modo trasparente i risultati che ottiene con le buone pratiche ed un’organizzazione del lavoro efficiente.
Le procedure per la gestione del rischio sono spesso invocate come soluzione possibile a molti problemi, ma a che punto è la loro applicazione?
In Italia, in questi ultimi 5 anni, siamo passati dal 17% di aziende sanitarie dotate di un referente per il rischio clinico a circa il 92%. Le azioni promosse dal Ministero della Salute e dal Comitato tecnico delle Regioni per la sicurezza delle cure sono numerose. Riguardano la messa a punto di raccomandazioni e buone pratiche in vari ambiti. È stato inoltre definito un accordo Stato-Regioni che prevede un assetto organizzativo nazionale per la gestione del rischio clinico.
Nell’attesa che un decreto ministeriale attui quanto previsto dall’accordo, tutte le Regioni in modo molto vario e con impegno differente si stanno organizzando: quelle del Nord e del Centro complessivamente sono più avanti.
Permangono comunque, alcune barriere alla sicurezza: la difficoltà al lavoro in team da parte dei professionisti, l’incremento di produttività da parte dei manager, senza parallelamente incrementare i margini di sicurezza, il non aver favorito in alcune aree la diffusione delle competenze tecniche ma essere rimasti ad una logica "artigiana" del proprio lavoro, il non gestire il rischio in senso verticale ma farlo rientrare nella cultura di tutti gli operatori.
Come superare queste barriere?
È necessaria una grande mobilitazione culturale ed anche il coinvolgimento dei pazienti: le loro associazioni hanno in questo senso, un ruolo di stimolo molto importante.
Un altro importante passo è il dotarsi di un sistema informativo che raccolga i dati e consenta di fare dei confronti. Il sistema SIMES, realizzato dal Ministero della Salute per raccogliere i dati sui sinistri e sugli eventi sentinella, rappresenta per le Regioni non ancora dotate di questi strumenti un importante supporto.
La Toscana, l’Emilia-Romagna, alcune aziende sanitarie del Veneto e della Lombardia si sono dotate inoltre di sistemi di incident reporting: anche questi strumenti rappresentano un passo avanti importante per sviluppare una learning culture sulla sicurezza.
10 marzo 2010
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Quali, per esempio?
Rinegoziare le polizze, definendo altri criteri per valutare la rischiosità dell’azienda sanitaria. Oggi il premio assicurativo viene definito sulla base dell’ammontare dei risarcimenti, in particolare delle riserve, e della massa salariale. Ma questo non rappresenta un metodo che ha correlazioni con il rischio clinico. È necessario stabilire i premi sulla base di indicatori precisi di patient safety, che riguardino non solo le strutture ma anche i singoli professionisti.
Esistono altre possibili soluzioni?
Ridurre il ricorso al contenzioso legale, mediante la conciliazione; per adesso le uniche esperienze conosciute in Italia sono quelle della Provincia di Bolzano e dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze. Con la conciliazione si possono accelerare i tempi di risarcimento e trovare delle soluzioni non esasperate dal contenzioso e, in particolare, dalle spese legali che hanno un peso talvolta rilevante.
Un’ultima possibilità, ma non in ordine di importanza, è assumersi il rischio in proprio e non trasferirlo ad una compagnia assicurativa. Ciò avviene generalmente tramite la costituzione di un fondo di garanzia.
In Italia chi ha già tentato questa strada?
Al momento, abbiamo soltanto l’esperienza, di recente attivazione, della Toscana; la scelta è stata conseguente alla creazione, in questi ultimi cinque anni, di un sistema regionale di gestione del rischio. Pur rimanendo incomprimibile una quota di sinistrosità, numerosi sono gli interventi che si possono attuare per ridurre gli eventi avversi e riguardano vari aspetti: non solo quelli strettamente legati alle abilità tecniche dei professionisti, ma anche alle capacità organizzative.
L’assunzione di responsabilità ha delle importanti ricadute sulla sicurezza: ognuno è costretto ad occuparsene, senza delegare ad altri, dimostrando in modo trasparente i risultati che ottiene con le buone pratiche ed un’organizzazione del lavoro efficiente.
Le procedure per la gestione del rischio sono spesso invocate come soluzione possibile a molti problemi, ma a che punto è la loro applicazione?
In Italia, in questi ultimi 5 anni, siamo passati dal 17% di aziende sanitarie dotate di un referente per il rischio clinico a circa il 92%. Le azioni promosse dal Ministero della Salute e dal Comitato tecnico delle Regioni per la sicurezza delle cure sono numerose. Riguardano la messa a punto di raccomandazioni e buone pratiche in vari ambiti. È stato inoltre definito un accordo Stato-Regioni che prevede un assetto organizzativo nazionale per la gestione del rischio clinico.
Nell’attesa che un decreto ministeriale attui quanto previsto dall’accordo, tutte le Regioni in modo molto vario e con impegno differente si stanno organizzando: quelle del Nord e del Centro complessivamente sono più avanti.
Permangono comunque, alcune barriere alla sicurezza: la difficoltà al lavoro in team da parte dei professionisti, l’incremento di produttività da parte dei manager, senza parallelamente incrementare i margini di sicurezza, il non aver favorito in alcune aree la diffusione delle competenze tecniche ma essere rimasti ad una logica "artigiana" del proprio lavoro, il non gestire il rischio in senso verticale ma farlo rientrare nella cultura di tutti gli operatori.
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È necessaria una grande mobilitazione culturale ed anche il coinvolgimento dei pazienti: le loro associazioni hanno in questo senso, un ruolo di stimolo molto importante.
Un altro importante passo è il dotarsi di un sistema informativo che raccolga i dati e consenta di fare dei confronti. Il sistema SIMES, realizzato dal Ministero della Salute per raccogliere i dati sui sinistri e sugli eventi sentinella, rappresenta per le Regioni non ancora dotate di questi strumenti un importante supporto.
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