Le opinioni espresse dall’autore sono a titolo personale e non riflettono necessariamente quelle dell’Istituto Superiore di Sanità.
È da poco entrata in vigore la nuova normativa (DM 14/7/2009) sulle polizze assicurative a tutela dei partecipanti agli studi clinici interventistici. Quali le novità di rilievo?
Prima di tutto, occorre fare una premessa sui rischi per la salute delle persone che partecipano alle sperimentazioni cliniche. Il rischio non è uniforme: varia in relazione al livello di conoscenze disponibili sul farmaco e alla cura con la quale sono seguiti i soggetti. Nelle fasi I delle sperimentazioni cliniche, quando si somministra un farmaco mai studiato in precedenza sulla persona, un qualche rischio, per quanto possibile ridotto, è inevitabile. Mano a mano che si acquisiscono conoscenze, si riduce la probabilità di un rischio imprevisto e aumenta la probabilità che il profilo beneficio-rischio sia positivo. Per arrivare alla commercializzazione di un farmaco bisogna proprio riuscire a dimostrare, all’interno di studi di fase II e di fase III, che i benefici per i pazienti superano i rischi.
Dunque, nelle fasi di studio che precedono la commercializzazione, le tutele assicurative per i partecipanti ai trial sono assolutamente necessarie…
Sicuramente. Diversa invece, è la situazione di un farmaco già in commercio, utilizzato nell’indicazione approvata o in condizioni cliniche simili: per esempio, negli studi di fase III-IV. Si pensi a studi mirati a confrontare l’efficacia di farmaci che hanno la stessa indicazione, o alla verifica dell’efficacia di utilizzi off-label, ad esempio per un’indicazione o un dosaggio o uno schema terapeutico leggermente diverso da quello approvato. I pazienti che partecipano a queste sperimentazioni cliniche sono seguiti con maggiore attenzione rispetto a coloro che, con le stesse patologie, sono trattati nella normale pratica clinica. I soggetti arruolati nelle sperimentazioni, infatti, vengono sottoposti ad accertamenti periodici definiti nei protocolli di studio e l’interpretazione dei risultati è affidata ad esperti qualificati. Nelle sperimentazioni, quindi, si realizza una reale "presa in carico", che giustifica una parte dei risultati positivi ottenuti e spiega perché questi non sono sempre interamente trasferibili nella pratica corrente. Questa "presa in carico" si traduce in un minore rischio per i pazienti coinvolti, rispetto a coloro che ricevono gli stessi farmaci nella pratica corrente.
Le nuove norme invece non fanno alcuna distinzione fra le fasi di sperimentazione, e quindi tra i rischi per i pazienti. Si stabilisce semplicemente che tutti devono essere assicurati.
E qual è il problema?
Secondo le nuove norme, nella tutela assicurativa dei soggetti coinvolti non si tiene conto del diverso grado di rischio.
Ci spieghi meglio…
Sembra irragionevole prevedere una copertura assicurativa per lo studio di un farmaco già in commercio quando i rischi sono inferiori a quelli considerati accettabili nella normale pratica clinica per decine o centinaia di migliaia di persone. Al contrario, una sperimentazione su farmaci non ancora in commercio dovrebbe prevedere un’adeguata copertura assicurativa per eventuali danni derivanti dalla partecipazione.
Ritiene che le tutele richieste siano eccessive, sovrastimate?
Credo che sia uno dei tanti esempi di norme in cui finisce per prevalere l’aspetto "difensivo", in questo caso, del punto di vista delle agenzie regolatorie, delle aziende farmaceutiche e dei comitati etici.
La vera tutela dei pazienti non solo non richiede atteggiamenti burocratici e difensivi, ma anzi ne è ostacolata.
Quali potrebbero essere le conseguenze?
L’aumento previsto dei costi delle sperimentazioni penalizza innanzitutto la ricerca indipendente, condotta per rispondere a domande rilevanti per i cittadini, ma prive di ricadute commerciali.
L’aumento dei costi avrà ricadute differenti per gli studi clinici indipendenti e per quelli sponsorizzati…
Infatti. Per un’azienda farmaceutica, l’incremento dei costi previsto è relativamente ridotto rispetto all’insieme dei costi di una sperimentazione, per la ricerca indipendente invece, potrebbe diventare un onere insostenibile. Il buon senso vorrebbe che si modificasse la parte di questa norma che riguarda i farmaci in commercio e se ne ripensasse il contenuto.
Il decreto emanato, però, trova la sua motivazione in una direttiva europea (2001/20/CE).
Sì, ma la normativa europea prevede che gli Stati membri debbano solo dotarsi di norme in tema di assicurazione dei pazienti in sperimentazione, ma non definisce i dettagli. La scelta effettuata di non fare distinzioni fra le diverse fasi della sperimentazione, ad esempio, non era affatto obbligata.
31 marzo 2010
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In primo piano
Più assicurazioni per tutti. Ma chi paga?
Le opinioni espresse dall’autore sono a titolo personale e non riflettono necessariamente quelle dell’Istituto Superiore di Sanità.
Prima di tutto, occorre fare una premessa sui rischi per la salute delle persone che partecipano alle sperimentazioni cliniche. Il rischio non è uniforme: varia in relazione al livello di conoscenze disponibili sul farmaco e alla cura con la quale sono seguiti i soggetti. Nelle fasi I delle sperimentazioni cliniche, quando si somministra un farmaco mai studiato in precedenza sulla persona, un qualche rischio, per quanto possibile ridotto, è inevitabile. Mano a mano che si acquisiscono conoscenze, si riduce la probabilità di un rischio imprevisto e aumenta la probabilità che il profilo beneficio-rischio sia positivo. Per arrivare alla commercializzazione di un farmaco bisogna proprio riuscire a dimostrare, all’interno di studi di fase II e di fase III, che i benefici per i pazienti superano i rischi.
Dunque, nelle fasi di studio che precedono la commercializzazione, le tutele assicurative per i partecipanti ai trial sono assolutamente necessarie…
Sicuramente. Diversa invece, è la situazione di un farmaco già in commercio, utilizzato nell’indicazione approvata o in condizioni cliniche simili: per esempio, negli studi di fase III-IV. Si pensi a studi mirati a confrontare l’efficacia di farmaci che hanno la stessa indicazione, o alla verifica dell’efficacia di utilizzi off-label, ad esempio per un’indicazione o un dosaggio o uno schema terapeutico leggermente diverso da quello approvato. I pazienti che partecipano a queste sperimentazioni cliniche sono seguiti con maggiore attenzione rispetto a coloro che, con le stesse patologie, sono trattati nella normale pratica clinica. I soggetti arruolati nelle sperimentazioni, infatti, vengono sottoposti ad accertamenti periodici definiti nei protocolli di studio e l’interpretazione dei risultati è affidata ad esperti qualificati. Nelle sperimentazioni, quindi, si realizza una reale "presa in carico", che giustifica una parte dei risultati positivi ottenuti e spiega perché questi non sono sempre interamente trasferibili nella pratica corrente. Questa "presa in carico" si traduce in un minore rischio per i pazienti coinvolti, rispetto a coloro che ricevono gli stessi farmaci nella pratica corrente.
Le nuove norme invece non fanno alcuna distinzione fra le fasi di sperimentazione, e quindi tra i rischi per i pazienti. Si stabilisce semplicemente che tutti devono essere assicurati.
E qual è il problema?
Secondo le nuove norme, nella tutela assicurativa dei soggetti coinvolti non si tiene conto del diverso grado di rischio.
Ci spieghi meglio…
Sembra irragionevole prevedere una copertura assicurativa per lo studio di un farmaco già in commercio quando i rischi sono inferiori a quelli considerati accettabili nella normale pratica clinica per decine o centinaia di migliaia di persone. Al contrario, una sperimentazione su farmaci non ancora in commercio dovrebbe prevedere un’adeguata copertura assicurativa per eventuali danni derivanti dalla partecipazione.
Ritiene che le tutele richieste siano eccessive, sovrastimate?
Credo che sia uno dei tanti esempi di norme in cui finisce per prevalere l’aspetto "difensivo", in questo caso, del punto di vista delle agenzie regolatorie, delle aziende farmaceutiche e dei comitati etici.
La vera tutela dei pazienti non solo non richiede atteggiamenti burocratici e difensivi, ma anzi ne è ostacolata.
Quali potrebbero essere le conseguenze?
L’aumento previsto dei costi delle sperimentazioni penalizza innanzitutto la ricerca indipendente, condotta per rispondere a domande rilevanti per i cittadini, ma prive di ricadute commerciali.
L’aumento dei costi avrà ricadute differenti per gli studi clinici indipendenti e per quelli sponsorizzati…
Infatti. Per un’azienda farmaceutica, l’incremento dei costi previsto è relativamente ridotto rispetto all’insieme dei costi di una sperimentazione, per la ricerca indipendente invece, potrebbe diventare un onere insostenibile. Il buon senso vorrebbe che si modificasse la parte di questa norma che riguarda i farmaci in commercio e se ne ripensasse il contenuto.
Il decreto emanato, però, trova la sua motivazione in una direttiva europea (2001/20/CE).
Sì, ma la normativa europea prevede che gli Stati membri debbano solo dotarsi di norme in tema di assicurazione dei pazienti in sperimentazione, ma non definisce i dettagli. La scelta effettuata di non fare distinzioni fra le diverse fasi della sperimentazione, ad esempio, non era affatto obbligata.