Sono passati quasi venti mesi dal terremoto d’Abruzzo. Che cosa ricordano i bambini della notte del 6 aprile 2009?
L’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, con l’Ordine dei Ministri degli Infermi – Camilliani e il sostegno della Caritas italiana, sta conducendo una ricerca sul campo per analizzare il rapporto tra l’evento traumatico del terremoto e la salute nei bambini abruzzesi. Si tratta di uno studio ampio, che ha arruolato circa 2 mila bambini, più o meno coinvolti nell’esperienza del terremoto in Abruzzo. I dati raccolti confermano quanto già in parte sapevamo da studi condotti su numeri più limitati, cioè che vivere un’esperienza traumatica può in alcuni casi determinare o evidenziare un disturbo neuropsichiatrico. Abbiamo rilevato che otto, nove bambini abruzzesi su dieci sono colpiti da sindrome postraumatica da stress.
Cioè "rivivono" il trauma?
La sindrome postraumatica da stress è un quadro clinico che si evidenzia con modalità diverse: il rivivere l’esperienza traumatica si associa nel bambino a disturbi del sonno, modificazioni del comportamento, senso di impotenza, eccetera. Oltre a questa sindrome, abbiamo rilevato anche una percentuale significativa di casi di ansia che, nel bambino, si manifesta con iperattività, nervosismo, eccitazione, aumentata risposta agli stimoli esterni, difficoltà ad addormentarsi e quindi una difficoltà nel gestire le attività quotidiane. Nell’insieme il 15 per cento di bambini arruolati presenta dei disturbi e il rimanente 85 per cento non ha nessun disturbo. Questo vuol dire che alcuni bambini sono più coinvolti dal trauma, mentre altri sono più protetti.
Quali sono i fattori di protezione?
Certamente concorrono dei fattori biologici. Ma, oltre alle differenze individuali di natura genetica, che predispongono o meno al disturbo neuropsichiatrico, vi è una componente esterna che dipende dall’ambiente in cui è inserito il bambino. Ad esempio, un fattore di protezione importante è il contesto familiare.
E l’età del bambino?
Il nostro studio ha arruolato bambini in età prescolare (3-5 anni) e in età scolare (6-14 anni). I disturbi neuropsichiatrici non sono stati evidenziati sotto i 5 anni. Sembra quindi che più il bambino è piccolo, minori siano gli esiti del trauma. Probabilmente vi concorrono più fattori ambientali di protezione, tra cui la famiglia e l’età, intesa come livello di sviluppo e maturazione del sistema nervoso.
Le cicatrici del trauma sono indelebili?
I nostri dati sono stati raccolti a distanza di più di un anno dal sisma, pertanto sono espressione di un disturbo ormai consolidato che può cronicizzare nel bambino. Sono però disponibili diversi strumenti terapeutici, sia di tipo farmacologico che psicoterapeutico, a cui aggiungere interventi di aiuto al contesto in cui il bambino è inserito e quindi alla famiglia. E mediamente la risposta al trattamento è buona. Serve guardare al problema senza un eccessivo allarmismo ma con un motivato ottimismo: saperlo ci permette di intervenire rapidamente, di essere più attenti e di accogliere le difficoltà dei bambini che spesso sono misconosciute.
Che ne sarà dei bambini aquilani?
Come dicevamo il disturbo può cronicizzare… Lo scopo di questo studio è verificare l’incidenza dei disturbi di natura neuropsichiatrica nel bambino riconducibili al terremoto, indagare sui tempi di recupero e mettere a fuoco gli interventi da proporre. Ma allo stesso tempo, lo studio vuole richiamare l’attenzione su un problema che non riguarda solo il trauma del terremoto (che è un evento naturale poco frequente) e contribuire a trasferire le conoscenze e le esperienze anche in altri ambiti, dove questo disturbo è presente e viene spesso ignorato o trascurato. Ci sono degli eventi traumatici che nel bambino lasciano dei segni più marcati. Ad esempio, l’esposizione diretta alla guerra e l’incidente in macchina con morti.
Cosa chiedere al pediatra di famiglia?
Il pediatra di famiglia può fare molto. Ha una memoria storica dello sviluppo e della salute del bambino. Per il ruolo che occupa può accorgersi per primo dei cambiamenti comportamentali che, per essere interpretati, richiedono l’intervento dello specialista Neuropsichiatra. Grazie alla collaborazione delle due figure professionali si può arrivare ad una diagnosi tempestiva e, conseguentemente, intervenire con una terapia ad hoc quando necessario.
Ci sono altri studi analoghi condotti in paesi con un’alta frequenza di eventi sismici?
Non tanti. Per la maggior parte hanno arruolato un piccolo numero di soggetti o sono stati condotti con strumenti di misurazione piuttosto grossolani. Questo è il primo studio ampio e su un’area geografica abbastanza ristretta. Ora stiamo per avviare una ricerca sul campo analoga in Cile, per valutare l’impatto del terremoto del 2009, che è stato drammatico non tanto per il numero di vittime (che fortunatamente è stato esiguo), ma per gli effetti devastanti sul territorio.
17 novembre 2010
|
In primo piano
Le cicatrici del terremoto
L’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, con l’Ordine dei Ministri degli Infermi – Camilliani e il sostegno della Caritas italiana, sta conducendo una ricerca sul campo per analizzare il rapporto tra l’evento traumatico del terremoto e la salute nei bambini abruzzesi. Si tratta di uno studio ampio, che ha arruolato circa 2 mila bambini, più o meno coinvolti nell’esperienza del terremoto in Abruzzo. I dati raccolti confermano quanto già in parte sapevamo da studi condotti su numeri più limitati, cioè che vivere un’esperienza traumatica può in alcuni casi determinare o evidenziare un disturbo neuropsichiatrico. Abbiamo rilevato che otto, nove bambini abruzzesi su dieci sono colpiti da sindrome postraumatica da stress.
Cioè "rivivono" il trauma?
La sindrome postraumatica da stress è un quadro clinico che si evidenzia con modalità diverse: il rivivere l’esperienza traumatica si associa nel bambino a disturbi del sonno, modificazioni del comportamento, senso di impotenza, eccetera. Oltre a questa sindrome, abbiamo rilevato anche una percentuale significativa di casi di ansia che, nel bambino, si manifesta con iperattività, nervosismo, eccitazione, aumentata risposta agli stimoli esterni, difficoltà ad addormentarsi e quindi una difficoltà nel gestire le attività quotidiane. Nell’insieme il 15 per cento di bambini arruolati presenta dei disturbi e il rimanente 85 per cento non ha nessun disturbo. Questo vuol dire che alcuni bambini sono più coinvolti dal trauma, mentre altri sono più protetti.
Quali sono i fattori di protezione?
Certamente concorrono dei fattori biologici. Ma, oltre alle differenze individuali di natura genetica, che predispongono o meno al disturbo neuropsichiatrico, vi è una componente esterna che dipende dall’ambiente in cui è inserito il bambino. Ad esempio, un fattore di protezione importante è il contesto familiare.
E l’età del bambino?
Il nostro studio ha arruolato bambini in età prescolare (3-5 anni) e in età scolare (6-14 anni). I disturbi neuropsichiatrici non sono stati evidenziati sotto i 5 anni. Sembra quindi che più il bambino è piccolo, minori siano gli esiti del trauma. Probabilmente vi concorrono più fattori ambientali di protezione, tra cui la famiglia e l’età, intesa come livello di sviluppo e maturazione del sistema nervoso.
Le cicatrici del trauma sono indelebili?
I nostri dati sono stati raccolti a distanza di più di un anno dal sisma, pertanto sono espressione di un disturbo ormai consolidato che può cronicizzare nel bambino. Sono però disponibili diversi strumenti terapeutici, sia di tipo farmacologico che psicoterapeutico, a cui aggiungere interventi di aiuto al contesto in cui il bambino è inserito e quindi alla famiglia. E mediamente la risposta al trattamento è buona. Serve guardare al problema senza un eccessivo allarmismo ma con un motivato ottimismo: saperlo ci permette di intervenire rapidamente, di essere più attenti e di accogliere le difficoltà dei bambini che spesso sono misconosciute.
Che ne sarà dei bambini aquilani?
Come dicevamo il disturbo può cronicizzare… Lo scopo di questo studio è verificare l’incidenza dei disturbi di natura neuropsichiatrica nel bambino riconducibili al terremoto, indagare sui tempi di recupero e mettere a fuoco gli interventi da proporre. Ma allo stesso tempo, lo studio vuole richiamare l’attenzione su un problema che non riguarda solo il trauma del terremoto (che è un evento naturale poco frequente) e contribuire a trasferire le conoscenze e le esperienze anche in altri ambiti, dove questo disturbo è presente e viene spesso ignorato o trascurato. Ci sono degli eventi traumatici che nel bambino lasciano dei segni più marcati. Ad esempio, l’esposizione diretta alla guerra e l’incidente in macchina con morti.
Cosa chiedere al pediatra di famiglia?
Il pediatra di famiglia può fare molto. Ha una memoria storica dello sviluppo e della salute del bambino. Per il ruolo che occupa può accorgersi per primo dei cambiamenti comportamentali che, per essere interpretati, richiedono l’intervento dello specialista Neuropsichiatra. Grazie alla collaborazione delle due figure professionali si può arrivare ad una diagnosi tempestiva e, conseguentemente, intervenire con una terapia ad hoc quando necessario.
Ci sono altri studi analoghi condotti in paesi con un’alta frequenza di eventi sismici?
Non tanti. Per la maggior parte hanno arruolato un piccolo numero di soggetti o sono stati condotti con strumenti di misurazione piuttosto grossolani. Questo è il primo studio ampio e su un’area geografica abbastanza ristretta. Ora stiamo per avviare una ricerca sul campo analoga in Cile, per valutare l’impatto del terremoto del 2009, che è stato drammatico non tanto per il numero di vittime (che fortunatamente è stato esiguo), ma per gli effetti devastanti sul territorio.