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Meglio riparare che punire

Quali sono i punti "nevralgici" della medicina difensiva da un punto legislativo? 

Innanzitutto indicherei l’eccessivo ricorso alla responsabilità penale per sanzionare i fatti di medical malpractice: questa situazione, che favorisce i comportamenti difensivi dei medici, ha tra l’altro determinato un sottile scivolamento della finalità tipica di questi processi penali (e cioè, accertare l’eventuale responsabilità colposa del sanitario per gli eventi lesivi in danno del paziente) verso la necessità di garantire qualche forma d indennizzo a chi abbia subito dei danni a seguito dell’attività medica. Nel nostro Paese, il ruolo eccessivo accordato alla responsabilità penale, nell’ambito della professione medica, si accompagna poi al timore degli operatori sanitari nei confronti della responsabilità civile, che è una costante anche in altri ordinamenti. La funzione di sostanziale “indennizzo a fronte di un risultato negativo” che la giurisprudenza – sia penale sia civile – ha esercitato negli ultimi anni, ha portato a ricostruire, in molti casi, colpe anche piuttosto pallide, pur di riconoscere ai pazienti una qualche forma di compensazione monetaria. Ma non è questa la soluzione al problema né, nella maggior parte dei casi, la richiesta che arriva dal paziente offeso. Quando un paziente ritiene di essere stato vittima di un comportamento negligente da parte di una struttura sanitaria non punta solo ad avere un risarcimento economico, vuole anche sapere che cosa è successo, che cosa non è andato per il verso giusto. Da questo punto di vista, gli attuali assetti che contraddistinguono l’attribuzione di responsabilità – uniti al crescente rischio di contenzioso legale per gli operatori sanitari e le strutture in cui lavorano – fanno sì che il medico sia piuttosto restio a fornire questo tipo di informazioni, così veicolando l’idea che solo attraverso il ricorso all’Autorità Giudiziaria si possano ottenere risposte adeguate.

Ritiene che andrebbe modificata la normativa vigente sul contenzioso?

Se si vuole ridurre la frequenza dei comportamenti di medicina difensiva, certamente è necessario riformare la legislazione vigente, in primo luogo operando una riperimetrazione dei confini di responsabilità penale del medico. Non mi riferisco a quelle ipotesi di provvedimenti di depenalizzazione che periodicamente conquistano la ribalta del dibattito mediatico ma che, non essendo inserite in un contesto organico di riforma, si risolverebbero in un puro e inaccettabile privilegio per la categoria professionale medica . Ciò di cui il sistema ha bisogno è un complessivo ripensamento delle dinamiche di responsabilità del sanitario, che incidano, ovviamente, anche sul primo punto dolente, e cioè i confini troppo ampi della responsabilità penale.

Come si dovrebbe operare, in concreto?

Come Centro Studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale (CSGP) dell’Università Cattolica di Milano, abbiamo sviluppato, nell’ultimo anno e mezzo, una ricerca proprio sul tema della medicina difensiva, all’esito della quale abbiamo elaborato una proposta di riforma che è oggi a disposizione delle istituzioni politiche. Essa prevede, da un lato, la limitazione della responsabilità penale del medico ai soli casi di “colpa grave”, accompagnandola però con la previsione di una serie di percorsi alternativi di risoluzione delle dispute tra medico e paziente, basati non su una semplice conciliazione di tipo monetario, ma articolati secondo i principi tipici della giustizia riparativa.

Cioè?

Riteniamo che possano essere utilmente riproposte, in questo settore, quelle dinamiche tipiche della mediazione penale, finalizzate a mettere a contatto offeso e presunto offensore, in un contesto disciplinato e di tipo pur sempre giurisdizionale, anche se non è quello tipico delle aule di tribunale. In questo percorso, si deve prima individuare cosa non ha funzionato dal punto di vista individuale e organizzativo (ammesso che lesioni causate al paziente siano effettivamente dovute a una lacuna organizzativa); quindi, si interviene affinché questi incidenti non si ripetano e tanto la struttura sanitaria, quanto il singolo medico, possano apprendere dagli errori. Una volta che il percorso di giustizia riparativa si sia concluso positivamente, con l’adozione di adeguate condotte riparatorie e la realizzazione delle opportune attività conformative, nulla osta a che, anche nei casi di colpa grave, si possa arrivare al risultato della estinzione del reato per il medico. Il percorso sanzionatorio, infatti, non sarà più “punitivo”, ma – appunto – “riparativo”, volto a ricucire quell’alleanza terapeutica tra medico, paziente e struttura sanitaria, che era stata lacerata dal verificarsi dell’evento lesivo.

La responsabilità penale è il solo punto debole del sistema che andrebbe modificato?

Non esattamente. I dati della ricerca che abbiamo condotto nell’ambito del CSGP – e che possono essere letti nel volume, recentemente pubblicato dall’editore ETS, dal titolo Il problema della medicina difensiva – confermano che le criticità dell’attuale sistema sono numerose. Oltre all’eccessivo peso della responsabilità penale, uno degli aspetti più problematici riguarda l’affidabilità del sapere scientifico che entra nel processo, attraverso l’opera dei consulenti e dei periti. Nel nostro Progetto di riforma si prevede che l’effettiva competenza professionale di coloro che sono chiamati a svolgere queste delicatissime funzioni sia garantita – assai più di come avviene attualmente – attraverso un duplice meccanismo: da un lato, il coinvolgimento degli ordini professionali e delle società scientifiche nelle fasi di iscrizione e conferma dei professionisti negli albi; dall’altro, il ricorso alla collegialità e alla pluralità disciplinare degli esperti coinvolti nel processo. Con un maggior livello di professionalità e il confronto di più opinioni, è plausibile ridurre i margini di errore ed evitare di istruire procedimenti che, nati su basi scientificamente precarie, si concludono con sentenze di assoluzione, pur avendo compromesso la reputazione del medico e, ciò che più conta, innescato la spirale dei comportamenti di medicina difensiva.

Altre proposte di riforme?

La necessità di introdurre all’interno delle strutture sanitarie, in maniera sistematica e non soltanto episodica come accade oggi, una Unità di gestione del rischio clinico (dall’anglosassone risk management). Queste unità hanno il compito di svolgere  un’attività volta a monitorare gli incidenti occorsi e, soprattutto, gli errori che non si sono tradotti in un evento avverso, ovviamente molto più frequenti di quelli che provocano gravi effetti negativi per la salute del paziente. Questo monitoraggio permette di raccogliere i dati utili per adottare quelle iniziative volte a prevenire il ripetersi degli stessi errori. Il vero problema in Sanità, come in tutte le organizzazione complesse, non è tanto l’errore del singolo operatore, quanto la presenza di lacune organizzative strutturali che mettono il singolo nella possibilità di sbagliare. Quindi, se oggi un medico commette un errore, la soluzione non è semplicemente toglierlo dal proprio posto e sostituirlo, perché permarrà sempre la stessa propensione all’errore che l’organizzazione scarica sul singolo. Serve dunque istituire in tutte le strutture sanitarie una unità di risk management, la cui attività non si limiti al semplice reporting di errori e incidenti, ma si sviluppi anche in attività di formazione e di collaborazione con i vertici aziendali per l’adozione delle opportune modifiche organizzative volte a prevenire gli errori.

 Dalla ricerca si passa alla pratica… Questi vostri suggerimenti di modifiche dell’attuale sistema sono passati ai politici?

La commissione Sanità del Senato aveva già preso in esame una bozza preliminare dell’articolato e alcuni punti del nostro Progetto – in particolare quello relativo alla definizione normativa del trattamento medico-chirurgico, che ancora oggi manca nel nostro ordinamento – sono confluiti nel disegno di legge unificato che è attualmente in discussione alla Commissione sanità. Tuttavia, le tematiche di una riforma complessiva coinvolgono anche le competenze della Commissione Giustizia, e dunque sarebbe auspicabile un dibattito più ampio, che affronti il problema in tutte le sue sfumature. La nostra ricerca non ha un colore politico: è una ricerca scientifica nata da un’esigenza segnalata dai medici, che percepiscono di essere oggetto di un’attenzione eccessiva da parte dell’autorità giudiziaria. Questo è stato lo spunto della nostra ricerca. Dall’analisi dei contenuti e della frequenza dei comportamenti di medicina difensiva abbiamo potuto constatare come essi riducano gli standard complessivi di assistenza dei cittadini, perché possono portare alla mancata adozione di terapie e trattamenti in quei pazienti considerati a rischio di contenzioso penale (medicina difensiva negativa) e soprattutto determinano uno spreco abnorme delle risorse, che sono pur sempre limitate: il medico, per tutelarsi, richiede accertamenti o consulenze e prescrive farmaci o degenze spesso inutili (medicina difensiva positiva), così riducendo le risorse disponibili lì dove servirebbero e sottoponendo, comunque, il paziente a dei rischi non necessari. Quindi è proprio l’equilibrio complessivo del sistema di attribuzione di responsabilità che va rivisto e che va rivisto non a tutela di una categoria professionale, ma per ottenere risultati positivi per tutti i cittadini, affinché vengano curati avendo attenzione solo alla loro salute e non al rischio, per il medico, di essere coinvolto in un contenzioso legale. L’introduzione di procedure alternative rispetto all’ordinario procedimento civile e penale, che siano in grado di innescare una logica positiva di collaborazione e non di contrapposizione tra medico e paziente, costituisce a nostro avviso la vera scommessa sulla quale puntare per affrontare in maniera seria il problema della medicina difensiva. 

 

21 aprile 2010

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