I medici si mettono sulla difensiva e prescrivono esami e interventi in eccesso per prevenire un contenzioso. Andrebbe mantenuto un atteggiamento di morigeratezza? Ma a quale prezzo? La morigeratezza non ha un costo in vite umane?
Il ragionamento che molti medici fanno è semplice: "Se prescrivo un esame in più nessuno mi dirà nulla. Per uno in meno, invece, il rischio d’essere denunciato diventa una quasi certezza. Dunque prescrivo tutto, anche se so che non serve e perfino se capisco che faccio correre inutili rischi al paziente". Ragionando così si rinuncia a fare i curanti, si rinuncia a stabilire una corretta relazione di cura col paziente, si rinuncia a fare i medici. Si accetta d’essere impiegati o mercanti a seconda dell’interesse che si ha a rispettare le direttive per quieto vivere o a ricevere gratificazioni varie da chi ha un interesse commerciale ad aumentare le prestazioni.
Rodolfo Vincenti, presidente dell’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani, commenta che "purtroppo la lettura degli eventi drammatici che anche recentemente si sono verificati è sempre ‘mediaticamente’ estesa alle colpe di tutta una categoria, quand’anche le responsabilità siano chiaramente a carico della gestione politica della sanità". Perché il sistema non funziona? Quanto le amministrazioni, i politici e le tessere di partito interferiscono?
I medici fanno carriera spinti da prestigio e danaro. Per superare gli altri colleghi oggi non c’è bisogno di studiare, di conoscere l’inglese, di leggere Lancet e New England. Basta entrare nel sindacato o nella corrente giusta, in Comunione e Liberazione oppure nella Massoneria, nel partito o nell’entourage di un padrino locale, meglio se mafioso, almeno al sud. Così si è assistito, dopo la feudalizzazione delle ASL da parte di partiti e correnti, a scelte tecniche trasformate in politiche. Conviene ai cosiddetti manager di partito, cui si affidano le ASL, avere intorno primari trasformati in Yes man, incapaci di fare i chirurghi o i cardiologi, ma capacissimi di gestire le gare d’appalto e le assunzioni del personale a favore delle segnalazioni del manager, che a sua volta prende indicazioni dal partito dell’assessore di riferimento o del capo bastone. Situazione drammatica in molte ASL, che diventa lotta di potere e controllo del territorio sanitario, simile a quello malavitoso. I medici veri, quelli che curano i malati, non fanno carriera, non vengono scelti perché non inclini al compromesso, fanno i portatori d’acqua. E se provano a parlare, segnalare, denunciare, pagano un caro prezzo, fatto di mobbing e demansionamento. L’ortopedico che ingessa un braccio troppo stretto e manda al creatore un bambino continua a stare in servizio ed essere pagato da primario, in attesa della sentenza d’appello e di cassazione, che non verranno mai prima della prescrizione. Il medico che parla e denuncia, invece, viene licenziato in tronco [1]. Due pesi e due misure evidentemente funzionali al potere del manager e della gestione lottizzata delle ASL.
La stampa presenta quasi sempre i casi di malasanità. Eppure – come lei ha sottolineato nella sua rubrica "Camici & Pigiami" – migliaia di medici italiani fanno il loro dovere con coscienza; il nostro servizio pubblico è un servizio che Obama sogna e difficilmente potrà realizzare. Perché se ne parla male? Chi ha interesse a farlo? Come tutelare la parte buona del sistema?
Ciò che fa scandalo diventa notizia, mentre non fa mai notizia un’operazione eseguita secondo scienza e coscienza. I media sono incapaci di distinguere il buono dal meno buono, lanciano messaggi pubblicitari per scoperte fatte su topi che guariscono dal cancro, senza far capire a tutti che di topi si tratta e non di persone, provocano spostamenti di gente malata dal sud al nord, con grande beneficio del mercato sanitario veneto e lombardo. Sono centinaia i milioni di euro che passano dalle Regioni del Sud a quelle del Nord, senza che le ASL possano fare altro che pagare senza controllare. Vanno anche nelle tasche di gente senza scrupoli che si inventa gli interventi quando non necessari. Tutti si sono dimenticati che la Clinica Santa Rita sta in centro a Milano e che il notaio Pipitone [2] ne continua a restare proprietario? La parte buona del sistema si tutela solo con la consapevolezza che la sanità pubblica equa, solidale e gratuita è un bene della democrazia, conquistata con la fatica di decenni e sostenibile con le tasse di tutti quelli che le pagano. Come la democrazia stessa si può perdere quando la si lascia in mano a ladri, mercanti. Lo stesso per la Sanità in mano a laureati in medicina, che non hanno mai fatto il medico in vita loro, ma che sanno bene come si conquistano potere e danaro. La domanda dunque diventa: come si difende la democrazia in un Paese che vuole restare civile? La risposta la diano i lettori. Io sono solo un medico che cura i malati e sa che ciascuna persona resa fragile dalla malattia è un impegno professionale, umano e sociale che riempie la giornata, ti fa andare a dormire con qualche preoccupazione e ti lascia solo il tempo per studiare qualcosa di nuovo, tra le milioni di cose che dovresti imparare ogni giorno, per non essere superato dalla velocità di una conoscenza sempre più rapida e invasiva, inquinata da notizie false, costruite per allargare i mercati. Una fatica enorme che impedisce di fare politica più di quanto non sia testimoniare una professione fatta con lo scrupolo col quale è bello e gratificante praticarla.
20 gennaio 2010
Note redazionali
- Il caso del bambino di sette anni morto nel 2005 all’Ospedale Annunziata di Cosenza per una ingessatura troppo stretta. Il 10 gennaio scorso il Corriere della Sera ha pubblicato una lettera della madre del bambino, in cui chiede di “fermare la mattanza negli ospedali della Calabria” alla luce di un nuovo caso di malasanità avvenuto sempre all’Ospedale Annunziata di Cosenza. Il 30 dicembre scorso a una bambina di due anni e mezzo è stato ingessato il braccio sano. La Procura ha aperto un’inchiesta.
- La clinica degli orrori, giugno 2008.
Chi è Paolo Cornaglia Ferraris?
Pediatra ed ematologo
, è stato dirigente all’Ospedale Gaslini di Genova per vent’anni, ha lavorato per tre anni nella ricerca farmacologica in USA. Ha fondato nel 2000 la
ONLUS Camici & Pigiami e aperto a Genova un
ambulatorio gratuito per bambini clandestini. Editorialista del quotidiano
La Repubblica, per il quale cura la rubrica "Camici e Pigiami" nell’inserto
Salute, Cornaglia Ferraris è autore di diversi saggi tra cui
La Casta Bianca (Milano: Mondadori, 2008) e con Eugenio Picano
Malati di spreco. Il paradosso della sanità italiana (Roma-Bari: Laterza, 2004). Con Il Pensiero Scientifico Editore ha pubblicato
Pediatri di strada (2006).
Articoli correlati
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- Il potere dell’informazione. Quinto Tozzi, cardiologo del Dipartimento di Emergenza dell’Ospedale "S. Eugenio" – ASL Rm C, Roma. Pubblicato su Va’ Pensiero n° 420.
- Meglio un esame oggi che una causa domani? Commento di Rodolfo Vincenti, Presidente dell’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani. Pubblicato su Va’ Pensiero n° 418.
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In primo piano
Medici o mercanti?
Il ragionamento che molti medici fanno è semplice: "Se prescrivo un esame in più nessuno mi dirà nulla. Per uno in meno, invece, il rischio d’essere denunciato diventa una quasi certezza. Dunque prescrivo tutto, anche se so che non serve e perfino se capisco che faccio correre inutili rischi al paziente". Ragionando così si rinuncia a fare i curanti, si rinuncia a stabilire una corretta relazione di cura col paziente, si rinuncia a fare i medici. Si accetta d’essere impiegati o mercanti a seconda dell’interesse che si ha a rispettare le direttive per quieto vivere o a ricevere gratificazioni varie da chi ha un interesse commerciale ad aumentare le prestazioni.
Rodolfo Vincenti, presidente dell’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani, commenta che "purtroppo la lettura degli eventi drammatici che anche recentemente si sono verificati è sempre ‘mediaticamente’ estesa alle colpe di tutta una categoria, quand’anche le responsabilità siano chiaramente a carico della gestione politica della sanità". Perché il sistema non funziona? Quanto le amministrazioni, i politici e le tessere di partito interferiscono?
I medici fanno carriera spinti da prestigio e danaro. Per superare gli altri colleghi oggi non c’è bisogno di studiare, di conoscere l’inglese, di leggere Lancet e New England. Basta entrare nel sindacato o nella corrente giusta, in Comunione e Liberazione oppure nella Massoneria, nel partito o nell’entourage di un padrino locale, meglio se mafioso, almeno al sud. Così si è assistito, dopo la feudalizzazione delle ASL da parte di partiti e correnti, a scelte tecniche trasformate in politiche. Conviene ai cosiddetti manager di partito, cui si affidano le ASL, avere intorno primari trasformati in Yes man, incapaci di fare i chirurghi o i cardiologi, ma capacissimi di gestire le gare d’appalto e le assunzioni del personale a favore delle segnalazioni del manager, che a sua volta prende indicazioni dal partito dell’assessore di riferimento o del capo bastone. Situazione drammatica in molte ASL, che diventa lotta di potere e controllo del territorio sanitario, simile a quello malavitoso. I medici veri, quelli che curano i malati, non fanno carriera, non vengono scelti perché non inclini al compromesso, fanno i portatori d’acqua. E se provano a parlare, segnalare, denunciare, pagano un caro prezzo, fatto di mobbing e demansionamento. L’ortopedico che ingessa un braccio troppo stretto e manda al creatore un bambino continua a stare in servizio ed essere pagato da primario, in attesa della sentenza d’appello e di cassazione, che non verranno mai prima della prescrizione. Il medico che parla e denuncia, invece, viene licenziato in tronco [1]. Due pesi e due misure evidentemente funzionali al potere del manager e della gestione lottizzata delle ASL.
La stampa presenta quasi sempre i casi di malasanità. Eppure – come lei ha sottolineato nella sua rubrica "Camici & Pigiami" – migliaia di medici italiani fanno il loro dovere con coscienza; il nostro servizio pubblico è un servizio che Obama sogna e difficilmente potrà realizzare. Perché se ne parla male? Chi ha interesse a farlo? Come tutelare la parte buona del sistema?
Ciò che fa scandalo diventa notizia, mentre non fa mai notizia un’operazione eseguita secondo scienza e coscienza. I media sono incapaci di distinguere il buono dal meno buono, lanciano messaggi pubblicitari per scoperte fatte su topi che guariscono dal cancro, senza far capire a tutti che di topi si tratta e non di persone, provocano spostamenti di gente malata dal sud al nord, con grande beneficio del mercato sanitario veneto e lombardo. Sono centinaia i milioni di euro che passano dalle Regioni del Sud a quelle del Nord, senza che le ASL possano fare altro che pagare senza controllare. Vanno anche nelle tasche di gente senza scrupoli che si inventa gli interventi quando non necessari. Tutti si sono dimenticati che la Clinica Santa Rita sta in centro a Milano e che il notaio Pipitone [2] ne continua a restare proprietario? La parte buona del sistema si tutela solo con la consapevolezza che la sanità pubblica equa, solidale e gratuita è un bene della democrazia, conquistata con la fatica di decenni e sostenibile con le tasse di tutti quelli che le pagano. Come la democrazia stessa si può perdere quando la si lascia in mano a ladri, mercanti. Lo stesso per la Sanità in mano a laureati in medicina, che non hanno mai fatto il medico in vita loro, ma che sanno bene come si conquistano potere e danaro. La domanda dunque diventa: come si difende la democrazia in un Paese che vuole restare civile? La risposta la diano i lettori. Io sono solo un medico che cura i malati e sa che ciascuna persona resa fragile dalla malattia è un impegno professionale, umano e sociale che riempie la giornata, ti fa andare a dormire con qualche preoccupazione e ti lascia solo il tempo per studiare qualcosa di nuovo, tra le milioni di cose che dovresti imparare ogni giorno, per non essere superato dalla velocità di una conoscenza sempre più rapida e invasiva, inquinata da notizie false, costruite per allargare i mercati. Una fatica enorme che impedisce di fare politica più di quanto non sia testimoniare una professione fatta con lo scrupolo col quale è bello e gratificante praticarla.
Note redazionali