Di comitati etici si era parlato (e discusso) molto in attesa della loro riorganizzazione prevista dalla legge 189/2012 e il decreto 8 febbraio 2013. L’attenzione sui comitati etici è calata dopo l’introduzione dei nuovi criteri per la composizione e il funzionamento dei comitati etici. Quali sono stati gli effetti di questa riorganizzazione? È stata raggiunta una migliore efficienza come auspicava la normativa?
A distanza di due anni dall’avvio della riorganizzazione il numero di comitati etici per la ricerca si è notevolmente ridotto, come previsto dalla legge 189/2012: i comitati censiti dall’Osservatorio nazionale per la sperimentazione sono attualmente una novantina. Ricordiamo comunque che alcune Regioni, ad esempio il Veneto e l’Emilia-Romagna, ne avevano già razionalizzato l’organizzazione sul proprio territorio, istituendo comitati con competenza estesa a più aziende sanitarie.
Gli effetti della riorganizzazione sono difficilmente valutabili: non è disponibile, a nostra conoscenza, alcun dato che dimostri una riduzione dei tempi di approvazione dei protocolli o un aumento dell’attività di ricerca in Italia. Per inciso, è necessario sottolineare che tutte le “misurazioni” hanno sempre riguardato solo gli studi farmacologici sperimentali, come se rappresentassero gli unici con dignità di “ricerca”.
Anche ammettendo una riduzione dei tempi di approvazione e un aumento del volume per la ricerca farmacologica, c’è da chiedersi se queste “unità di misura” siano appropriate: non dimentichiamo che i comitati etici per la ricerca sono organismi istituiti per tutelare la sicurezza e i diritti dei soggetti coinvolti negli studi, non per autorizzare il maggior numero di studi nel minor tempo possibile.
Si dovrebbero quindi definire strumenti di misura coerenti, per valutare quanto i comitati siano garanti dei diritti dei cittadini e non della sola correttezza formale e rapidità delle procedure autorizzative. Bisognerebbe valorizzare tutte quelle attività che migliorano la sicurezza dei partecipanti e la trasparenza, quali il monitoraggio degli studi in corso, la rendicontazione periodica del loro andamento, la verifica della registrazione, in un registro pubblico, di tutti i protocolli approvati e della pubblicazione dei risultati. Grazie all’attività di monitoraggio, ad esempio, si può verificare se il personale del reparto è al corrente dello svolgimento dello studio e come vengono gestite le segnalazioni relative alle reazioni avverse.
L’obiettivo del servizio sanitario non dovrebbe essere quello di “fare più ricerca”, ma fare ricerca di qualità. Questo è anche il senso del “motto” del progetto RICERC@: “per una ricerca scientificamente avanzata e capace di promuovere i diritti fondamentali delle persone”.
Che cos’è il progetto RICERC@?
L’acronimo significa “Rete Italiana Comitati Etici, Ricercatori e Cittadini” e descrive appunto l’intenzione di creare un’occasione di confronto fra tutte le figure che contribuiscono, con ruoli diversi, alla ricerca clinica. Il progetto si struttura attorno ad un sito interattivo, come luogo di incontro virtuale per i componenti di questa “comunità”. Ci saranno però anche occasioni di incontro “reali”, per approfondire assieme i temi che saranno ritenuti più meritevoli di interesse.

Trasparenza e indipendenza dei comitati etici: due requisiti garantiti dalla normativa vigente? Come vengono risolti problemi di conflitto di interessi?
Il decreto del 2013 sulla composizione e il funzionamento dei comitati etici per la ricerca detta alcune condizioni che dovrebbero garantirne l’indipendenza, sia dai promotori e dagli sperimentatori, che dalle strutture dove i comitati operano: ad esempio, almeno un terzo dei componenti deve essere esterno alla struttura e ciascun componente deve impegnarsi a non partecipare alle decisioni riguardanti gli studi per i quali presentano un conflitto di interessi.
In realtà, per definizione, l’indipendenza non è regolabile per decreti e procedure e chiunque abbia frequentato un comitato etico sa che, soprattutto nei settori molto specialistici, la competenza ed il conflitto di interessi sono difficilmente scindibili.
Sarebbe più onesto se ogni comitato documentasse (ad esempio nei verbali) se e quando si è trovato di fronte a problemi di conflitto di interessi e come li ha risolti. Questo tema è fortemente collegato a quello della “trasparenza documentabile”: sarebbe importante che ogni comitato definisse delle “procedure” che permettessero di documentare l’indipendenza delle proprie decisioni. Potrebbe essere un progetto condiviso dei comitati che aderiscono a RICERC@…
Un altro punto cruciale e attuale nella ricerca è l’etica della condivisione dei dati. È doveroso da parte del ricercatore condividere con i pazienti le informazioni e le evidenze raccolte da uno studio?
È doveroso condividere con i partecipanti tutte le informazioni che emergono nel corso dello studio, perché potrebbero influenzare la loro decisione di proseguire: ricordiamo che ogni partecipante deve essere libero di ritirarsi in qualsiasi momento da uno studio, senza che ciò pregiudichi l’assistenza a cui ha diritto.
Inoltre, è doveroso condividere i risultati delle ricerche con la comunità scientifica e con la collettività. Se i risultati di una ricerca non vengono “pubblicati”, vale a dire resi pubblicamente noti, quella ricerca, di fatto, è stata inutile! I partecipanti si sono assunti un rischio, ma la collettività non ha avuto alcun beneficio in termini di progresso della conoscenza. Altri ricercatori potrebbero iniziare uno studio simile, ignari del fatto che sarebbero già disponibili informazioni sufficienti a renderlo inutile.
Come tutti sanno, però, l’aspetto più critico è però rappresentato dalla difficoltà di pubblicare studi con risultati negativi, o comunque non esaltanti. Anche senza tenere in considerazione il peso dei conflitti di interesse, è un fenomeno umanamente comprensibile: gli stessi promotori e ricercatori sono meno motivati a dedicare ulteriore tempo ed energie ad un progetto che considerano “fallito” ed anche le riviste sono meno interessate a pubblicare questo tipo di studi (almeno in passato, ora le cose stanno forse cambiando).
Ma, come sappiamo, l’occultamento dei risultati negativi ha importantissime implicazioni etiche perché causa una sovrastima dell’efficacia dei trattamenti e, più in generale, una visione eccessivamente ottimistica dei “progressi della scienza”. I vostri lettori conoscono bene questo tema, perché Il Pensiero lo ha affrontato in diverse occasioni!
È anche uno dei argomenti dell’agenda di RICERC@ e per essere fedeli allo spirito del progetto, cercheremo di affrontarlo da più punti di vista, dei ricercatori, dei comitati etici e dei cittadini (vi suggeriamo di visitare il sito, in cui è stato appena pubblicato il primo contributo).
Ricercatori, operatori sanitari e cittadini hanno un ruolo importante nei comitati etici. Quanto gli obiettivi e le finalità dei comitati sono noti a questi attori?
L’attività di ricerca coinvolge solo una piccola parte sia del personale, che dei pazienti che ogni giorno accedono alle strutture del servizio sanitario. È probabile che solo questa piccola parte venga a conoscenza dell’esistenza dei comitati etici per la ricerca e del loro ruolo.
Sicuramente i comitati dovrebbero rendersi più attivi verso l’esterno, verso i ricercatori e verso la collettività (compresa la stampa), ma non solo per far conoscere la propria esistenza, quanto per promuovere a tutti i livelli una visione della ricerca in ambito sanitario come una delle possibili forme di assistenza, quando le pratiche “normalmente utilizzate” non sono in grado di soddisfare bisogni rilevanti di cura.
In questo modo anche i comitati potrebbero essere percepiti non più come dei “corpi estranei” alle strutture sanitarie, ma come espressione della responsabilità delle strutture stesse nell’assicurare la miglior risposta possibile alle domande di salute dei propri cittadini.
In primo piano
#nonseneparlapiù: comitati etici
Di comitati etici si era parlato (e discusso) molto in attesa della loro riorganizzazione prevista dalla legge 189/2012 e il decreto 8 febbraio 2013. L’attenzione sui comitati etici è calata dopo l’introduzione dei nuovi criteri per la composizione e il funzionamento dei comitati etici. Quali sono stati gli effetti di questa riorganizzazione? È stata raggiunta una migliore efficienza come auspicava la normativa?
A distanza di due anni dall’avvio della riorganizzazione il numero di comitati etici per la ricerca si è notevolmente ridotto, come previsto dalla legge 189/2012: i comitati censiti dall’Osservatorio nazionale per la sperimentazione sono attualmente una novantina. Ricordiamo comunque che alcune Regioni, ad esempio il Veneto e l’Emilia-Romagna, ne avevano già razionalizzato l’organizzazione sul proprio territorio, istituendo comitati con competenza estesa a più aziende sanitarie.
Gli effetti della riorganizzazione sono difficilmente valutabili: non è disponibile, a nostra conoscenza, alcun dato che dimostri una riduzione dei tempi di approvazione dei protocolli o un aumento dell’attività di ricerca in Italia. Per inciso, è necessario sottolineare che tutte le “misurazioni” hanno sempre riguardato solo gli studi farmacologici sperimentali, come se rappresentassero gli unici con dignità di “ricerca”.
Anche ammettendo una riduzione dei tempi di approvazione e un aumento del volume per la ricerca farmacologica, c’è da chiedersi se queste “unità di misura” siano appropriate: non dimentichiamo che i comitati etici per la ricerca sono organismi istituiti per tutelare la sicurezza e i diritti dei soggetti coinvolti negli studi, non per autorizzare il maggior numero di studi nel minor tempo possibile.
Si dovrebbero quindi definire strumenti di misura coerenti, per valutare quanto i comitati siano garanti dei diritti dei cittadini e non della sola correttezza formale e rapidità delle procedure autorizzative. Bisognerebbe valorizzare tutte quelle attività che migliorano la sicurezza dei partecipanti e la trasparenza, quali il monitoraggio degli studi in corso, la rendicontazione periodica del loro andamento, la verifica della registrazione, in un registro pubblico, di tutti i protocolli approvati e della pubblicazione dei risultati. Grazie all’attività di monitoraggio, ad esempio, si può verificare se il personale del reparto è al corrente dello svolgimento dello studio e come vengono gestite le segnalazioni relative alle reazioni avverse.
L’obiettivo del servizio sanitario non dovrebbe essere quello di “fare più ricerca”, ma fare ricerca di qualità. Questo è anche il senso del “motto” del progetto RICERC@: “per una ricerca scientificamente avanzata e capace di promuovere i diritti fondamentali delle persone”.
Che cos’è il progetto RICERC@?
L’acronimo significa “Rete Italiana Comitati Etici, Ricercatori e Cittadini” e descrive appunto l’intenzione di creare un’occasione di confronto fra tutte le figure che contribuiscono, con ruoli diversi, alla ricerca clinica. Il progetto si struttura attorno ad un sito interattivo, come luogo di incontro virtuale per i componenti di questa “comunità”. Ci saranno però anche occasioni di incontro “reali”, per approfondire assieme i temi che saranno ritenuti più meritevoli di interesse.
Trasparenza e indipendenza dei comitati etici: due requisiti garantiti dalla normativa vigente? Come vengono risolti problemi di conflitto di interessi?
Il decreto del 2013 sulla composizione e il funzionamento dei comitati etici per la ricerca detta alcune condizioni che dovrebbero garantirne l’indipendenza, sia dai promotori e dagli sperimentatori, che dalle strutture dove i comitati operano: ad esempio, almeno un terzo dei componenti deve essere esterno alla struttura e ciascun componente deve impegnarsi a non partecipare alle decisioni riguardanti gli studi per i quali presentano un conflitto di interessi.
In realtà, per definizione, l’indipendenza non è regolabile per decreti e procedure e chiunque abbia frequentato un comitato etico sa che, soprattutto nei settori molto specialistici, la competenza ed il conflitto di interessi sono difficilmente scindibili.
Sarebbe più onesto se ogni comitato documentasse (ad esempio nei verbali) se e quando si è trovato di fronte a problemi di conflitto di interessi e come li ha risolti. Questo tema è fortemente collegato a quello della “trasparenza documentabile”: sarebbe importante che ogni comitato definisse delle “procedure” che permettessero di documentare l’indipendenza delle proprie decisioni. Potrebbe essere un progetto condiviso dei comitati che aderiscono a RICERC@…
Un altro punto cruciale e attuale nella ricerca è l’etica della condivisione dei dati. È doveroso da parte del ricercatore condividere con i pazienti le informazioni e le evidenze raccolte da uno studio?
È doveroso condividere con i partecipanti tutte le informazioni che emergono nel corso dello studio, perché potrebbero influenzare la loro decisione di proseguire: ricordiamo che ogni partecipante deve essere libero di ritirarsi in qualsiasi momento da uno studio, senza che ciò pregiudichi l’assistenza a cui ha diritto.
Inoltre, è doveroso condividere i risultati delle ricerche con la comunità scientifica e con la collettività. Se i risultati di una ricerca non vengono “pubblicati”, vale a dire resi pubblicamente noti, quella ricerca, di fatto, è stata inutile! I partecipanti si sono assunti un rischio, ma la collettività non ha avuto alcun beneficio in termini di progresso della conoscenza. Altri ricercatori potrebbero iniziare uno studio simile, ignari del fatto che sarebbero già disponibili informazioni sufficienti a renderlo inutile.
Come tutti sanno, però, l’aspetto più critico è però rappresentato dalla difficoltà di pubblicare studi con risultati negativi, o comunque non esaltanti. Anche senza tenere in considerazione il peso dei conflitti di interesse, è un fenomeno umanamente comprensibile: gli stessi promotori e ricercatori sono meno motivati a dedicare ulteriore tempo ed energie ad un progetto che considerano “fallito” ed anche le riviste sono meno interessate a pubblicare questo tipo di studi (almeno in passato, ora le cose stanno forse cambiando).
Ma, come sappiamo, l’occultamento dei risultati negativi ha importantissime implicazioni etiche perché causa una sovrastima dell’efficacia dei trattamenti e, più in generale, una visione eccessivamente ottimistica dei “progressi della scienza”. I vostri lettori conoscono bene questo tema, perché Il Pensiero lo ha affrontato in diverse occasioni!
È anche uno dei argomenti dell’agenda di RICERC@ e per essere fedeli allo spirito del progetto, cercheremo di affrontarlo da più punti di vista, dei ricercatori, dei comitati etici e dei cittadini (vi suggeriamo di visitare il sito, in cui è stato appena pubblicato il primo contributo).
Ricercatori, operatori sanitari e cittadini hanno un ruolo importante nei comitati etici. Quanto gli obiettivi e le finalità dei comitati sono noti a questi attori?
L’attività di ricerca coinvolge solo una piccola parte sia del personale, che dei pazienti che ogni giorno accedono alle strutture del servizio sanitario. È probabile che solo questa piccola parte venga a conoscenza dell’esistenza dei comitati etici per la ricerca e del loro ruolo.
Sicuramente i comitati dovrebbero rendersi più attivi verso l’esterno, verso i ricercatori e verso la collettività (compresa la stampa), ma non solo per far conoscere la propria esistenza, quanto per promuovere a tutti i livelli una visione della ricerca in ambito sanitario come una delle possibili forme di assistenza, quando le pratiche “normalmente utilizzate” non sono in grado di soddisfare bisogni rilevanti di cura.
In questo modo anche i comitati potrebbero essere percepiti non più come dei “corpi estranei” alle strutture sanitarie, ma come espressione della responsabilità delle strutture stesse nell’assicurare la miglior risposta possibile alle domande di salute dei propri cittadini.