Chi ci governa sembra essere ossessionato dalla salute. Desidera si faccia della protezione e della promozione della salute un bene supremo. D’altra parte, ci si deve confrontare con una posizione “libertaria” che sembra suggerire un diverso punto di vista…
La prospettiva libertaria proclama l’esistenza di un valore più alto della spinta morale, economica e politica in favore della promozione della salute: si tratta della libertà personale di scegliere come vivere la propria esistenza, e questo comprende la decisione riguardo il mettersi eventualmente a rischio, se è ciò che si vuole. La libertà e la scelta, non la salute, sono i valori umani più alti. Di certo, volando con un parapendio, andando avanti a forza di cibi grassi, scegliendo uno stile di vita privo di esercizio e soffocato dalla televisione, si commette un azzardo. E allora? Il punto è sentirsi liberi: è questo che dà significato e dignità alla propria vita.
Talvolta, sembra esserci un nesso tra l’approccio epidemiologico alla salute pubblica, il movimento salutista e la “paura globale” che contraddistingue i nostri giorni; lei cosa ne pensa?
Senza dubbio i sostenitori del salutismo si sono allineati all’aspirazione per la buona salute inginocchiandosi agli altari dell’epidemiologia, dei numeri relativi, al cosiddetto burden-of-disease e adattandosi al ruolo di ipocondriaci congeniti che ritengono di poter evitare le malattie e la morte semplicemente astenendosi dai cibi sbagliati, dall’aria sbagliata e dalle compagnie romantiche sbagliate… Troppe delle attività di promozione della salute svolte in questi anni sembrano aver trasformato tutta la nostra vita in una minaccia generalizzata, dal cibo che mangiamo all’aria che respiriamo. Ad un certo punto, questa specie di fabbrica del rischio potrebbe rivolgersi contro i costruttori stessi.
Ritiene che il fenomeno di cui parlava, la fabbrica del rischio, sia un problema prevalentemente americano?
Forse la tentazione costante degli americani di medicalizzare i problemi sociali che non si risolvono potrebbe essere una condizione predisponente. Per esempio, qualunque sia la verità sul ruolo dell’obesità nel causare o esacerbare un cattivo stato di salute, è certo che il sovrappeso è diventato una questione soprattutto di ordine medico. Ma, per tornare alla domanda, secondo me non si tratta di un problema solo americano.
Infatti, anche in Italia c’è un’attenzione e una preoccupazione crescente per il rischio sanitario…
Allora permette che le racconti di uno dei miei viaggi nel vostro Paese. Era l’estate del 1996, ero a Napoli per un congresso ed ebbi l’occasione di verificare il potere delle circostanze esterne nel determinare i comportamenti delle persone.
Ci dica…
Iniziamo dalle buone notizie: il constatare quante poche persone obese passeggiassero in strada, nonostante la deliziosa cucina dell’Italia meridionale. Ma, dopo tutto, perché avrebbero dovuto essere in sovrappeso? Gran parte della gente raggiungeva a piedi il posto dove doveva andare, piuttosto che prendere la macchina. Le palazzine tipiche della città avevano tutte cinque o sei piani ma senza ascensore. Persino il cibo, nonostante non ci andassero piano con la pasta, non era pesante, e il vino era bevuto con moderazione.
Un paradiso?
No, perché dall’altra parte l’inquinamento delle automobili, degli autobus e dei motorini era palpabile. Una cappa spessa gravava per aria. C’erano più motorini che macchine ma su mille guidatori di scooter non uno che indossasse il casco; anzi, a dire il vero, non ho proprio visto neanche un casco in tutta la città. Intere famiglie con madri, padri e bambini guidavano a tutta velocità incuranti anche delle strisce pedonali.
È vero: è una panoramica realistica su un modo di vivere…
Di certo: per alcuni aspetti produttivo di buona salute, per altri di malessere. Un miglioramento dello stato di salute dei cittadini napoletani richiederebbe la conferma della resistenza a diavolerie moderne come le automobili e gli ascensori, accompagnata da un controllo legislativo sulle emissioni delle automobili e da un radicale impegno educativo, sorretto da sanzioni legali, circa l’utilità del casco per chi va in motocicletta.
Non ho dubbi sul fatto che descrizioni simili a quelle da me fatte in precedenza, potrebbero essere ovviamente effettuate per altre abitudini di vita. I comportamenti collegati alla salute sono una funzione dello stile di vita e possono essere più o meno responsabili, più o meno resistenti ai cambiamenti e agli sforzi consapevolmente volti a modificare il proprio modo di vivere per migliorare lo stato di salute. Sono i valori culturali o semplicemente le abitudini ben radicate a spiegare le variazioni esistenti da una realtà ad un’altra. Ciò che manca alla disciplina della promozione della salute e della prevenzione delle malattie è proprio un modo sistematico di guardare a questi modelli culturali e sociali, pianificando le modalità di intervento su di essi.
Tutti lodano i programmi di prevenzione, ma perché funzionano così poco?
Credo dovrebbero persuaderci che sottoporsi a dei rischi è una scelta in qualche modo indispensabile alla costruzione della propria identità, o funzionale alla verifica che il gioco vale la candela: correre un rischio statistico per ottenere in cambio un piacere immediato. Non esiste certezza che una dieta troppo ricca di grassi sia destinata per forza ad ucciderci; semplicemente, sposta il rischio a lungo termine in direzione dell’azzardo. Ma sappiamo che rinunciando ad una cena sontuosa ci priviamo subito di un probabile piacere.
Si tratta, è vero, di gestire l’incertezza…
Proprio così: se il movimento di promozione della salute non riuscirà a tenere in considerazione l’incertezza, rischia di incentivare come minimo comportamenti ambivalenti e, nel caso peggiore, di suscitare una reazione ostile. Il messaggio dovrebbe essere: se vuoi conservare una buona salute (e ci sono buone ragioni per desiderarlo), esistono alcuni modi possibili (non certi) per farlo; se al contrario vuoi ignorare le linee guida ragionevoli che ti manterrebbero in buona salute, sappi che devi anche prepararti ad accettare di fare del male a te stesso.
Allora: comunicare il rischio o astenersi dal farlo?
Ho iniziato questa intervista distinguendo tra “salutismo” e punto di vista libertario. Vorrei ora aggiungere un’altra cosa. Da parte mia, accetto il punto di vista libertario laddove sostiene che alle persone deve essere permesso di vivere la propria vita come desiderano. Allo stesso tempo, è importante riconoscere che le abitudini nocive alla salute hanno un impatto sociale importante: accorciano la vita, causano malattie e aggravano il peso sociale ed economico sugli altri cittadini. Perciò, mi sembra importante riconoscere che lo sforzo sociale di persuadere ed educare la gente a condurre una vita più salutare sia senz’altro accettabile. Le persone non devono essere costrette ad essere in buona salute, ma occorre ricordare loro che le cattive abitudini possono avere pericolose conseguenze per gli altri e per questa ragione dovrebbero fare un uso responsabile della loro libertà.
14 luglio 2004
In primo piano
Per un uso responsabile della libertà
Chi ci governa sembra essere ossessionato dalla salute. Desidera si faccia della protezione e della promozione della salute un bene supremo. D’altra parte, ci si deve confrontare con una posizione “libertaria” che sembra suggerire un diverso punto di vista…
La prospettiva libertaria proclama l’esistenza di un valore più alto della spinta morale, economica e politica in favore della promozione della salute: si tratta della libertà personale di scegliere come vivere la propria esistenza, e questo comprende la decisione riguardo il mettersi eventualmente a rischio, se è ciò che si vuole. La libertà e la scelta, non la salute, sono i valori umani più alti. Di certo, volando con un parapendio, andando avanti a forza di cibi grassi, scegliendo uno stile di vita privo di esercizio e soffocato dalla televisione, si commette un azzardo. E allora? Il punto è sentirsi liberi: è questo che dà significato e dignità alla propria vita.
Talvolta, sembra esserci un nesso tra l’approccio epidemiologico alla salute pubblica, il movimento salutista e la “paura globale” che contraddistingue i nostri giorni; lei cosa ne pensa?
Senza dubbio i sostenitori del salutismo si sono allineati all’aspirazione per la buona salute inginocchiandosi agli altari dell’epidemiologia, dei numeri relativi, al cosiddetto burden-of-disease e adattandosi al ruolo di ipocondriaci congeniti che ritengono di poter evitare le malattie e la morte semplicemente astenendosi dai cibi sbagliati, dall’aria sbagliata e dalle compagnie romantiche sbagliate… Troppe delle attività di promozione della salute svolte in questi anni sembrano aver trasformato tutta la nostra vita in una minaccia generalizzata, dal cibo che mangiamo all’aria che respiriamo. Ad un certo punto, questa specie di fabbrica del rischio potrebbe rivolgersi contro i costruttori stessi.
Ritiene che il fenomeno di cui parlava, la fabbrica del rischio, sia un problema prevalentemente americano?
Forse la tentazione costante degli americani di medicalizzare i problemi sociali che non si risolvono potrebbe essere una condizione predisponente. Per esempio, qualunque sia la verità sul ruolo dell’obesità nel causare o esacerbare un cattivo stato di salute, è certo che il sovrappeso è diventato una questione soprattutto di ordine medico. Ma, per tornare alla domanda, secondo me non si tratta di un problema solo americano.
Infatti, anche in Italia c’è un’attenzione e una preoccupazione crescente per il rischio sanitario…
Allora permette che le racconti di uno dei miei viaggi nel vostro Paese. Era l’estate del 1996, ero a Napoli per un congresso ed ebbi l’occasione di verificare il potere delle circostanze esterne nel determinare i comportamenti delle persone.
Ci dica…
Iniziamo dalle buone notizie: il constatare quante poche persone obese passeggiassero in strada, nonostante la deliziosa cucina dell’Italia meridionale. Ma, dopo tutto, perché avrebbero dovuto essere in sovrappeso? Gran parte della gente raggiungeva a piedi il posto dove doveva andare, piuttosto che prendere la macchina. Le palazzine tipiche della città avevano tutte cinque o sei piani ma senza ascensore. Persino il cibo, nonostante non ci andassero piano con la pasta, non era pesante, e il vino era bevuto con moderazione.
Un paradiso?
No, perché dall’altra parte l’inquinamento delle automobili, degli autobus e dei motorini era palpabile. Una cappa spessa gravava per aria. C’erano più motorini che macchine ma su mille guidatori di scooter non uno che indossasse il casco; anzi, a dire il vero, non ho proprio visto neanche un casco in tutta la città. Intere famiglie con madri, padri e bambini guidavano a tutta velocità incuranti anche delle strisce pedonali.
È vero: è una panoramica realistica su un modo di vivere…
Di certo: per alcuni aspetti produttivo di buona salute, per altri di malessere. Un miglioramento dello stato di salute dei cittadini napoletani richiederebbe la conferma della resistenza a diavolerie moderne come le automobili e gli ascensori, accompagnata da un controllo legislativo sulle emissioni delle automobili e da un radicale impegno educativo, sorretto da sanzioni legali, circa l’utilità del casco per chi va in motocicletta.
Non ho dubbi sul fatto che descrizioni simili a quelle da me fatte in precedenza, potrebbero essere ovviamente effettuate per altre abitudini di vita. I comportamenti collegati alla salute sono una funzione dello stile di vita e possono essere più o meno responsabili, più o meno resistenti ai cambiamenti e agli sforzi consapevolmente volti a modificare il proprio modo di vivere per migliorare lo stato di salute. Sono i valori culturali o semplicemente le abitudini ben radicate a spiegare le variazioni esistenti da una realtà ad un’altra. Ciò che manca alla disciplina della promozione della salute e della prevenzione delle malattie è proprio un modo sistematico di guardare a questi modelli culturali e sociali, pianificando le modalità di intervento su di essi.
Tutti lodano i programmi di prevenzione, ma perché funzionano così poco?
Credo dovrebbero persuaderci che sottoporsi a dei rischi è una scelta in qualche modo indispensabile alla costruzione della propria identità, o funzionale alla verifica che il gioco vale la candela: correre un rischio statistico per ottenere in cambio un piacere immediato. Non esiste certezza che una dieta troppo ricca di grassi sia destinata per forza ad ucciderci; semplicemente, sposta il rischio a lungo termine in direzione dell’azzardo. Ma sappiamo che rinunciando ad una cena sontuosa ci priviamo subito di un probabile piacere.
Si tratta, è vero, di gestire l’incertezza…
Proprio così: se il movimento di promozione della salute non riuscirà a tenere in considerazione l’incertezza, rischia di incentivare come minimo comportamenti ambivalenti e, nel caso peggiore, di suscitare una reazione ostile. Il messaggio dovrebbe essere: se vuoi conservare una buona salute (e ci sono buone ragioni per desiderarlo), esistono alcuni modi possibili (non certi) per farlo; se al contrario vuoi ignorare le linee guida ragionevoli che ti manterrebbero in buona salute, sappi che devi anche prepararti ad accettare di fare del male a te stesso.
Allora: comunicare il rischio o astenersi dal farlo?
Ho iniziato questa intervista distinguendo tra “salutismo” e punto di vista libertario. Vorrei ora aggiungere un’altra cosa. Da parte mia, accetto il punto di vista libertario laddove sostiene che alle persone deve essere permesso di vivere la propria vita come desiderano. Allo stesso tempo, è importante riconoscere che le abitudini nocive alla salute hanno un impatto sociale importante: accorciano la vita, causano malattie e aggravano il peso sociale ed economico sugli altri cittadini. Perciò, mi sembra importante riconoscere che lo sforzo sociale di persuadere ed educare la gente a condurre una vita più salutare sia senz’altro accettabile. Le persone non devono essere costrette ad essere in buona salute, ma occorre ricordare loro che le cattive abitudini possono avere pericolose conseguenze per gli altri e per questa ragione dovrebbero fare un uso responsabile della loro libertà.