Per prima cosa, è bene chiarire che chirurgia e medicina difensiva sono antinomiche. Se il chirurgo nell’atto operatorio pensa a se stesso e non al malato, non potrà mai esprimere quel che la professione richiede: dare il massimo, per ottenere il miglior risultato possibile, con i minori rischi per il malato.
La medicina difensiva, nella sua forma attiva o passiva, è da considerarsi come un inevitabile effetto collaterale della pratica medica (specie chirurgica), che scaturisce da un inesorabile aumento delle denunce nei nostri confronti e, quindi, dei procedimenti giudiziari. Abbiamo contezza dei numeri e del fatto che quasi la totalità dei chirurghi avrà almeno un procedimento a carico nel corso della sua carriera professionale; da ciò nasce un atteggiamento di difesa: esami inutili – "sì, ma almeno non mi si potrà dire che non l’ho prescritto" – prestazioni a rischio rifiutate, costi per la nazione esorbitanti, stimati in oltre 10 miliardi di euro all’anno.
Dai dati diffusi dagli Ordini dei Medici ed altre associazioni emerge chiaramente come medici e chirurghi "sentano il fiato sul collo".
I dati in nostro possesso sono spropositati: le associazioni delle assicurazioni, infatti, calcolano ogni singola denuncia, ma si badi che ogni evento denunciato comporta che più medici siano denunciati e, quindi, tutto si moltiplica. Cittadinanza Attiva (si veda a tal proposito il rapporto PIT salute 2009 e i precedenti) segnala che il "numero delle richieste" di aiuto è circa 28.000, ma di queste, soltanto un terzo viene considerato – dagli avvocati dell’associazione – come compatibile con una presunta responsabilità medica; all’interno di tale quota parte, la responsabilità professionale del medico viene dimostrata solo in un terzo dei casi. Bisogna, quindi, riflettere sul numero di procedimenti inutili e sui relativi costi (finanziari ed esistenziali per il cittadino e per il medico).
Se è giusto che il paziente sia “esigente”, è controproducente che egli sia “prevenuto”. Tale atteggiamento produce una risposta conseguente da parte del medico: la difesa.
Purtroppo, la lettura degli eventi drammatici, che anche recentemente si sono verificati, è sempre “mediaticamente” estesa alle colpe di tutta una categoria e, quand’anche le responsabilità siano chiaramente a carico della gestione politica della sanità (riduzione dei budget, degli organici, aumento dei carichi di lavoro, mancati controlli strutturali, ospedali fatiscenti, direzioni inefficienti ecc.), esse vengono attribuite nell’immaginario collettivo ad esclusiva colpa medica; si genera di conseguenza, il sospetto e la mancanza di fiducia nelle scelte operate dal medico.
Cose fare per interrompere questo trend devastante? Non esiste una panacea, ma sono possibili azioni parallele:
- avere una completa conoscenza della realtà esistente (numeri, contesti, ecc.) e non prendere per ufficiali i dati ipotetici. Solo conoscendo l’entità del problema si potranno attivare rimedi coerenti. A tal fine, abbiamo da tempo richiesto un Osservatorio Nazionale sugli eventi avversi in sanità. Che qualcuno lo faccia e noi discuteremo sul come evitarli nel futuro;
- introdurre un filtro più rigoroso sulle denunce, al fine di evitare le frivolous lawsuit (azioni giudiziarie esplorative: "tanto non mi costa niente tentare!") e, quindi, procedere a un’azione di contenimento dell’offensiva giudiziaria, favorendo nel contempo qualsiasi arbitrato finalizzato a risarcire rapidamente e giustamente il cittadino leso, che ne abbia diritto;
- implementare i sistemi per una reale gestione del rischio clinico in sanità;
- dare una più equilibrata comunicazione della notizia di presunto evento di “malasanità”;
- rafforzare e sostenere istituzionalmente la formazione specifica del chirurgo, sia tecnica che gestionale.
Per quanto riguarda l’ACOI, in particolare, abbiamo aperto dodici Scuole speciali di chirurgia post-universitarie, operanti su tutto il territorio nazionale, dedicate alla formazione continua e che prevedono numerose attività pratiche e di tutoraggio.
In tempi non sospetti, l’ACOI ha individuato – ed attivamente perseguito – nella formazione del chirurgo alla gestione del rischio clinico lo strumento fondamentale per una maggiore sicurezza del cittadino. Attraverso il "Progetto Qualità e Sicurezza in Chirurgia", ideato e costruito insieme all’Area Sanità del MIP (Business School del Politecnico di Milano), in partnership con Cittadinanza Attiva, con il supporto istituzionale dell’Age.Na.S, ci proponiamo di diffondere presso tutte le Unità Operative di Chirurgia italiane una cultura della prevenzione e dei controlli delle procedure, per fornire le necessarie conoscenze, oltre ad esercitare una necessaria opera di verifica e controllo. È certamente la prima volta che un’associazione scientifica intraprende un percorso così complesso ed articolato, ma siamo certi del raggiungimento del risultato in tempi brevi. Al momento, sono oltre cinquanta le Unità Chirurgiche ospedaliere che sono nel percorso formativo-applicativo e contiamo di raddoppiarne il numero nel corso del 2010. Ma non è tutto qui!
Contemporaneamente, ACOI ha messo in atto una serie di corsi di formazione manageriale per chirurghi (anche essi con il supporto di MIP), per i quali ha bandito 50 borse di studio, del tutto gratuite, per i propri associati. I corsi sono rivolti a tutti i chirurghi con responsabilità dirigenziali e che sentano forte la grave responsabilità della possibile inadeguatezza nella conoscenza dei sistemi organizzativi, per la gestione di un corretto governo clinico e del controllo del rischio.
Rivolgo, in conclusione, un forte richiamo ed invito alle maggiori Istituzioni della Sanità: Ministero, Assessorati, Direzioni Generali, Aziende Ospedaliere. Non servono solo Agenzie “garanti” per la sanità; serve invece, maggiore formazione per tutti e la diffusione del concetto della indispensabilità del cambiamento culturale: la gestione del rischio e la ricerca della qualità sono gli strumenti.
Servono maggiore attenzione ed umiltà, minore superficialità, dedizione alla ricerca delle procedure di controllo corrette, migliore empatia con il cittadino, un reale lavoro in equipe, minori carichi di lavoro e forte supporto dell’alta Dirigenza, con adeguati strumenti di verifica e di valutazione meritocratica.
Noi, come ACOI, siamo pronti a fare la parte che ci compete e siamo a disposizione delle Istituzioni che vogliano utilizzare le nostre competenze, che sarebbe imperdonabile non sfruttare. A tutti i chirurghi dico: non sottovalutiamo il problema, anche il comandante del Titanic era certo della sua inaffondabilità. Forse un tempo non erano disponibili gli adeguati sistemi formativi che esistono oggi e che ACOI mette a disposizione. Tralasciare e disattendere tali opportunità rappresenterebbe una grave ed irresponsabile superficialità.
13 gennaio 2010
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In primo piano
Meglio un esame oggi che una causa domani?
Per prima cosa, è bene chiarire che chirurgia e medicina difensiva sono antinomiche. Se il chirurgo nell’atto operatorio pensa a se stesso e non al malato, non potrà mai esprimere quel che la professione richiede: dare il massimo, per ottenere il miglior risultato possibile, con i minori rischi per il malato.
La medicina difensiva, nella sua forma attiva o passiva, è da considerarsi come un inevitabile effetto collaterale della pratica medica (specie chirurgica), che scaturisce da un inesorabile aumento delle denunce nei nostri confronti e, quindi, dei procedimenti giudiziari. Abbiamo contezza dei numeri e del fatto che quasi la totalità dei chirurghi avrà almeno un procedimento a carico nel corso della sua carriera professionale; da ciò nasce un atteggiamento di difesa: esami inutili – "sì, ma almeno non mi si potrà dire che non l’ho prescritto" – prestazioni a rischio rifiutate, costi per la nazione esorbitanti, stimati in oltre 10 miliardi di euro all’anno.
Dai dati diffusi dagli Ordini dei Medici ed altre associazioni emerge chiaramente come medici e chirurghi "sentano il fiato sul collo".
I dati in nostro possesso sono spropositati: le associazioni delle assicurazioni, infatti, calcolano ogni singola denuncia, ma si badi che ogni evento denunciato comporta che più medici siano denunciati e, quindi, tutto si moltiplica. Cittadinanza Attiva (si veda a tal proposito il rapporto PIT salute 2009 e i precedenti) segnala che il "numero delle richieste" di aiuto è circa 28.000, ma di queste, soltanto un terzo viene considerato – dagli avvocati dell’associazione – come compatibile con una presunta responsabilità medica; all’interno di tale quota parte, la responsabilità professionale del medico viene dimostrata solo in un terzo dei casi. Bisogna, quindi, riflettere sul numero di procedimenti inutili e sui relativi costi (finanziari ed esistenziali per il cittadino e per il medico).
Se è giusto che il paziente sia “esigente”, è controproducente che egli sia “prevenuto”. Tale atteggiamento produce una risposta conseguente da parte del medico: la difesa.
Purtroppo, la lettura degli eventi drammatici, che anche recentemente si sono verificati, è sempre “mediaticamente” estesa alle colpe di tutta una categoria e, quand’anche le responsabilità siano chiaramente a carico della gestione politica della sanità (riduzione dei budget, degli organici, aumento dei carichi di lavoro, mancati controlli strutturali, ospedali fatiscenti, direzioni inefficienti ecc.), esse vengono attribuite nell’immaginario collettivo ad esclusiva colpa medica; si genera di conseguenza, il sospetto e la mancanza di fiducia nelle scelte operate dal medico.
Cose fare per interrompere questo trend devastante? Non esiste una panacea, ma sono possibili azioni parallele:
Per quanto riguarda l’ACOI, in particolare, abbiamo aperto dodici Scuole speciali di chirurgia post-universitarie, operanti su tutto il territorio nazionale, dedicate alla formazione continua e che prevedono numerose attività pratiche e di tutoraggio.
In tempi non sospetti, l’ACOI ha individuato – ed attivamente perseguito – nella formazione del chirurgo alla gestione del rischio clinico lo strumento fondamentale per una maggiore sicurezza del cittadino. Attraverso il "Progetto Qualità e Sicurezza in Chirurgia", ideato e costruito insieme all’Area Sanità del MIP (Business School del Politecnico di Milano), in partnership con Cittadinanza Attiva, con il supporto istituzionale dell’Age.Na.S, ci proponiamo di diffondere presso tutte le Unità Operative di Chirurgia italiane una cultura della prevenzione e dei controlli delle procedure, per fornire le necessarie conoscenze, oltre ad esercitare una necessaria opera di verifica e controllo. È certamente la prima volta che un’associazione scientifica intraprende un percorso così complesso ed articolato, ma siamo certi del raggiungimento del risultato in tempi brevi. Al momento, sono oltre cinquanta le Unità Chirurgiche ospedaliere che sono nel percorso formativo-applicativo e contiamo di raddoppiarne il numero nel corso del 2010. Ma non è tutto qui!
Contemporaneamente, ACOI ha messo in atto una serie di corsi di formazione manageriale per chirurghi (anche essi con il supporto di MIP), per i quali ha bandito 50 borse di studio, del tutto gratuite, per i propri associati. I corsi sono rivolti a tutti i chirurghi con responsabilità dirigenziali e che sentano forte la grave responsabilità della possibile inadeguatezza nella conoscenza dei sistemi organizzativi, per la gestione di un corretto governo clinico e del controllo del rischio.
Rivolgo, in conclusione, un forte richiamo ed invito alle maggiori Istituzioni della Sanità: Ministero, Assessorati, Direzioni Generali, Aziende Ospedaliere. Non servono solo Agenzie “garanti” per la sanità; serve invece, maggiore formazione per tutti e la diffusione del concetto della indispensabilità del cambiamento culturale: la gestione del rischio e la ricerca della qualità sono gli strumenti.
Servono maggiore attenzione ed umiltà, minore superficialità, dedizione alla ricerca delle procedure di controllo corrette, migliore empatia con il cittadino, un reale lavoro in equipe, minori carichi di lavoro e forte supporto dell’alta Dirigenza, con adeguati strumenti di verifica e di valutazione meritocratica.
Noi, come ACOI, siamo pronti a fare la parte che ci compete e siamo a disposizione delle Istituzioni che vogliano utilizzare le nostre competenze, che sarebbe imperdonabile non sfruttare. A tutti i chirurghi dico: non sottovalutiamo il problema, anche il comandante del Titanic era certo della sua inaffondabilità. Forse un tempo non erano disponibili gli adeguati sistemi formativi che esistono oggi e che ACOI mette a disposizione. Tralasciare e disattendere tali opportunità rappresenterebbe una grave ed irresponsabile superficialità.