Nella pratica clinica, quale ruolo gioca l’evidenza nel processo decisionale?
Quando gli infermieri affrontano un processo decisionale clinico su un paziente, ci sono una serie di parametri che devono essere considerati (vedi figura). Uno di questi è certamente l’evidenza scientifica proveniente da studi di alta qualità. Come infermieri abbiamo il compito attingere da ricerche metodologicamente corrette e clinicamente rilevanti, riguardanti l’efficacia e la sicurezza degli interventi infermieristici, l’accuratezza e la precisione delle valutazioni infermieristiche, il potere dei fattori prognostici, la forza delle relazioni causali, il rapporto costo-efficacia dell’intervento infermieristico e il significato della malattia e dell’esperienza soggettiva del paziente. Un altro parametro è rappresentato dallo stato clinico del paziente, dall’ambiente e dalle circostanze cliniche.

Per esempio?
La gravità della malattia di un paziente, che influenzerà la sua risposta ad un intervento infermieristico. Un altro esempio è rappresentato dai pazienti degli ospedali di campagna, che non hanno accesso alle stesse opzioni terapeutiche che sono disponibili negli ospedali universitari del sistema di cura terziario. Gli infermieri devono considerare preferenze ed azioni del paziente. Da principio, l’infermiere aiuta il paziente ad identificare la migliore opzione di cura; il paziente dovrebbe ricevere indicazioni sul miglior approccio da adottare nel suo caso. L’infermiere potrebbe ad esempio, sottolineare le varie opzioni chemioterapiche che, da studi di ricerca di alta qualità, si sono dimostrate efficaci per il tipo di tumore del paziente, ma alla fine, quest’ultimo potrebbe decidere che gli effetti di quei chemioterapici sulla qualità di vita sono talmente negativi da rifiutarli tutti.
Il processo decisionale clinico spesso, tiene in considerazione anche il coinvolgimento delle risorse. I fondi disponibili per il sistema sanitario sono limitati e la decisione di spendere soldi su un intervento evidence-based (per esempio, materassi che si sono dimostrati efficaci nel prevenire le ulcere da decubito, o ringhiere che si sono dimostrate utili per prevenire le cadute negli anziani) ridurrà i fondi disponibili per altri interventi. E infine, la competenza clinica integra le altre quattro componenti. Tutto questo ha a che fare con l’abilità dell’infermiere di valutare le condizioni dei pazienti, i loro rischi, i potenziali benefici degli interventi e le preferenze dei pazienti, e successivamente, nel comunicare le informazioni ai pazienti e alle famiglie e fornire loro cure infermieristiche di conforto e supporto. Un elemento chiave nel processo decisionale clinico evidence based è la personalizzazione dell’evidenza sulla circostanza specifica del paziente.
È meglio basare la cura sulla "expert opinion" o su ciò che si è sempre fatto in passato (tradizione)?
Non tutte le evidenze di ricerca sono create nello stesso modo. Perciò, sono state sviluppate gerarchie per i livelli delle evidenze, che classificano le ricerche su un determinato argomento, da quelle di più alta qualità a quelle di più bassa, in genere in base al tipo di disegno che è stato usato per lo studio.
Ad esempio, quando Registered Nurses’ Association of Ontario creò le linee guida per le best practice nella prevenzione delle cadute dell’anziano, per ogni raccomandazione ha assegnato un livello di evidenza. I livelli dell’evidenza, dal più alto al più basso, sono:
- Ia: evidenza che proviene da metanalisi, da revisione sistematica o da trial controllati randomizzati;
- Ib: evidenza che proviene da almeno un trial controllato randomizzato;
- IIa: evidenza che proviene da almeno uno studio controllato ben disegnato, ma senza randomizzazione;
- IIb: evidenza che proviene da almeno un altro tipo di studio ben disegnato, quasi sperimentale;
- III: evidenza che proviene da studi descrittivi ben disegnati non sperimentali;
- IV: evidenza che proviene dal report di una commissione di esperti o dall’opinione e/o esperienza clinica di un’autorità accreditata.
L’evidenza basata sia sulla "expert opinion", sia sulla tradizione (ciò che è stato sempre fatto) costituisce il più basso livello di evidenza, che dovrebbe essere usato soltanto in mancanza di migliore evidenza su un dato argomento. Queste situazioni dovrebbero promuovere lo sviluppo di una ricerca, così da potere disporre nel futuro di un’evidenza più rigorosa sul tema.
Nelle scienze infermieristiche spesso, il processo decisionale clinico è basato sulle competenze cliniche dell’infermiere e sulla tradizione (ciò che si è sempre fatto qui). Ma generalmente esistono livelli di evidenza variabili che dovrebbero essere più forti della tradizione, che vanno da studi di qualità molto alta (per esempio, trial randomizzati controllati) a studi meno rigorosi (per esempio, osservazioni non randomizzate).
Come aiuterebbe gli infermieri ad usare l’evidenza, anche se un’evidenza “debole”, piuttosto che la tradizione?
In teoria, gli infermieri dovrebbero applicare alla propria pratica clinica, evidenze basate su ricerche di alta qualità, metodologicamente corrette ed internamente coerenti. Sfortunatamente, non tutta la ricerca è di alta qualità e mentre alcuna è debole, ma comunque valida, altra è gravemente difettosa e i risultati di questa ricerca non dovrebbero essere applicati alla pratica, perché ne sarebbe invalidata.
La chiave sta nell’aiutare gli infermieri a distinguere la ricerca di alta qualità, che dovrebbe essere applicata alla pratica, da quella che è così gravemente difettosa da non dover nemmeno sprecare il nostro tempo a leggerla.
Fino a poco tempo fa, questa rappresentava una delle sfide più importanti. E oggi?
Adesso sono felice di poter affermare che gli infermieri hanno accesso alle “pre-processed resources”. Gli articoli nelle risorse pre-trattate come PubMed con Clinical Queries, Evidence-Based Journals e Clinical Evidence, sono stati sottoposti ad un filtro da parte del personale che ha applicato i criteri metodologici ed ha valutato lo studio ed i suoi risultati validi. Questo fa risparmiare molto tempo all’infermiere, che non ha più bisogno di leggere un gran numero di studi su un dato argomento e rivalutarli criticamente per identificare quelli validi.
Il processo decisionale clinico dovrebbe essere condiviso con il paziente, ma il contesto potrebbe influenzare la decisione del paziente. Ad esempio, in Italia la medicina è molto paternalistica e di solito non viene chiesto ai pazienti di condividere i valori e le preferenze. Come applicare il suo modello di processo decisionale, quando è difficile capire i valori del paziente?
Quando noi introducemmo la pratica basata sulle evidenze, nei primi anni novanta, ne eravamo talmente entusiasti che ci focalizzammo solo su questa, tanto da trascurare gli altri parametri descritti in precedenza. Questo fu criticato da molti dei nostri colleghi e fummo accusati di promulgare un libro delle ricette delle scienze infermieristiche; in altre parole la sola cosa che si doveva considerare nelle decisioni cliniche evidence based era l’evidenza. Ad ogni modo, da allora abbiamo fatto un lavoro migliore nello spiegare che l’evidenza è solo uno dei parametri da prendere in considerazione nel processo decisionale clinico e che gli altri parametri sono equamente importanti: lo stato clinico del paziente, l’ambiente e le circostanze; le preferenze e le azioni del paziente, le risorse, e la competenza clinica.
Sì, è nostro compito trovare la ricerca giusta da applicare al paziente e poi interpretare la ricerca per il paziente, ma è molto importante che ai pazienti sia data l’opportunità di scegliere cosa è meglio per loro in termini di preferenze e valori.
La preferenza di un paziente di rifiutare un trattamento dovrebbe essere più importante delle circostanze cliniche e dell’evidenza di ricerca che indica che quel trattamento è il migliore per la sua condizione. I pazienti esercitano la propria volontà di cura scegliendo trattamenti alternativi, rifiutando trattamenti, preparando direttive in anticipo (volontà da vivo) che stabiliscono il livello di cura che questi vogliono ricevere, nel caso in cui dovessero diventare incapaci di parlare per loro stessi, e cercando opinioni ulteriori. I pazienti di oggi hanno un maggiore accesso alle informazioni cliniche rispetto al passato e alcuni diventano più informati sulle proprie condizioni persino di quelli che forniscono loro le cure, in particolare, i pazienti che soffrono di condizioni croniche. Sebbene il ruolo dei pazienti nelle decisioni cliniche sia di solito non formalizzato e a volte addirittura ignorato da coloro che forniscono le cure, è una componente fondamentale della maggior parte delle decisioni cliniche. Chiaramente, il migliore scenario possibile è quello in cui il paziente sia in grado di esercitare un ruolo pieno nel processo decisionale sulla propria assistenza sanitaria, essendo bene al corrente del livello delle conoscenze più aggiornate.
In Italia, ci sono molti medici e pochi infermieri e solo di recente la formazione degli infermieri è di livello universitario. Può il movimento EB dar forza al ruolo delle scienze infermieristiche, un ruolo che è attualmente strettamente dipendente dai medici?
Certamente. La capacità di essere aggiornati in un’area della pratica clinica e di applicare i risultati di alta qualità alla pratica è la chiave per dar forza a tutti i professionisti della salute e l’evidenza non è usata sempre da un solo tipo di questi professionisti. Sempre di più oggi gli infermieri, i medici e gli altri operatori sanitari, come ad esempio i fisioterapisti, stanno collaborando nel condurre ricerche importanti per i pazienti, nel pubblicarle e nell’applicarle. I medici spesso applicano ricerche che sono state condotte dagli infermieri e viceversa. Se guarda il nostro giornale Evidence-Based Nursing (EBN), vedrà che la maggior parte della ricerca che è di rilevanza per le scienze infermieristiche è stata pubblicata in giornali “medici”, come ad esempio BMJ, JAMA, NEJM. Ciò mette i medici davanti al fatto che gli infermieri fanno ricerca importante, di alta qualità. In Italia, e ovunque nel mondo, gli infermieri hanno bisogno di dimostrare ai loro colleghi clinici la propria abilità nel trovare ed applicare l’evidenza di alta qualità alla cura del paziente. Una consultazione del giornale EBN e del sito web mostrerà rapidamente il grande numero di studi di alta qualità condotti in tutto il mondo dagli infermieri, naturalmente inclusa l’Italia. È spiacevole che io abbia persino bisogno di dire questo, ma data la dominanza dei medici nel nostro sistema sanitario, specialmente in Italia, agire come un infermiere evidence-based dovrebbe aiutare i medici a capire che gli infermieri sono membri paritari del team dei professionisti della salute e che influenzano la qualità dell’assistenza al paziente.
In Italia, il pensiero critico è insegnato di rado perfino nelle aule universitarie. C’è il rischio che l’evidenza sia vista acriticamente come un libro delle ricette da applicare a tutti i pazienti e che l’evidence based nursing diventi una nuova autorità?
Sì, e questo è esattamente l’errore che noi abbiamo fatto nei primi anni novanta, quando abbiamo over-enfatizzato il ruolo dell’evidenza nel processo decisionale clinico a discapito di altri parametri importanti. Sembrava facessimo un libro delle ricette di scienze infermieristiche, quando, in effetti, avremmo dovuto riflettere su circostanze del paziente, nostre competenze cliniche, risorse disponibili, preferenze del paziente e sui valori, insieme all’evidenza. Gli infermieri temevano che avessimo perso la componente del prendersi cura, ma, in effetti, ciò non era vero. Come già detto, sebbene il nostro obbligo professionale è essere aggiornati sulla ricerca più recente di alta qualità applicabile ai nostri pazienti, abbiamo bisogno di utilizzare la nostra capacità di “prenderci cura” per spiegare i risultati della ricerca ai nostri pazienti e calmierare le loro reazioni, aiutandoli a prendere la miglior decisione, sempre usando un approccio premuroso.
C’è il rischio che l’EBN sia usata solo per la riduzione dei costi e non per il reale beneficio del paziente?
In effetti, può capitare il contrario. Se guardiamo agli studi evidence-based sugli interventi per prevenire le ulcere da decubito, possiamo imparare come gli interventi più efficaci siano quelli che costano molti soldi, per esempio certi tipi di materassi. Altri studi potrebbero dimostrare che il farmaco più costoso per una determinata condizione è anche il più efficace. Ancora una volta ritorniamo sul concetto che esiste un budget di risorse ben determinato che abbiamo a disposizione per la somministrazione delle cure e che dobbiamo decidere su come spendere i soldi, sapendo che questo vuol dire togliere risorse ad altri interventi. La ricerca potrebbe dimostrare che necessitiamo di sollevatori per il trasferimento dei pazienti, per prevenire incidenti agli infermieri e ancora potrebbe dimostrare che necessitiamo di ringhiere per prevenire le cadute nell’anziano. Dobbiamo decidere fra diverse possibilità, basandoci su ciò che il sistema può sostenere. Allo stesso tempo, la ricerca potrebbe mostrare vie meno costose per fare le stesse cose. Ad esempio, eravamo soliti perdere molto tempo nella rasatura pre-operatoria, cosa che – adesso è stato dimostrato – aumenta le infezioni anziché diminuirle. Ciò farà risparmiare all’infermiere tempo e soldi. Noi spendevamo molto tempo utilizzando soluzioni saline speciali per la pulizia delle ferite e ora sappiamo che in genere l’acqua del rubinetto è buona allo stesso modo. Molto importante, abbiamo appreso da studi recenti, che veramente pochi professionisti della salute si lavano le mani tra la visita di un paziente e l’altro; se riuscissimo ad aumentare la frequenza dei lavaggi di mani risparmieremmo molti soldi che, ad oggi, sono spesi per il prolungamento della permanenza ospedaliera di pazienti che hanno sviluppato infezioni in seguito alle scarse abitudini igieniche di coloro che prestano le cure.
Crede che l’EBN possa portare a cambiamenti politici in favore dei pazienti e del personale sanitario o c’è il rischio che il contenimento dei costi sia l’unico interesse dei politici?
In Canada negli ultimi 10 anni, si è affermata la tendenza alle decisioni politiche basate sull’evidenza. I politici adesso lavorano a braccetto con i ricercatori per identificare i servizi importanti per la sanità e le questioni politiche e quindi, per applicare i risultati di questa ricerca nelle decisioni politiche. Come ricercatori, abbiamo imparato che i politici sono troppo impegnati per leggere gli articoli sulle riviste e che necessitano apprendere i risultati della ricerca in maniera molto veloce ed efficiente, ad esempio, attraverso la nota riassuntiva di una pagina, piuttosto che in un lungo e denso report. È stato ragguardevole vedere i cambiamenti avvenuti in Canada nel far politica informata sull’evidenza in così poco tempo.
Quali sono le aree dell’evidence based practice che, secondo lei, necessitano di maggiore ricerca?
Nelle scienze infermieristiche serve molta ricerca, per individuare strategie di cambiamento della pratica all’interno dell’organizzazione sanitariae. Sebbene gli infermieri siano ben motivati a diventare professionisti evidence-based, un singolo infermiere accanto ad un letto non ha né l’autonomia, né l’autorità per cambiare una pratica. Le equipe di infermieri non possono semplicemente smettere di radere i pazienti nel pre-operatorio, dopo aver letto gli studi che hanno dimostrato che la rasatura pre-operatoria aumenta anziché diminuire le infezioni. Gli infermieri necessitano del supporto delle organizzazioni per cambiare le politiche e le procedure relative a specifiche pratiche infermieristiche. Al contrario i “medici”, che praticano più autonomamente, possono leggere un’evidenza sul nuovo tipo di anti-ipertensivo e immediatamente iniziare a prescriverlo ai loro pazienti. In qualche modo, noi creiamo delle controversie etiche, quando gli infermieri leggono una ricerca e apprendono che possono apportare più danni che benefici con ciò che stanno facendo, ma non possono cambiarlo perché tale è la procedura dell’ospedale. Abbiamo quindi bisogno di più ricerca su come aiutare la professione infermieristica ad usare l‘evidenza nella sua pratica e su come creare una cultura evidence-based. E qui in Canada, abbiamo fatto una ricerca che dimostra come persino dopo che una pratica è stata cambiata è difficile mantenere questo cambiamento. Solo un terzo circa delle pratiche sono mantenute. Necessitiamo quindi, non solo di ricerca per dimostrare come cambiare le pratiche di un’organizzazione, ma anche come mantenerle.
Quali sono I principi dell’EBP che possono essere sfidati?
Nel 2007, il British Medical Journal ha definito la nascita dell’EBM, movimento sviluppato dai ricercatori della McMaster University, come uno dei 15 maggiori passi avanti nelle scienze mediche degli ultimi 150 anni.
Una delle sfide all’EBP è che ricerche nuove più rigorose possano contraddire risultati precedenti. Ad esempio, dieci anni fa, noi ci sentivamo sicuri nel suggerire alle donne di prendere la terapia ormonale sostitutiva (HRT), perché tutti gli studi osservazionali mostravano che era la cosa giusta da fare. Gli studi osservazionali erano tutto ciò che avevamo a quel tempo. Da quel momento, un grande trial controllato randomizzato ha dimostrato come l’HRT fosse associata ad un aumento dell’incidenza di tumori al seno, ictus, ed embolia polmonare. Come risultato molte donne furono incoraggiate a prendere con discontinuità l’HRT. Credo quindi, che un principio che può essere sfidato è che esistano studi perfetti. Siamo comunque così fortunati da avere iniziative come Cochrane Library, Campbell Collaboration, and National Guidelines Clearinghouse, che consolidano tutta la ricerca su un dato argomento, attraverso revisioni sistematiche e linee guida per la pratica clinica, così che noi non dobbiamo basare la nostra pratica sui risultati di singoli studi.
Un’altra sfida è il garantire l’applicazione alla pratica dei risultati della ricerca di alta qualità, sia di quella qualitativa che di quella quantitativa. La ricerca qualitativa è importante tanto quanto quella quantitativa. Nella ricerca qualitativa non testiamo l’associazione di relazioni tra variabili, ma piuttosto cerchiamo di imparare dalle esperienze dei pazienti con le loro malattie. È la domanda della ricerca che ne determina il suo disegno. A volte il miglior disegno per rispondere ad una domanda di ricerca è quantitativo, a volte è qualitativo e altre volte è un miscuglio di metodi, in cui noi combiniamo metodi quantitativi e qualitativi.
Ma nella ricerca quantitativa sono possibili le revisioni sistematiche. Ci sono revisioni sistematiche per la ricerca qualitativa?
Una revisione sistematica è un riassunto rigoroso di tutte le evidenze di ricerca in relazione a una domanda specifica, essendo questa domanda su danno, diagnosi, prognosi o efficacia degli interventi curativi. Una revisione sistematica di alta qualità fornisce un riassunto onnicomprensivo delle conoscenze ottenute dalla ricerca su un determinato argomento, prendendo in considerazione la validità degli studi primari. Alcune revisioni sistematiche di ricerca quantitative possono includere una meta-analisi. Questo significa combinare statisticamente risultati di più studi.
Ad oggi, molte revisioni sistematiche hanno riassunto studi quantitativi. Recentemente gruppi di revisori hanno riassunto studi qualitativi nella forma di revisioni sistematiche, spesso chiamate meta-sintesi. Un recente esempio di meta-sintesi pubblicato su Evidence-Based Nursing Journal è una revisione di 268 studi qualitativi, che identificano i fattori che influenzano il comportamento sessuale nei giovani.
Per definizione, i risultati di un singolo studio qualitativo tendono ad essere meno generalizzabili alla grande popolazione di quanto lo siano i risultati di studi quantitativi. Per questo, le meta-sintesi di ricerca qualitativa rafforzano l’abilità di generalizzare i risultati dello studio ad una popolazione più ampia.
È più difficile combinare studi qualitativi?
Ciò dipende strettamente dal numero degli studi e dalla complessità dell’analisi e dei risultati. Mentre in genere, tramite una meta-analisi possiamo convogliare i risultati di molti studi quantitativi in una singola statistica, a volte, capita di dover riassumere alcuni studi quantitativi in modo narrativo, perché i loro risultati non si prestano di per sé ad una meta-analisi. Allo stesso modo, gli studi qualitativi debbono essere riassunti in modo narrativo.
18 novembre 2009
L’intervista, condotta in collaborazione con la rivista
Assistenza Infermieristica e Ricerca, è stata curata da
Maria Luisa Cavada, docente al Corso di Laurea in Scienze Infermieristiche dell’Università degli Studi di Verona, polo didattico di Bolzano.
In primo piano
L’evidenza non è one size fit all!
Quando gli infermieri affrontano un processo decisionale clinico su un paziente, ci sono una serie di parametri che devono essere considerati (vedi figura). Uno di questi è certamente l’evidenza scientifica proveniente da studi di alta qualità. Come infermieri abbiamo il compito attingere da ricerche metodologicamente corrette e clinicamente rilevanti, riguardanti l’efficacia e la sicurezza degli interventi infermieristici, l’accuratezza e la precisione delle valutazioni infermieristiche, il potere dei fattori prognostici, la forza delle relazioni causali, il rapporto costo-efficacia dell’intervento infermieristico e il significato della malattia e dell’esperienza soggettiva del paziente. Un altro parametro è rappresentato dallo stato clinico del paziente, dall’ambiente e dalle circostanze cliniche.
Per esempio?
La gravità della malattia di un paziente, che influenzerà la sua risposta ad un intervento infermieristico. Un altro esempio è rappresentato dai pazienti degli ospedali di campagna, che non hanno accesso alle stesse opzioni terapeutiche che sono disponibili negli ospedali universitari del sistema di cura terziario. Gli infermieri devono considerare preferenze ed azioni del paziente. Da principio, l’infermiere aiuta il paziente ad identificare la migliore opzione di cura; il paziente dovrebbe ricevere indicazioni sul miglior approccio da adottare nel suo caso. L’infermiere potrebbe ad esempio, sottolineare le varie opzioni chemioterapiche che, da studi di ricerca di alta qualità, si sono dimostrate efficaci per il tipo di tumore del paziente, ma alla fine, quest’ultimo potrebbe decidere che gli effetti di quei chemioterapici sulla qualità di vita sono talmente negativi da rifiutarli tutti.
Il processo decisionale clinico spesso, tiene in considerazione anche il coinvolgimento delle risorse. I fondi disponibili per il sistema sanitario sono limitati e la decisione di spendere soldi su un intervento evidence-based (per esempio, materassi che si sono dimostrati efficaci nel prevenire le ulcere da decubito, o ringhiere che si sono dimostrate utili per prevenire le cadute negli anziani) ridurrà i fondi disponibili per altri interventi. E infine, la competenza clinica integra le altre quattro componenti. Tutto questo ha a che fare con l’abilità dell’infermiere di valutare le condizioni dei pazienti, i loro rischi, i potenziali benefici degli interventi e le preferenze dei pazienti, e successivamente, nel comunicare le informazioni ai pazienti e alle famiglie e fornire loro cure infermieristiche di conforto e supporto. Un elemento chiave nel processo decisionale clinico evidence based è la personalizzazione dell’evidenza sulla circostanza specifica del paziente.
È meglio basare la cura sulla "expert opinion" o su ciò che si è sempre fatto in passato (tradizione)?
Non tutte le evidenze di ricerca sono create nello stesso modo. Perciò, sono state sviluppate gerarchie per i livelli delle evidenze, che classificano le ricerche su un determinato argomento, da quelle di più alta qualità a quelle di più bassa, in genere in base al tipo di disegno che è stato usato per lo studio.
Ad esempio, quando Registered Nurses’ Association of Ontario creò le linee guida per le best practice nella prevenzione delle cadute dell’anziano, per ogni raccomandazione ha assegnato un livello di evidenza. I livelli dell’evidenza, dal più alto al più basso, sono:
L’evidenza basata sia sulla "expert opinion", sia sulla tradizione (ciò che è stato sempre fatto) costituisce il più basso livello di evidenza, che dovrebbe essere usato soltanto in mancanza di migliore evidenza su un dato argomento. Queste situazioni dovrebbero promuovere lo sviluppo di una ricerca, così da potere disporre nel futuro di un’evidenza più rigorosa sul tema.
Nelle scienze infermieristiche spesso, il processo decisionale clinico è basato sulle competenze cliniche dell’infermiere e sulla tradizione (ciò che si è sempre fatto qui). Ma generalmente esistono livelli di evidenza variabili che dovrebbero essere più forti della tradizione, che vanno da studi di qualità molto alta (per esempio, trial randomizzati controllati) a studi meno rigorosi (per esempio, osservazioni non randomizzate).
Come aiuterebbe gli infermieri ad usare l’evidenza, anche se un’evidenza “debole”, piuttosto che la tradizione?
In teoria, gli infermieri dovrebbero applicare alla propria pratica clinica, evidenze basate su ricerche di alta qualità, metodologicamente corrette ed internamente coerenti. Sfortunatamente, non tutta la ricerca è di alta qualità e mentre alcuna è debole, ma comunque valida, altra è gravemente difettosa e i risultati di questa ricerca non dovrebbero essere applicati alla pratica, perché ne sarebbe invalidata.
La chiave sta nell’aiutare gli infermieri a distinguere la ricerca di alta qualità, che dovrebbe essere applicata alla pratica, da quella che è così gravemente difettosa da non dover nemmeno sprecare il nostro tempo a leggerla.
Fino a poco tempo fa, questa rappresentava una delle sfide più importanti. E oggi?
Adesso sono felice di poter affermare che gli infermieri hanno accesso alle “pre-processed resources”. Gli articoli nelle risorse pre-trattate come PubMed con Clinical Queries, Evidence-Based Journals e Clinical Evidence, sono stati sottoposti ad un filtro da parte del personale che ha applicato i criteri metodologici ed ha valutato lo studio ed i suoi risultati validi. Questo fa risparmiare molto tempo all’infermiere, che non ha più bisogno di leggere un gran numero di studi su un dato argomento e rivalutarli criticamente per identificare quelli validi.
Il processo decisionale clinico dovrebbe essere condiviso con il paziente, ma il contesto potrebbe influenzare la decisione del paziente. Ad esempio, in Italia la medicina è molto paternalistica e di solito non viene chiesto ai pazienti di condividere i valori e le preferenze. Come applicare il suo modello di processo decisionale, quando è difficile capire i valori del paziente?
Quando noi introducemmo la pratica basata sulle evidenze, nei primi anni novanta, ne eravamo talmente entusiasti che ci focalizzammo solo su questa, tanto da trascurare gli altri parametri descritti in precedenza. Questo fu criticato da molti dei nostri colleghi e fummo accusati di promulgare un libro delle ricette delle scienze infermieristiche; in altre parole la sola cosa che si doveva considerare nelle decisioni cliniche evidence based era l’evidenza. Ad ogni modo, da allora abbiamo fatto un lavoro migliore nello spiegare che l’evidenza è solo uno dei parametri da prendere in considerazione nel processo decisionale clinico e che gli altri parametri sono equamente importanti: lo stato clinico del paziente, l’ambiente e le circostanze; le preferenze e le azioni del paziente, le risorse, e la competenza clinica.
Sì, è nostro compito trovare la ricerca giusta da applicare al paziente e poi interpretare la ricerca per il paziente, ma è molto importante che ai pazienti sia data l’opportunità di scegliere cosa è meglio per loro in termini di preferenze e valori.
La preferenza di un paziente di rifiutare un trattamento dovrebbe essere più importante delle circostanze cliniche e dell’evidenza di ricerca che indica che quel trattamento è il migliore per la sua condizione. I pazienti esercitano la propria volontà di cura scegliendo trattamenti alternativi, rifiutando trattamenti, preparando direttive in anticipo (volontà da vivo) che stabiliscono il livello di cura che questi vogliono ricevere, nel caso in cui dovessero diventare incapaci di parlare per loro stessi, e cercando opinioni ulteriori. I pazienti di oggi hanno un maggiore accesso alle informazioni cliniche rispetto al passato e alcuni diventano più informati sulle proprie condizioni persino di quelli che forniscono loro le cure, in particolare, i pazienti che soffrono di condizioni croniche. Sebbene il ruolo dei pazienti nelle decisioni cliniche sia di solito non formalizzato e a volte addirittura ignorato da coloro che forniscono le cure, è una componente fondamentale della maggior parte delle decisioni cliniche. Chiaramente, il migliore scenario possibile è quello in cui il paziente sia in grado di esercitare un ruolo pieno nel processo decisionale sulla propria assistenza sanitaria, essendo bene al corrente del livello delle conoscenze più aggiornate.
In Italia, ci sono molti medici e pochi infermieri e solo di recente la formazione degli infermieri è di livello universitario. Può il movimento EB dar forza al ruolo delle scienze infermieristiche, un ruolo che è attualmente strettamente dipendente dai medici?
Certamente. La capacità di essere aggiornati in un’area della pratica clinica e di applicare i risultati di alta qualità alla pratica è la chiave per dar forza a tutti i professionisti della salute e l’evidenza non è usata sempre da un solo tipo di questi professionisti. Sempre di più oggi gli infermieri, i medici e gli altri operatori sanitari, come ad esempio i fisioterapisti, stanno collaborando nel condurre ricerche importanti per i pazienti, nel pubblicarle e nell’applicarle. I medici spesso applicano ricerche che sono state condotte dagli infermieri e viceversa. Se guarda il nostro giornale Evidence-Based Nursing (EBN), vedrà che la maggior parte della ricerca che è di rilevanza per le scienze infermieristiche è stata pubblicata in giornali “medici”, come ad esempio BMJ, JAMA, NEJM. Ciò mette i medici davanti al fatto che gli infermieri fanno ricerca importante, di alta qualità. In Italia, e ovunque nel mondo, gli infermieri hanno bisogno di dimostrare ai loro colleghi clinici la propria abilità nel trovare ed applicare l’evidenza di alta qualità alla cura del paziente. Una consultazione del giornale EBN e del sito web mostrerà rapidamente il grande numero di studi di alta qualità condotti in tutto il mondo dagli infermieri, naturalmente inclusa l’Italia. È spiacevole che io abbia persino bisogno di dire questo, ma data la dominanza dei medici nel nostro sistema sanitario, specialmente in Italia, agire come un infermiere evidence-based dovrebbe aiutare i medici a capire che gli infermieri sono membri paritari del team dei professionisti della salute e che influenzano la qualità dell’assistenza al paziente.
In Italia, il pensiero critico è insegnato di rado perfino nelle aule universitarie. C’è il rischio che l’evidenza sia vista acriticamente come un libro delle ricette da applicare a tutti i pazienti e che l’evidence based nursing diventi una nuova autorità?
Sì, e questo è esattamente l’errore che noi abbiamo fatto nei primi anni novanta, quando abbiamo over-enfatizzato il ruolo dell’evidenza nel processo decisionale clinico a discapito di altri parametri importanti. Sembrava facessimo un libro delle ricette di scienze infermieristiche, quando, in effetti, avremmo dovuto riflettere su circostanze del paziente, nostre competenze cliniche, risorse disponibili, preferenze del paziente e sui valori, insieme all’evidenza. Gli infermieri temevano che avessimo perso la componente del prendersi cura, ma, in effetti, ciò non era vero. Come già detto, sebbene il nostro obbligo professionale è essere aggiornati sulla ricerca più recente di alta qualità applicabile ai nostri pazienti, abbiamo bisogno di utilizzare la nostra capacità di “prenderci cura” per spiegare i risultati della ricerca ai nostri pazienti e calmierare le loro reazioni, aiutandoli a prendere la miglior decisione, sempre usando un approccio premuroso.
C’è il rischio che l’EBN sia usata solo per la riduzione dei costi e non per il reale beneficio del paziente?
In effetti, può capitare il contrario. Se guardiamo agli studi evidence-based sugli interventi per prevenire le ulcere da decubito, possiamo imparare come gli interventi più efficaci siano quelli che costano molti soldi, per esempio certi tipi di materassi. Altri studi potrebbero dimostrare che il farmaco più costoso per una determinata condizione è anche il più efficace. Ancora una volta ritorniamo sul concetto che esiste un budget di risorse ben determinato che abbiamo a disposizione per la somministrazione delle cure e che dobbiamo decidere su come spendere i soldi, sapendo che questo vuol dire togliere risorse ad altri interventi. La ricerca potrebbe dimostrare che necessitiamo di sollevatori per il trasferimento dei pazienti, per prevenire incidenti agli infermieri e ancora potrebbe dimostrare che necessitiamo di ringhiere per prevenire le cadute nell’anziano. Dobbiamo decidere fra diverse possibilità, basandoci su ciò che il sistema può sostenere. Allo stesso tempo, la ricerca potrebbe mostrare vie meno costose per fare le stesse cose. Ad esempio, eravamo soliti perdere molto tempo nella rasatura pre-operatoria, cosa che – adesso è stato dimostrato – aumenta le infezioni anziché diminuirle. Ciò farà risparmiare all’infermiere tempo e soldi. Noi spendevamo molto tempo utilizzando soluzioni saline speciali per la pulizia delle ferite e ora sappiamo che in genere l’acqua del rubinetto è buona allo stesso modo. Molto importante, abbiamo appreso da studi recenti, che veramente pochi professionisti della salute si lavano le mani tra la visita di un paziente e l’altro; se riuscissimo ad aumentare la frequenza dei lavaggi di mani risparmieremmo molti soldi che, ad oggi, sono spesi per il prolungamento della permanenza ospedaliera di pazienti che hanno sviluppato infezioni in seguito alle scarse abitudini igieniche di coloro che prestano le cure.
Crede che l’EBN possa portare a cambiamenti politici in favore dei pazienti e del personale sanitario o c’è il rischio che il contenimento dei costi sia l’unico interesse dei politici?
In Canada negli ultimi 10 anni, si è affermata la tendenza alle decisioni politiche basate sull’evidenza. I politici adesso lavorano a braccetto con i ricercatori per identificare i servizi importanti per la sanità e le questioni politiche e quindi, per applicare i risultati di questa ricerca nelle decisioni politiche. Come ricercatori, abbiamo imparato che i politici sono troppo impegnati per leggere gli articoli sulle riviste e che necessitano apprendere i risultati della ricerca in maniera molto veloce ed efficiente, ad esempio, attraverso la nota riassuntiva di una pagina, piuttosto che in un lungo e denso report. È stato ragguardevole vedere i cambiamenti avvenuti in Canada nel far politica informata sull’evidenza in così poco tempo.
Quali sono le aree dell’evidence based practice che, secondo lei, necessitano di maggiore ricerca?
Nelle scienze infermieristiche serve molta ricerca, per individuare strategie di cambiamento della pratica all’interno dell’organizzazione sanitariae. Sebbene gli infermieri siano ben motivati a diventare professionisti evidence-based, un singolo infermiere accanto ad un letto non ha né l’autonomia, né l’autorità per cambiare una pratica. Le equipe di infermieri non possono semplicemente smettere di radere i pazienti nel pre-operatorio, dopo aver letto gli studi che hanno dimostrato che la rasatura pre-operatoria aumenta anziché diminuire le infezioni. Gli infermieri necessitano del supporto delle organizzazioni per cambiare le politiche e le procedure relative a specifiche pratiche infermieristiche. Al contrario i “medici”, che praticano più autonomamente, possono leggere un’evidenza sul nuovo tipo di anti-ipertensivo e immediatamente iniziare a prescriverlo ai loro pazienti. In qualche modo, noi creiamo delle controversie etiche, quando gli infermieri leggono una ricerca e apprendono che possono apportare più danni che benefici con ciò che stanno facendo, ma non possono cambiarlo perché tale è la procedura dell’ospedale. Abbiamo quindi bisogno di più ricerca su come aiutare la professione infermieristica ad usare l‘evidenza nella sua pratica e su come creare una cultura evidence-based. E qui in Canada, abbiamo fatto una ricerca che dimostra come persino dopo che una pratica è stata cambiata è difficile mantenere questo cambiamento. Solo un terzo circa delle pratiche sono mantenute. Necessitiamo quindi, non solo di ricerca per dimostrare come cambiare le pratiche di un’organizzazione, ma anche come mantenerle.
Quali sono I principi dell’EBP che possono essere sfidati?
Nel 2007, il British Medical Journal ha definito la nascita dell’EBM, movimento sviluppato dai ricercatori della McMaster University, come uno dei 15 maggiori passi avanti nelle scienze mediche degli ultimi 150 anni.
Una delle sfide all’EBP è che ricerche nuove più rigorose possano contraddire risultati precedenti. Ad esempio, dieci anni fa, noi ci sentivamo sicuri nel suggerire alle donne di prendere la terapia ormonale sostitutiva (HRT), perché tutti gli studi osservazionali mostravano che era la cosa giusta da fare. Gli studi osservazionali erano tutto ciò che avevamo a quel tempo. Da quel momento, un grande trial controllato randomizzato ha dimostrato come l’HRT fosse associata ad un aumento dell’incidenza di tumori al seno, ictus, ed embolia polmonare. Come risultato molte donne furono incoraggiate a prendere con discontinuità l’HRT. Credo quindi, che un principio che può essere sfidato è che esistano studi perfetti. Siamo comunque così fortunati da avere iniziative come Cochrane Library, Campbell Collaboration, and National Guidelines Clearinghouse, che consolidano tutta la ricerca su un dato argomento, attraverso revisioni sistematiche e linee guida per la pratica clinica, così che noi non dobbiamo basare la nostra pratica sui risultati di singoli studi.
Un’altra sfida è il garantire l’applicazione alla pratica dei risultati della ricerca di alta qualità, sia di quella qualitativa che di quella quantitativa. La ricerca qualitativa è importante tanto quanto quella quantitativa. Nella ricerca qualitativa non testiamo l’associazione di relazioni tra variabili, ma piuttosto cerchiamo di imparare dalle esperienze dei pazienti con le loro malattie. È la domanda della ricerca che ne determina il suo disegno. A volte il miglior disegno per rispondere ad una domanda di ricerca è quantitativo, a volte è qualitativo e altre volte è un miscuglio di metodi, in cui noi combiniamo metodi quantitativi e qualitativi.
Ma nella ricerca quantitativa sono possibili le revisioni sistematiche. Ci sono revisioni sistematiche per la ricerca qualitativa?
Una revisione sistematica è un riassunto rigoroso di tutte le evidenze di ricerca in relazione a una domanda specifica, essendo questa domanda su danno, diagnosi, prognosi o efficacia degli interventi curativi. Una revisione sistematica di alta qualità fornisce un riassunto onnicomprensivo delle conoscenze ottenute dalla ricerca su un determinato argomento, prendendo in considerazione la validità degli studi primari. Alcune revisioni sistematiche di ricerca quantitative possono includere una meta-analisi. Questo significa combinare statisticamente risultati di più studi.
Ad oggi, molte revisioni sistematiche hanno riassunto studi quantitativi. Recentemente gruppi di revisori hanno riassunto studi qualitativi nella forma di revisioni sistematiche, spesso chiamate meta-sintesi. Un recente esempio di meta-sintesi pubblicato su Evidence-Based Nursing Journal è una revisione di 268 studi qualitativi, che identificano i fattori che influenzano il comportamento sessuale nei giovani.
Per definizione, i risultati di un singolo studio qualitativo tendono ad essere meno generalizzabili alla grande popolazione di quanto lo siano i risultati di studi quantitativi. Per questo, le meta-sintesi di ricerca qualitativa rafforzano l’abilità di generalizzare i risultati dello studio ad una popolazione più ampia.
È più difficile combinare studi qualitativi?
Ciò dipende strettamente dal numero degli studi e dalla complessità dell’analisi e dei risultati. Mentre in genere, tramite una meta-analisi possiamo convogliare i risultati di molti studi quantitativi in una singola statistica, a volte, capita di dover riassumere alcuni studi quantitativi in modo narrativo, perché i loro risultati non si prestano di per sé ad una meta-analisi. Allo stesso modo, gli studi qualitativi debbono essere riassunti in modo narrativo.