Come si aggiorna l’ortopedico?
Parlare di come aggiornarsi in ortopedia e più in generale in medicina richiede una premessa. Purtroppo in questa fase di passaggio di formazione obbligatoria è prioritario l’aspetto burocratico – cioè il conseguimento dei crediti – perfino su quello che dovrebbe essere il reale obiettivo del programma nazionale ECM – cioè il conseguimento dell’aggiornamento. È inevitabile che dovendo raggiungere un certo punteggio nell’arco dell’anno, si guardi di più al numero dei crediti e alla possibilità di liberarsi da questa scocciatura nel minor tempo possibile piuttosto che ai contenuti degli eventi proposti. A questo si aggiunge la difficoltà di valutare aprioristicamente i contenuti perché i crediti non sono sempre indicativi della qualità dell’evento e alla possibilità di imparare veramente qualcosa…
Quindi la scelta su come aggiornarsi ricade per lo più sul valore quantitativo dell’offerta…
Sicuramente un altro fattore che incide nella scelta è la logistica: corsi piccoli, poco remunerativi in termini di crediti, ma che si svolgono in zone facilmente raggiungibili o addirittura all’interno della struttura in cui si lavora, vengono preferiti anche se non trattano argomenti di particolare interesse perché servono a racimolare con poco sforzo quei crediti che alla fine dell’anno consentono di archiviare la pratica burocratica dell’ECM.
Come invece sarebbe augurabile si aggiornasse l’ortopedico?
Sarebbe augurabile un’analisi dei propri bisogni formativi, cioè un’autovalutazione di quali sono le proprie lacune e le proprie esigenze di aggiornamento, per poi andare a cercare le offerte disponibili a riguardo nella speranza che siano offerte efficaci. Purtroppo da questo punto di vista l’Italia sconta un’arretratezza di tutto il sistema formativo anche a livello universitario. Già nell’ambito della carriera universitaria l’attività didattica non viene incentivata n valutata sufficientemente, per cui diventa difficile per l’utente avere la certezza che i relatori del corso prescelto oltre ad essere dei grandi esperti siano anche dei bravi comunicatori. Uno dei problemi principali è legato proprio alla comunicazione: per un’aggiornamento efficace ci deve essere una comunicazione efficace delle conoscenze ed esperienze dei relatori. Ma in realtà gli eventi offerti spesso non hanno un valore formativo e presentano una valenza didattica e formale di pubbliche relazioni dove l’aggiornamento passa decisamente in secondo piano.
Lo scenario prospettato non è tra i più rosei. È un problema di burocrazia?
In un certo senso la burocrazia è necessaria per tenere in vita l’aggiornamento in medicina. Se non ci fosse l’obbligo alla formazione continua, la maggior parte dei medici non ne sentirebbe nemmeno l’esigenza. Tuttavia, sono dell’idea che anche quella percentuale di colleghi, che viene spinta all’aggiornamento più dall’obbligo piuttosto che da motivazioni interne, vorrebbe investire questo tempo in maniera utile e costruttiva e avere un ritorno. E su questo punto di vista mi auguro che il sistema possa selezionare col tempo in modo darwiniano quei provider che riescono a dare la migliore offerta di formazione.
Quali sono le diverse modalità di aggiornamento?
La formazione può seguire diverse vie che non percorrono solo i canali della didattica più o meno frontale. Anche la partecipazione a progetti di ricerca come pure ai comitati di bioetica potrebbe rivelarsi una modalità efficace di aggiornamento. Nel settore ortopedico, più che altre in altre discipline, è fondamentale perseguire una formazione non solo teorica ma anche manuale. Dovrebbero quindi essere previsti dei programmi di formazione pratici, ma purtroppo l’offerta nel nostro Paese in questa direzione è molto scarsa se non addirittura assente. Le poche possibilità per l’ortopedico sono dei corsi molto costosi da seguire all’estero. E sì che ci sarebbero professionisti in grado di organizzarli… ma si scontrano ancora una volta contro resistenze legislative e culturali (è il caso dei corsi di chirurgia su cadavere).
E le riunioni di reparto dovrebbero rientrare tra le offerte?
Teoricamente tutti i reparti dovrebbero essere tenute regolarmente delle riunioni di lavoro dove confrontarsi sui casi clinici incontrati e aggiornarsi riguardo gli studi pubblicati in letteratura, ma in realtà questo non avviene sempre in modo sistematico e regolamentato. Sempre più si tende a lavorare individualmente senza un lavoro di quipe e un confronto costruttivo con i propri colleghi (talvolta capita che nello stesso reparto vengono applicati protocolli di trattamento diversi da medico a medico). Sarebbe dunque una necessità assistenziale prima ancora che di aggiornamento, anche se potrebbe soddisfare questa seconda esigenza in maniera semplice e diretta. Tuttavia considerare le riunioni di reparto interne come eventi ECM accreditati potrebbe essere rischioso per un duplice motivo. Il primo è legato all’autocertificazione interna di questa modalità di formazione che assolverebbe tutti dal diritto e dal dovere di avere una formazione esterna. Il pericolo è che il medico non sia più incoraggiato a cercare stimoli dall’esterno perché potrebbe bastargli l’aggiornamento interno al reparto per accumulare crediti.
E il secondo problema…
È legato alle competenze interne che in questo modo verrebbero valorizzate ma che non sono sempre presenti, anche nelle aziende più grandi o nei policlinici. Non è quindi scontato che in tutti i reparti le riunioni siano garanzia di formazione e aggiornamento a meno che non siano guidate in maniera costruttiva: sarebbe necessario definire criteri trasparenti per l’accreditamento di questa attività e applicarli secondo un giudizio di merito e non “a pioggia”.
Qual è la sua rivista preferita di medicina interna?
Il British Medical Journal.
E quale di medicina specialistica?
Acta Orthopaedica Scandinavica e Spine.
A quale congresso lei cerca di "non mancare"?
Il Colloquium della Cochrane per l’aggiornamento. Anche il Congresso della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT) è un appuntamento irrinunciabili per incontrare colleghi con cui confrontarsi e scambiare opinioni.
Qual è il suo giudizio sui nuovi strumenti di educazione continua a distanza?
Per quanto ne so, nel nostro Paese non sono ancora disponibili dei programmi avviati di formazione a distanza se non alcuni in via sperimentale. Personalmente sono favorevole ai sistemi di e-learning per una formazione di tipo teorico perché vengono incontro al problema del tempo con il quale il medico di oggi sempre più deve confrontarsi: poter seguire dei corsi multimediali flessibili negli orari, permetterebbe al medico di ritagliarsi spazi e tempi per la propria formazione teorica.
Quali altri strumenti di educazione non "canonici" intravede per continuare la formazione anche al di fuori dell’ambiente medico?
Sono dell’idea che l’aspetto scientifico è necessario ma non sufficiente per svolgere un lavoro di qualità a tutto tondo, anche per quanto concerne la parte relazionale con il paziente. L’aspetto di comunicazione e di relazione con il paziente deve essere coltivata con corsi specialistici di altra natura che prendono in esame la sfera psicologica della malattia e del rapporto con il paziente. Anche l’arte permette di accrescere la cultura umanistica oltre la competenza emotiva e di mantenere un contatto con una realtà che sta al di fuori di quella prettamente scientifica. E penso che questo sia estremamente produttivo nella relazione con i propri pazienti. Ovviamente – conoscendo il genio italiano dell’improvvisazione – anche questo settore della formazione andrebbe attentamente regolamentato e controllato, e non dovrebbe poter costituire più di una certa percentuale del monte crediti annuale.
4 maggio 2005
Opinioni a confronto…
L’intervista a Emilio Romanini (Clinica ortopedica dell’Università degli studi "La Sapienza" di Roma, GLOBE)
In primo piano
L’ortopedico e l’aggiornamento I
Come si aggiorna l’ortopedico?
Parlare di come aggiornarsi in ortopedia e più in generale in medicina richiede una premessa. Purtroppo in questa fase di passaggio di formazione obbligatoria è prioritario l’aspetto burocratico – cioè il conseguimento dei crediti – perfino su quello che dovrebbe essere il reale obiettivo del programma nazionale ECM – cioè il conseguimento dell’aggiornamento. È inevitabile che dovendo raggiungere un certo punteggio nell’arco dell’anno, si guardi di più al numero dei crediti e alla possibilità di liberarsi da questa scocciatura nel minor tempo possibile piuttosto che ai contenuti degli eventi proposti. A questo si aggiunge la difficoltà di valutare aprioristicamente i contenuti perché i crediti non sono sempre indicativi della qualità dell’evento e alla possibilità di imparare veramente qualcosa…
Quindi la scelta su come aggiornarsi ricade per lo più sul valore quantitativo dell’offerta…
Sicuramente un altro fattore che incide nella scelta è la logistica: corsi piccoli, poco remunerativi in termini di crediti, ma che si svolgono in zone facilmente raggiungibili o addirittura all’interno della struttura in cui si lavora, vengono preferiti anche se non trattano argomenti di particolare interesse perché servono a racimolare con poco sforzo quei crediti che alla fine dell’anno consentono di archiviare la pratica burocratica dell’ECM.
Come invece sarebbe augurabile si aggiornasse l’ortopedico?
Sarebbe augurabile un’analisi dei propri bisogni formativi, cioè un’autovalutazione di quali sono le proprie lacune e le proprie esigenze di aggiornamento, per poi andare a cercare le offerte disponibili a riguardo nella speranza che siano offerte efficaci. Purtroppo da questo punto di vista l’Italia sconta un’arretratezza di tutto il sistema formativo anche a livello universitario. Già nell’ambito della carriera universitaria l’attività didattica non viene incentivata n valutata sufficientemente, per cui diventa difficile per l’utente avere la certezza che i relatori del corso prescelto oltre ad essere dei grandi esperti siano anche dei bravi comunicatori. Uno dei problemi principali è legato proprio alla comunicazione: per un’aggiornamento efficace ci deve essere una comunicazione efficace delle conoscenze ed esperienze dei relatori. Ma in realtà gli eventi offerti spesso non hanno un valore formativo e presentano una valenza didattica e formale di pubbliche relazioni dove l’aggiornamento passa decisamente in secondo piano.
Lo scenario prospettato non è tra i più rosei. È un problema di burocrazia?
In un certo senso la burocrazia è necessaria per tenere in vita l’aggiornamento in medicina. Se non ci fosse l’obbligo alla formazione continua, la maggior parte dei medici non ne sentirebbe nemmeno l’esigenza. Tuttavia, sono dell’idea che anche quella percentuale di colleghi, che viene spinta all’aggiornamento più dall’obbligo piuttosto che da motivazioni interne, vorrebbe investire questo tempo in maniera utile e costruttiva e avere un ritorno. E su questo punto di vista mi auguro che il sistema possa selezionare col tempo in modo darwiniano quei provider che riescono a dare la migliore offerta di formazione.
Quali sono le diverse modalità di aggiornamento?
La formazione può seguire diverse vie che non percorrono solo i canali della didattica più o meno frontale. Anche la partecipazione a progetti di ricerca come pure ai comitati di bioetica potrebbe rivelarsi una modalità efficace di aggiornamento. Nel settore ortopedico, più che altre in altre discipline, è fondamentale perseguire una formazione non solo teorica ma anche manuale. Dovrebbero quindi essere previsti dei programmi di formazione pratici, ma purtroppo l’offerta nel nostro Paese in questa direzione è molto scarsa se non addirittura assente. Le poche possibilità per l’ortopedico sono dei corsi molto costosi da seguire all’estero. E sì che ci sarebbero professionisti in grado di organizzarli… ma si scontrano ancora una volta contro resistenze legislative e culturali (è il caso dei corsi di chirurgia su cadavere).
E le riunioni di reparto dovrebbero rientrare tra le offerte?
Teoricamente tutti i reparti dovrebbero essere tenute regolarmente delle riunioni di lavoro dove confrontarsi sui casi clinici incontrati e aggiornarsi riguardo gli studi pubblicati in letteratura, ma in realtà questo non avviene sempre in modo sistematico e regolamentato. Sempre più si tende a lavorare individualmente senza un lavoro di quipe e un confronto costruttivo con i propri colleghi (talvolta capita che nello stesso reparto vengono applicati protocolli di trattamento diversi da medico a medico). Sarebbe dunque una necessità assistenziale prima ancora che di aggiornamento, anche se potrebbe soddisfare questa seconda esigenza in maniera semplice e diretta. Tuttavia considerare le riunioni di reparto interne come eventi ECM accreditati potrebbe essere rischioso per un duplice motivo. Il primo è legato all’autocertificazione interna di questa modalità di formazione che assolverebbe tutti dal diritto e dal dovere di avere una formazione esterna. Il pericolo è che il medico non sia più incoraggiato a cercare stimoli dall’esterno perché potrebbe bastargli l’aggiornamento interno al reparto per accumulare crediti.
E il secondo problema…
È legato alle competenze interne che in questo modo verrebbero valorizzate ma che non sono sempre presenti, anche nelle aziende più grandi o nei policlinici. Non è quindi scontato che in tutti i reparti le riunioni siano garanzia di formazione e aggiornamento a meno che non siano guidate in maniera costruttiva: sarebbe necessario definire criteri trasparenti per l’accreditamento di questa attività e applicarli secondo un giudizio di merito e non “a pioggia”.
Qual è la sua rivista preferita di medicina interna?
Il British Medical Journal.
E quale di medicina specialistica?
Acta Orthopaedica Scandinavica e Spine.
A quale congresso lei cerca di "non mancare"?
Il Colloquium della Cochrane per l’aggiornamento. Anche il Congresso della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT) è un appuntamento irrinunciabili per incontrare colleghi con cui confrontarsi e scambiare opinioni.
Qual è il suo giudizio sui nuovi strumenti di educazione continua a distanza?
Per quanto ne so, nel nostro Paese non sono ancora disponibili dei programmi avviati di formazione a distanza se non alcuni in via sperimentale. Personalmente sono favorevole ai sistemi di e-learning per una formazione di tipo teorico perché vengono incontro al problema del tempo con il quale il medico di oggi sempre più deve confrontarsi: poter seguire dei corsi multimediali flessibili negli orari, permetterebbe al medico di ritagliarsi spazi e tempi per la propria formazione teorica.
Quali altri strumenti di educazione non "canonici" intravede per continuare la formazione anche al di fuori dell’ambiente medico?
Sono dell’idea che l’aspetto scientifico è necessario ma non sufficiente per svolgere un lavoro di qualità a tutto tondo, anche per quanto concerne la parte relazionale con il paziente. L’aspetto di comunicazione e di relazione con il paziente deve essere coltivata con corsi specialistici di altra natura che prendono in esame la sfera psicologica della malattia e del rapporto con il paziente. Anche l’arte permette di accrescere la cultura umanistica oltre la competenza emotiva e di mantenere un contatto con una realtà che sta al di fuori di quella prettamente scientifica. E penso che questo sia estremamente produttivo nella relazione con i propri pazienti. Ovviamente – conoscendo il genio italiano dell’improvvisazione – anche questo settore della formazione andrebbe attentamente regolamentato e controllato, e non dovrebbe poter costituire più di una certa percentuale del monte crediti annuale.
Opinioni a confronto…
L’intervista a Emilio Romanini (Clinica ortopedica dell’Università degli studi "La Sapienza" di Roma, GLOBE)