Mezza Italia è sotto la neve e il gelo. Possiamo dire che questa ondata di freddo proveniente dalla siberia pareggerà i conti con quelle storiche del 1956 e del 1985?
Al di là dei confronti con gli eventi del 1956 e del 1985 di competenza dei climatologi, quello che è evidente è che stiamo assistendo ad un’ondata di grande freddo che sta paralizzando parte dell’Europa e del nostro Paese. Al nord le temperature hanno raggiunto picchi con valori inferiori a -10°C (-18°C a Milano, -14°C a Torino, -12°C Bologna, -10°C a Verona), mentre al centro si sono registrati valori record con temperature persistenti tra -3°C e -5°C in molte città. Anche la quantità di neve è stata eccezionale con 45 cm nell’arco di 24 ore a Bologna e a Forlì. Secondo gli esperti, si tratta di condizioni meteorologiche del tutto inusuali per il nostro clima, destinate a ripresentarsi, entro un arco di 30 anni.
Tutto questo freddo rientra nella normalità climatica oppure è espressione di una condizione estrema dovuta ai cambiamenti climatici?
Quello che sappiamo di certo è che a causa dei cambiamenti climatici si stanno modificando le condizioni meteorologiche in molte aree del pianeta. Gli esperti ci dicono che aumenteranno di frequenza e di intensità i fenomeni meteorologici estremi : ondate di caldo, episodi di piogge intense, forse anche ondate di freddo, nonostante il riscaldamento globale… In molte aree quindi si verificheranno condizioni meteorologiche “inusuali” a cui le popolazioni residenti non sono adattate. Dal punto di vista della salute uno degli aspetti che merita maggior attenzione anche in prospettiva è questo: sono più a rischio le popolazioni meno adattate, cioè quelle esposte a condizioni climatiche che rappresentano un’anomalia per quella determinata area. Gli studi epidemiologici hanno evidenziato come le popolazioni nordiche sono più suscettibili agli effetti del caldo intenso, mentre le popolazioni che vivono in climi più miti soffrono di più le conseguenze di condizioni di freddo intenso. E all’interno di una stessa popolazione subiscono gli effetti più gravi le fasce di popolazione più deprivate, quelle con minori capacità adattative.
Siamo preparati per prevenire gli effetti del freddo sulla salute?
Le cronache di questi giorni dimostrano, se pur con le dovute differenze, che siamo in gran misura impreparati. In parte l’eccezionalità dell’evento può essere considerato un’attenuante per i nostri amministratori. Credo che un piano di prevenzione per il freddo, come esiste in diversi Paesi, avrebbe potuto ridurre i rischi per la popolazione, lasciando meno spazio all’improvvisazione. Mentre per la prevenzione degli effetti delle ondate di calore, è attivo infatti da diversi anni il “Piano operativo per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute” del Ministero della Salute – CCM e del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, per la prevenzione degli effetti del freddo non esiste un piano integrato a livello nazionale. Di un piano di prevenzione per le ondate di calore si è iniziato a parlare solo dopo l’evento drammatico del 2003, può darsi che in Italia, dopo questo febbraio 2012 si incomincerà a parlare anche di piani di prevenzione per ridurre gli effetti del freddo. Penso, comunque, che sia da sottolineare che nel nostro Paese i rischi derivanti dai cambiamenti climatici vengono sottovalutati. Basta ricordare le vittime delle ultime inondazioni.
Qual è il ruolo degli operatori sanitari? E quale il ruolo delle istituzioni e dei legislatori?
Credo che gli operatori sanitari sappiano bene cosa fare per proteggere e curare la popolazione; occorre però che siano più sensibilizzati, che siano maggiormente consapevoli dei rischi per la salute derivanti dalle esposizioni a fattori meteorologiche e delle patologie che possono essere determinate o aggravate o aggravate da tali fattori. In condizioni di emergenza climatica è poi molto importante il coordinamento e la capacità di sfruttare al meglio le risorse esistenti. Un sistema di previsione e allarme (validato con informazioni chiare e tempestive) e un piano di prevenzione (modulato sul livello di rischio previsto e mirato alle popolazioni e ai sottogruppi a maggior rischio) potrebbero essere efficaci nel prevenire o ridurre effetti negativi sulla salute.
I dati climatologici mostrano che le condizioni climatiche estreme in inverno sono tendenzialmente in calo: in Italia, ci sono sempre meno gelate e il clima sta diventando più caldo e più secco. In un periodo di crisi è prioritario investire delle risorse in un Piano di prevenzione degli effetti del freddo sulla salute? Dove conviene spendere di più per far fronte alle conseguenze dei cambiamenti climatici sulla salute?
Quanto crede che sia stato speso per realizzare il piano di prevenzione per gli effetti del caldo? Penso che anche con i livelli di esposizione presenti nel nostro Paese un sistema di allarme e un piano di prevenzione per il freddo, analogo a quello sviluppato per il caldo, sarebbero molto utili. E sicuramente consentirebbero una gestione meno caotica dell’emergenza. Il piano di prevenzione dovrebbe essere rivolto soprattutto alle aree del Paese più disastrate, quelle dove mancano infrastrutture, dove le condizioni di deterioramento ambientale e abitativo sono tali da esporre la popolazione ai rischio di ondate di freddo, così come a quelli di altri fenomeni meteorologici estremi. E all’interno di ogni popolazione si dovrebbero identificare le fasce di soggetti più fragili, sicuramente in questo contesto tutte le persone senza fissa dimora, ma anche gli immigrati e tutti quelli che vivono in condizioni abitative disagiate. Il problema vero è che per rispondere alle emergenze climatiche occorrerebbero però sia interventi non strutturali di rapida realizzazione e relativamente a basso costo (sistemi di previsione e allarme, piani di emergenza, sistemi di monitoraggio del territorio e degli effetti sulla salute) sia, soprattutto, interventi strutturali nei settori dell’energia, dei trasporti, della riqualificazione degli edifici. Interventi che hanno tempi di realizzazione lunghi e costi elevati. E questo si è difficile in un periodo di crisi…
Cosa e quanto sappiamo sugli effetti del freddo sulla salute?
Gli studi epidemiologici hanno ampiamente documentato gli effetti a breve termine delle basse temperature sulla salute in termini di incremento della mortalità e dell’occorrenza di malattie. Durante i periodi invernali la mortalità è più elevata e l’eccesso è attribuibile alle malattie stagionali, in particolare all’influenza, ma anche alle basse temperature. Nei Paesi sviluppati, l’ipotermia rappresenta una parte limitata dei decessi legati al freddo, e riguarda solo alcuni sottogruppi della popolazione (soggetti senza fissa dimora, lavoratori che trascorrono molte ore all’aperto, ecc.); le malattie ischemiche del cuore e i disturbi cerebrovascolari rappresentano la maggior parte dei decessi associati all’esposizione al freddo. Le basse temperature hanno un effetto immediato, determinando vasocostrizione e cambiamenti a livello ematico, tra cui un aumento della pressione arteriosa, della viscosità del sangue e della gittata cardiaca, con conseguente aumento del rischio di trombosi e di ischemia. Inoltre, il freddo aumenta il rischio di infezioni respiratorie a causa di un danno diretto alla funzionalità dell’epitelio ciliato delle vie respiratorie superiori o tramite una riduzione della risposta immunitaria aspecifica associata alla vasocostrizione periferica; costituisce inoltre un fattore scatenante per l’ aggravamento di patologie respiratorie croniche, quali bronchite e asma.
Ci sono dei gruppi di persone più a rischio?
Tra i sottogruppi di popolazione a maggior rischio, analogamente a quanto avviene per il caldo, gli anziani rappresentano una delle fasce più suscettibili a causa di una ridotta efficienza del sistema di termoregolazione, ma anche per la presenza di patologie croniche e per la limitata autonomia. Altri sottogruppi a rischio sono i neonati, gli asmatici, gli ipertesi, le persone che soffrono di disturbi endocrini, le persone non autosufficienti e quelle che vivono in condizioni socio-economiche disagiate. Lo stress da freddo dipende dalle basse temperature ma l’effetto aumenta in presenza di bufere di neve, vento freddo e alti tassi di umidità. Dovrà essere fatta un’accurata valutazione dell’impatto sulla salute di questa ondata di freddo che consentirà di definire meglio i fattori di rischio individuali e a livello di popolazione.
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15 febbraio 2012
In primo piano
Ma che freddo che fa…
Mezza Italia è sotto la neve e il gelo. Possiamo dire che questa ondata di freddo proveniente dalla siberia pareggerà i conti con quelle storiche del 1956 e del 1985?
Al di là dei confronti con gli eventi del 1956 e del 1985 di competenza dei climatologi, quello che è evidente è che stiamo assistendo ad un’ondata di grande freddo che sta paralizzando parte dell’Europa e del nostro Paese. Al nord le temperature hanno raggiunto picchi con valori inferiori a -10°C (-18°C a Milano, -14°C a Torino, -12°C Bologna, -10°C a Verona), mentre al centro si sono registrati valori record con temperature persistenti tra -3°C e -5°C in molte città. Anche la quantità di neve è stata eccezionale con 45 cm nell’arco di 24 ore a Bologna e a Forlì. Secondo gli esperti, si tratta di condizioni meteorologiche del tutto inusuali per il nostro clima, destinate a ripresentarsi, entro un arco di 30 anni.
Tutto questo freddo rientra nella normalità climatica oppure è espressione di una condizione estrema dovuta ai cambiamenti climatici?
Quello che sappiamo di certo è che a causa dei cambiamenti climatici si stanno modificando le condizioni meteorologiche in molte aree del pianeta. Gli esperti ci dicono che aumenteranno di frequenza e di intensità i fenomeni meteorologici estremi : ondate di caldo, episodi di piogge intense, forse anche ondate di freddo, nonostante il riscaldamento globale… In molte aree quindi si verificheranno condizioni meteorologiche “inusuali” a cui le popolazioni residenti non sono adattate. Dal punto di vista della salute uno degli aspetti che merita maggior attenzione anche in prospettiva è questo: sono più a rischio le popolazioni meno adattate, cioè quelle esposte a condizioni climatiche che rappresentano un’anomalia per quella determinata area. Gli studi epidemiologici hanno evidenziato come le popolazioni nordiche sono più suscettibili agli effetti del caldo intenso, mentre le popolazioni che vivono in climi più miti soffrono di più le conseguenze di condizioni di freddo intenso. E all’interno di una stessa popolazione subiscono gli effetti più gravi le fasce di popolazione più deprivate, quelle con minori capacità adattative.
Siamo preparati per prevenire gli effetti del freddo sulla salute?
Le cronache di questi giorni dimostrano, se pur con le dovute differenze, che siamo in gran misura impreparati. In parte l’eccezionalità dell’evento può essere considerato un’attenuante per i nostri amministratori. Credo che un piano di prevenzione per il freddo, come esiste in diversi Paesi, avrebbe potuto ridurre i rischi per la popolazione, lasciando meno spazio all’improvvisazione. Mentre per la prevenzione degli effetti delle ondate di calore, è attivo infatti da diversi anni il “Piano operativo per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute” del Ministero della Salute – CCM e del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, per la prevenzione degli effetti del freddo non esiste un piano integrato a livello nazionale. Di un piano di prevenzione per le ondate di calore si è iniziato a parlare solo dopo l’evento drammatico del 2003, può darsi che in Italia, dopo questo febbraio 2012 si incomincerà a parlare anche di piani di prevenzione per ridurre gli effetti del freddo. Penso, comunque, che sia da sottolineare che nel nostro Paese i rischi derivanti dai cambiamenti climatici vengono sottovalutati. Basta ricordare le vittime delle ultime inondazioni.
Qual è il ruolo degli operatori sanitari? E quale il ruolo delle istituzioni e dei legislatori?
Credo che gli operatori sanitari sappiano bene cosa fare per proteggere e curare la popolazione; occorre però che siano più sensibilizzati, che siano maggiormente consapevoli dei rischi per la salute derivanti dalle esposizioni a fattori meteorologiche e delle patologie che possono essere determinate o aggravate o aggravate da tali fattori. In condizioni di emergenza climatica è poi molto importante il coordinamento e la capacità di sfruttare al meglio le risorse esistenti. Un sistema di previsione e allarme (validato con informazioni chiare e tempestive) e un piano di prevenzione (modulato sul livello di rischio previsto e mirato alle popolazioni e ai sottogruppi a maggior rischio) potrebbero essere efficaci nel prevenire o ridurre effetti negativi sulla salute.
I dati climatologici mostrano che le condizioni climatiche estreme in inverno sono tendenzialmente in calo: in Italia, ci sono sempre meno gelate e il clima sta diventando più caldo e più secco. In un periodo di crisi è prioritario investire delle risorse in un Piano di prevenzione degli effetti del freddo sulla salute? Dove conviene spendere di più per far fronte alle conseguenze dei cambiamenti climatici sulla salute?
Quanto crede che sia stato speso per realizzare il piano di prevenzione per gli effetti del caldo? Penso che anche con i livelli di esposizione presenti nel nostro Paese un sistema di allarme e un piano di prevenzione per il freddo, analogo a quello sviluppato per il caldo, sarebbero molto utili. E sicuramente consentirebbero una gestione meno caotica dell’emergenza. Il piano di prevenzione dovrebbe essere rivolto soprattutto alle aree del Paese più disastrate, quelle dove mancano infrastrutture, dove le condizioni di deterioramento ambientale e abitativo sono tali da esporre la popolazione ai rischio di ondate di freddo, così come a quelli di altri fenomeni meteorologici estremi. E all’interno di ogni popolazione si dovrebbero identificare le fasce di soggetti più fragili, sicuramente in questo contesto tutte le persone senza fissa dimora, ma anche gli immigrati e tutti quelli che vivono in condizioni abitative disagiate. Il problema vero è che per rispondere alle emergenze climatiche occorrerebbero però sia interventi non strutturali di rapida realizzazione e relativamente a basso costo (sistemi di previsione e allarme, piani di emergenza, sistemi di monitoraggio del territorio e degli effetti sulla salute) sia, soprattutto, interventi strutturali nei settori dell’energia, dei trasporti, della riqualificazione degli edifici. Interventi che hanno tempi di realizzazione lunghi e costi elevati. E questo si è difficile in un periodo di crisi…
Cosa e quanto sappiamo sugli effetti del freddo sulla salute?
Gli studi epidemiologici hanno ampiamente documentato gli effetti a breve termine delle basse temperature sulla salute in termini di incremento della mortalità e dell’occorrenza di malattie. Durante i periodi invernali la mortalità è più elevata e l’eccesso è attribuibile alle malattie stagionali, in particolare all’influenza, ma anche alle basse temperature. Nei Paesi sviluppati, l’ipotermia rappresenta una parte limitata dei decessi legati al freddo, e riguarda solo alcuni sottogruppi della popolazione (soggetti senza fissa dimora, lavoratori che trascorrono molte ore all’aperto, ecc.); le malattie ischemiche del cuore e i disturbi cerebrovascolari rappresentano la maggior parte dei decessi associati all’esposizione al freddo. Le basse temperature hanno un effetto immediato, determinando vasocostrizione e cambiamenti a livello ematico, tra cui un aumento della pressione arteriosa, della viscosità del sangue e della gittata cardiaca, con conseguente aumento del rischio di trombosi e di ischemia. Inoltre, il freddo aumenta il rischio di infezioni respiratorie a causa di un danno diretto alla funzionalità dell’epitelio ciliato delle vie respiratorie superiori o tramite una riduzione della risposta immunitaria aspecifica associata alla vasocostrizione periferica; costituisce inoltre un fattore scatenante per l’ aggravamento di patologie respiratorie croniche, quali bronchite e asma.
Ci sono dei gruppi di persone più a rischio?
Tra i sottogruppi di popolazione a maggior rischio, analogamente a quanto avviene per il caldo, gli anziani rappresentano una delle fasce più suscettibili a causa di una ridotta efficienza del sistema di termoregolazione, ma anche per la presenza di patologie croniche e per la limitata autonomia. Altri sottogruppi a rischio sono i neonati, gli asmatici, gli ipertesi, le persone che soffrono di disturbi endocrini, le persone non autosufficienti e quelle che vivono in condizioni socio-economiche disagiate. Lo stress da freddo dipende dalle basse temperature ma l’effetto aumenta in presenza di bufere di neve, vento freddo e alti tassi di umidità. Dovrà essere fatta un’accurata valutazione dell’impatto sulla salute di questa ondata di freddo che consentirà di definire meglio i fattori di rischio individuali e a livello di popolazione.
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15 febbraio 2012