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Più tutele nei trial… che fuori

È da poco entrato in vigore il D.M. 14/07/2009 sulle polizze assicurative a tutela dei partecipanti agli studi clinici interventistici. Quali sono le sue considerazioni in merito?

Il GIMEMA progetta e coordina sperimentazioni cliniche cosiddette "no profit", quindi si attiene alle disposizioni del D.M. 17/12/2004 (legge "no profit" appunto). Tale D.M. è stato realizzato con l’obiettivo di rendere meno complesso, dal punto di vista burocratico, e meno costoso, gestire sperimentazioni per i gruppi accademici, che non agiscono con fini di lucro e che hanno risorse di gran lunga inferiori a quelle dell’industria. Tra le varie disposizioni, viene previsto che la copertura assicurativa dei pazienti arruolati in sperimentazioni "no profit" si possa far rientrare, a cura delle direzioni generali delle aziende ospedaliere ed universitarie, nelle polizze di copertura assistenziale. Questo ovviamente, avrebbe permesso agli sponsor "no profit" di risparmiare i costi del premio assicurativo delle loro sperimentazioni.

Il GIMEMA, però, non si è mai avvalso di questa possibilità e ha sempre attivato polizze ad hoc per ciascuna sperimentazione, con spese per i premi che vanno dai 10 ai 50 mila euro ciascuna. Questo perché comunque lo sponsor resta sempre l’unico responsabile in caso di "contestazioni" e affidarsi alle decine e decine di diverse polizze, sconosciute nei loro dettagli e comunque impossibili da gestire, perché di competenza delle diverse aziende ospedaliere o universitarie, è sempre stato ritenuto un rischio troppo alto.

Da questo punto di vista, pertanto, il decreto in questione, il D.M. 14/07/2009, non ha avuto un grande impatto: resta il fatto che impone una serie di responsabilità agli sponsor, che devono poi riuscire ad ottenere dalle compagnie assicurative – poche e quindi con scarso regime di "concorrenza" nei premi – esattamente le disposizioni indicate dal decreto. Questo potrebbe sembrare automatico, ma nei fatti non è così. Il merito del decreto è però, quello di rendere omogeneo questo aspetto, limitando le richieste al riguardo, sempre molto "fantasiose" e differenti, dei vari comitati etici.

Ritiene che l’obbligo di prevedere la tutela assicurativa a tutti i partecipanti ai trial clinici interventistici, senza tenere conto delle fasi di studio, né del grado di rischio diverso, sia una scelta dettata da un diffuso orientamento difensivo delle agenzie regolatorie e dei comitati etici?

Certamente sì, su questo non c’è alcun dubbio. D’altra parte, oggi la tendenza a chiedere risarcimenti è altissima. Ho sentito di un caso in cui i parenti di una persona deceduta per una leucemia acuta, venuti a conoscenza dell’esistenza di un’assicurazione, legata alla sperimentazione nell’ambito della quale il loro congiunto era stato curato, ci hanno detto, in tutta sincerità, che avrebbero "provato" a richiedere un risarcimento, non perché ritenessero di essere stati seguiti in modo inadeguato, ma per superare le difficoltà economiche subentrate con la perdita del capofamiglia. Ovviamente, la loro iniziativa si è arenata prima di cominciare, perché non esistevano le basi, ma il caso citato rappresenta un segnale del clima in cui si opera. Avere quindi, un’assicurazione "in più" fa sentire gli operatori coinvolti più tranquilli – anche se, verosimilmente è solo un fatto irrazionale. Resta il fatto che assicurare una sperimentazione con pazienti affetti da leucemia acuta, che valuta la possibilità di ridurre la mortalità di circa il 10-20% o semplicemente di testare la fattibilità di un nuovo farmaco, ha poco senso: è praticamente impossibile stabilire se un evento è causato dalla malattia o dalla sperimentazione. Se invece si tratta di tutelare il rischio di errore da parte degli operatori sanitari, allora, l’errore è lo stesso che si potrebbe compiere nel corso di un trattamento assistenziale standard. In realtà, credo che la necessità di una assicurazione legata al trial andrebbe valutata di volta in volta, definendo qual è il rischio aggiuntivo per la partecipazione al trial rispetto a ricevere un trattamento "standard".

In Italia, sono frequenti i casi di riconoscimento del danno ai partecipanti ai trial clinici? Qual è l’orientamento dei tribunali e quale l’atteggiamento più frequentemente riscontrato nei partecipanti ad uno studio che ritengano di aver subito un danno correlabile allo studio? Per esempio, nel caso di un trattamento per una patologia oncologica, il danno rilevato potrebbe essere sottostimato rispetto al beneficio ottenuto grazie all’intervento…

Nella mia esperienza, riferita ai trial condotti dal GIMEMA, ho avuto notizia certa di tre ricorsi. Due erano del tutto inconsistenti e sono stati archiviati immediatamente. Del terzo non ho più avuto notizia. Questo dato è riferito ad un arco temporale di 20 anni e ad oltre 20-25 trial che hanno arruolato diverse migliaia di pazienti in tutta Italia. Ma ripeto, le leucemie acute sono una patologia molto particolare, in cui il rischio di eventi anche letali è troppo legato alla patologia in sé per riuscire a identificare un danno aggiuntivo causato dalla chemioterapia.

Dal suo punto di vista, è difficile dimostrare la relazione causa-effetto, nel caso di un danno successivo ad un atto terapeutico nel corso di uno studio interventistico? Nel setting sperimentale, tale aspetto ha delle sue peculiarità che facilitano o rendono più ardua la dimostrazione della relazione causa-effetto?

Credo che sia certamente più difficile dal punto di vista "legale", giudiziario, ma non tanto dal punto di vista medico. Intendo dire che è meno difficile di quanto si creda stabilire se un paziente corre dei rischi "in più" partecipando ad una sperimentazione, rispetto a quelli che correrebbe non partecipandovi. Spesso, la verità nel nostro campo – le patologie ematologiche "maligne" – è che i pazienti corrono meno rischi partecipando ad una sperimentazione (dove ricevono una terapia secondo procedure accuratamente definite e approvate dal team medico e controllate nel loro percorso attuativo) che non partecipandovi. Ma questo concetto è ancora troppo elaborato per essere compreso, accettato e sviluppato, oggi come oggi…

 

14 aprile 2010

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