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Le alternative basate su…

C’è chi propone di integrare le medicine alternative e complementari (Complementary Alternative Medicine, CAM) nei percorsi di cura. Ci sono novità sul fronte della dimostrazione di prove di efficacia?

I presupposti teorici delle CAM sono razionalmente insostenibili. Ma se ci fosse efficacia di qualcuna di esse (e si dovrebbe citare quale, dato che sono più di 20!) potrebbe magari essere accettabile un loro utilizzo anche senza capire il perché del loro agire. Purtroppo le prove di efficacia specifica mancano anche per quelle più ”gettonate” (vedi Le alternative, G. Dobrilla, Avverbi 2008). Un’efficacia aspecifica in effetti è spesso registrabile per breve tempo e per patologie poco rilevanti: essa non va ironizzata, ma rientra nell’ambito di un effetto placebo confermato persino in chirurgia (vedi Placebo e dintorni, G. Dobrilla, Pensiero Scientifico, 2004) che non va sottostimato.

Ritiene “giusto” avviare delle ricerche con finanziamenti pubblici per comprendere il livello di efficacia delle CAM e capire se possono essere utilmente integrate con la medicina convenzionale?

Avviare ricerche con finanziamenti pubblici per continuare a cercare prove di efficacia dopo ennesimi e costosi tentativi (dati ben noti in letteratura!) è assolutamente inaccettabile e non solo in periodi di risorse limitate come questi. Circa la cosiddetta “integrazione” con la medicina ufficiale, invocata in particolare per l’omeopatia, solo l’ignoranza di ciò che diceva in proposito Hahnemann consente tale ipotesi, trattandosi di 2 filosofie incompatibili. Hahnemann testualmente dice: “I due metodi sono contrari l’uno all’altro e solo chi non li conosce può arrivare alla ridicolaggine di curare il malato a suo piacere ora allopaticamente ora omeopaticamente. Questo modo di fare costituisce un tradimento delittuoso della divina omeopatia” (il neretto è dello scriba).

Il solo fatto che non ci siano prove di efficacia per diversi trattamenti "ufficialmente approvati" può rivelarsi un buon motivo per "sdoganare" erbe, manipolazioni e omeopatie varie?

L’approvazione di un trattamento non è prova della sua validità, per nessuna medicina. Naturalmente la evidence può essere difficile o impossibile. Questo argomento, adottato solitamente dagli alternativi, vale per qualche CAM ma per molte di esse, in primis per l’omeopatia, certamente non vale e studi controllati rigorosi sarebbero di facile attuazione. Altro concetto, il “tanto male non fa”, va rifiutato sia perché “qualunquistico e scientificamente inaccettabile”, sia perché i possibili iniziali e transitori benefici di una CAM possono frenare un approfondimento diagnostico o ritardare/bloccare una cura di documentata efficacia, cosa già successa e con conseguenze a volte drammatiche.

Se si parte dell’idea che la medicina pratica è chiamata molto più spesso a curare e dare sollievo che a guarire, è appropriato scegliere le terapie che danno sostegno?

Molte cure anche tradizionali non curano e servono a dare sollievo psicosomatico anche solo momentaneo. Pure queste terapie che sono placebiche, e ciò vale anche per le CAM, ben vengano se attuate nell’esclusivo interesse del paziente, ad esempio nei malati cronici inguaribili come i malati tumorali o in ingestibili malati immaginari. Ma allora non occorre una “umanità alternativa” da parte del terapeuta, basta una sua umanità generica, improntata all’etica e alle buone intenzioni nei confronti del paziente. Sarebbe in effetti ben strano se umani fossero tutti i terapeuti alternativi e cattivi, sbrigativi e interessati solo al danaro tutti gli altri medici (quelli che credono ancora nel ciclo di Krebs e non nelle ultradiluizioni o in onde o spiriti indimostrati; e criticati, cosa poco risaputa, anche dalla Chiesa che non vuole rivali per lo Spirito santo!).

Per concludere….

Anche nella medicina tradizionale, specie ma non esclusivamente del passato, c’è una quota alternativa rilevante fragile e non evidence-based. Basta ricordare la bufala degli epatoprotettori, degli anti-invecchiamento come il gerovital, dei risibili antiulcera come tribenzoica, dei neurotrofici come il cronassial, dei digestivi come il peptopancreasi, degli antiinfiammatori “naturali” come l’ananasi. Il problema vero è che nell’interesse dei pazienti – e non delle ideologie o degli interessi – si dovrebbe cercare di eliminare il più possibile la quota alternativa dalla medicina “scientifica” e non di fare l’inverso, di conferire cioè in varia guisa una paternità scientifica a quella “alternativa”. È un pericolo tutt’altro che teorico.

 

7 marzo 2012

Specialista in Malattie digestive, forte di una lunga e concreta esperienza clinica, Giorgio Dobrilla si occupa da anni di metodologia e di problemi relativi alla sperimentazione clinica. Sul tema delle medicine alternative e delle evidenze nella pratica medica, Giorgio Dobrilla ha pubblicato con Il Pensiero Scientifico diversi libri: Fitoterapia, Placebo e dintorni, Solo scienza e coscienza. In un’intervista rilasciata a Va’ Pensiero, Il linguaggio oscuro dell’evidenza, ha toccato diversi punti interessanti legati alla difficoltà che la pratica medica basata sulle prove di efficacia trova nel farsi accettare dal medico.

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