Parlando del caso-Gela, lei ha detto che migliorare la salute per i cittadini del Sud non vuol dire solo garantire strutture di eccellenza, ma favorire una cultura della prevenzione: in questo senso, la tutela dell’ambiente può essere considerato un elemento chiave anche della programmazione sanitaria?
Certamente sì. Per ottenere una maggiore tutela del benessere dei cittadini è strategica l’integrazione dell’azione di cura con la promozione della salute e la prevenzione delle malattie. L’attività di prevenzione va intesa però intesa in due modi: da un lato, nel senso tradizionale di evitare le attività potenzialmente dannose per la salute; dall’altro, potenziando l’attenta valutazione dell’impatto di ogni attività umana sulla salute delle persone, ad esempio nella pianificazione di grandi opere, nell’elaborazione dei piani regolatori delle città, nelle scelte di politica energetica e ambientale.
La questione dei livelli di tollerabilità degli inquinanti prodotti dalle industrie (per esempio il caso del benzopirene a Taranto) tocca i delicati rapporti tra tutela della salute e sviluppo economico: è davvero impossibile pensare ad un’economia competitiva che non leda i diritti alla salute dei cittadini?
Rivolge questa domanda a un ottimista. Secondo me, non è impossibile. Bisogna però che la classe dirigente di questo Paese faccia un passo avanti per superare le logiche e la mentalità del secolo scorso. Da quando è stato eletto, il presidente americano Barack Obama non ha mai smesso di parlare di “economia verde” ed investimenti nell’innovazione e nella ricerca. L’Italia deve ritrovare la stessa spinta, tagliando le spese inutili e investendo in questi settori.
I tempi della politica sono sempre e comunque incompatibili con quelli della pianificazione sanitaria?
Non devono esserlo. Garantire a tutti il diritto alla salute implica non solo la necessità di incisivi interventi di ammodernamento del Servizio sanitario nazionale, ma anche misure che impediscano, ad esempio, alla riforma federalista di compromettere la qualità delle prestazioni fornite nelle aree più svantaggiate del Paese.
2 febbraio 2011
In primo piano
Per la salute non bastano le strutture di eccellenza
Parlando del caso-Gela, lei ha detto che migliorare la salute per i cittadini del Sud non vuol dire solo garantire strutture di eccellenza, ma favorire una cultura della prevenzione: in questo senso, la tutela dell’ambiente può essere considerato un elemento chiave anche della programmazione sanitaria?
Certamente sì. Per ottenere una maggiore tutela del benessere dei cittadini è strategica l’integrazione dell’azione di cura con la promozione della salute e la prevenzione delle malattie. L’attività di prevenzione va intesa però intesa in due modi: da un lato, nel senso tradizionale di evitare le attività potenzialmente dannose per la salute; dall’altro, potenziando l’attenta valutazione dell’impatto di ogni attività umana sulla salute delle persone, ad esempio nella pianificazione di grandi opere, nell’elaborazione dei piani regolatori delle città, nelle scelte di politica energetica e ambientale.
La questione dei livelli di tollerabilità degli inquinanti prodotti dalle industrie (per esempio il caso del benzopirene a Taranto) tocca i delicati rapporti tra tutela della salute e sviluppo economico: è davvero impossibile pensare ad un’economia competitiva che non leda i diritti alla salute dei cittadini?
Rivolge questa domanda a un ottimista. Secondo me, non è impossibile. Bisogna però che la classe dirigente di questo Paese faccia un passo avanti per superare le logiche e la mentalità del secolo scorso. Da quando è stato eletto, il presidente americano Barack Obama non ha mai smesso di parlare di “economia verde” ed investimenti nell’innovazione e nella ricerca. L’Italia deve ritrovare la stessa spinta, tagliando le spese inutili e investendo in questi settori.
I tempi della politica sono sempre e comunque incompatibili con quelli della pianificazione sanitaria?
Non devono esserlo. Garantire a tutti il diritto alla salute implica non solo la necessità di incisivi interventi di ammodernamento del Servizio sanitario nazionale, ma anche misure che impediscano, ad esempio, alla riforma federalista di compromettere la qualità delle prestazioni fornite nelle aree più svantaggiate del Paese.