Il destino dei rifiuti sanitari
Il “destino” dei rifiuti sanitari è sempre quello della combustione?
Le attività delle strutture sanitarie, a causa di un sempre maggiore utilizzo di materiali monouso, comportano un costante aumento di produzione di rifiuti di vario tipo; si può stimare una produzione fino ad una decina di kg/degente/giorno, con una composizione merceologica costituita per la maggior parte da rifiuti simili a quelli urbani. La normativa nazionale (DPR 15 luglio 2003, n. 254 “Regolamento recante disciplina della gestione dei rifiuti sanitari a norma dell’articolo 24 della legge 31 luglio 2002, n. 179″) definisce le diverse tipologie di rifiuti ospedalieri:
- rifiuti sanitari pericolosi;
- rifiuti sanitari assimilati agli urbani;
- rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo;
- rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo;
- rifiuti sanitari che richiedono particolari modalità di smaltimento;
- rifiuti speciali prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che come rischio risultano analoghi ai rifiuti pericolosi a rischio infettivo, con l’esclusione degli assorbenti igienici.
Viene prevista anche una categoria particolare: rifiuti da esumazioni e da estumulazioni, nonché rifiuti derivanti da altre attività cimiteriali, esclusi i rifiuti vegetali provenienti da aree cimiteriali.
La stessa normativa riporta che i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo devono essere smaltiti mediante incenerimento; considerando il totale dei rifiuti prodotti in una struttura ospedaliera, si può stimare che la parte che necessita di essere smaltita mediante incenerimento sia circa il 50%. Sempre secondo detta normativa devono essere avviati allo smaltimento, mediante incenerimento, anche i “farmaci scaduti o inutilizzabili”.
“Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo”, in che senso?
Il rifiuto sanitario a rischio infettivo è una categoria in realtà molto eterogenea. All’interno di questa possiamo avere: materiale che proviene dai laboratori e dai reparti, materiale monouso, residui di medicazioni, piccole parti anatomiche non riconoscibili, garze e altro materiale contaminato da liquidi biologici, sangue, urine e feci, farmaci, etc. La presenza di materiali potenzialmente infetti rende necessario che tali rifiuti siano smaltiti mediante incenerimento, al fine di eliminare anche il rischio infettivo.
Quali sono le tappe dello smaltimento?
Le procedure che si possono adottare nel percorso di smaltimento prevedono anche che questi rifiuti possano essere sottoposti a sterilizzazione, riducendo in questo modo il rischio infettivo. Tale operazione consente di avviare i rifiuti pericolosi a rischio infettivo sterilizzati anche ad impianti di incenerimento autorizzati allo smaltimento di soli rifiuti urbani; in situazioni del tutto particolari i rifiuti ospedalieri sterilizzati potrebbero essere anche avviati a discarica per rifiuti urbani.
Un percorso uguale per tutti oppure ogni tipo di rifiuto ha il suo inceneritore?
Negli ospedali si ha la produzione anche di altre tipologie di rifiuti pericolosi; basti pensare a batterie, reattivi chimici, soluzioni disinfettanti o sterilizzanti, materiale radioattivo, etc. Questa tipologia di rifiuti deve seguire vie specifiche di smaltimento per rifiuti pericolosi a rischio chimico o per rifiuti pericolosi a rischio radioattivo. Se, invece, si tratta di rifiuti non pericolosi che siano simili a quelli urbani – residui dei pasti, purché non provenienti da reparti infettivi, materiale cartaceo dagli uffici, etc. -, tali categorie vanno avviate al circuito dei rifiuti urbani.
La normativa prevede che i rifiuti sanitari a rischio infettivo debbano essere avviati ad incenerimento; gli impianti che possono accogliere tali rifiuti devono essere inceneritori autorizzati per rifiuti speciali o pericolosi e, nel caso di rifiuti ospedalieri sterilizzati, anche impianti per rifiuti urbani. Pertanto lo smaltimento può avvenire in: impianti autorizzati ad hoc per rifiuti ospedalieri, impianti autorizzati per rifiuti urbani che possono incenerire rifiuti ospedalieri purché sterilizzati, impianti autorizzati all’incenerimento di rifiuti urbani e ospedalieri che coinceneriscono le due tipologie contemporaneamente. In questo ultimo caso si applicano particolari precauzioni; i rifiuti ospedalieri vengono dosati in piccole quantità ed arrivano alla camera di combustione separatamente dagli altri rifiuti ed i loro contenitori non possono essere aperti in precedenza.
Quali sono i punti critici riguardo la gestione dei rifiuti sanitari?
Le problematiche nell’incenerimento dei rifiuti sanitari sono simili a quelle che si hanno con rifiuti solidi urbani, tuttavia uno dei problemi particolari è quello della presenza di alcuni prodotti contenenti mercurio che possono essere presenti anche in quantità sensibili. Ad esempio alcune tipologie di pile ad uso specialistico che contengono ancora mercurio, la presenza impropria di lampade fluorescenti e piccole apparecchiature medicali, possono essere fonte di mercurio; farmaci e disinfettanti, anche se in misura del tutto esigua, danno il loro apporto. Il contributo più significativo tuttavia è rappresentato dalla presenza di amalgama dentale proveniente da reparti odontoiatrici e da studi dentistici. La alta concentrazione di mercurio dunque è uno degli aspetti che differenzia maggiormente il rifiuto urbano da quello ospedaliero; questa sostanza richiede una particolare attenzione nella gestione dell’incenerimento. Tuttavia, corrette procedure gestionali e l’utilizzo di sistemi specifici di abbattimento – mezzi assorbenti quali carboni attivi, condensazione, etc. – consentono il rispetto dei limiti di emissione anche con sostanziali margini.
Gli inceneritori e rischi ambientali
Veniamo al punto cruciale: le emissioni possono costituire un rischio per la popolazione?
Tutti gli inceneritori di rifiuti solidi urbani esistenti in Italia sono stati adeguati alla normativa vigente; questo significa che tutti gli impianti dispongono di sistemi di abbattimento specifici per gli inquinanti, da tre a cinque stadi. In particolare gli impianti più recenti presentano cinque sezioni di abbattimento secondo le indicazioni delle migliori tecniche disponibili indicate dalla Unione Europea (UE). Va però sottolineato che la tecnologia di abbattimento consente riduzioni drastiche delle emissioni, ma non esistono impianti o cicli tecnologici ad emissione zero. Questo più che spaventare deve spingere ad una corretta e attenta valutazione di impatto sia per l’ambiente che per la salute umana al fine di valutare la compatibilità di un’opera e di programmare la sorveglianza ambientale e sanitaria. La normativa vigente in questo settore è molto restrittiva, in particolare per quanto riguarda i microinquinanti. Al fine di poter stimare l’esposizione della popolazione e valutarne i conseguenti rischi, è di estrema importanza è anche il monitoraggio in continuo delle emissioni e i rilevamenti nell’ambiente circostante: la sorveglianza di quanto esce dal camino e di quanto ricade nell’ambiente.
Chi fa il controllo ambientale?
Oltre agli autocontrolli ai quali il gestore dell’impianto è sottoposto, il controllo ambientale è demandato alle Agenzie Regionali per la prevenzione e l’ambiente (ARPA), tuttavia in sede di autorizzazione spesso vengono date prescrizioni aggiuntive, rispetto a quelle contenute nella normativa, in particolare per quanto riguarda campagne di rilevamento su matrici ambientali e biologiche. L’ambiente può infatti essere contaminato dalle emissioni di un camino attraverso le ricadute di queste al suolo, in funzione della massa emessa, dei suoi parametri chimici e fisici, dell’altezza del camino, della situazione meteorologica locale, della orografia, etc.
I valori di riferimento per detti controlli sono sia quelli contenuti nella vigente normativa (ad esempio i limiti alle emissione e limiti di qualità dell’aria e su altri matrici) sia le indicazioni e i valori guida della Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’UE. In particolare, per quanto riguarda alcuni composti organoclorurati, quali diossine e policlorobifenili, si considerano valori “tollerabili” di assunzione complessiva di detti composti dalle varie possibili vie di esposizione (inalatoria, alimentare, cutanea).
Misurazioni ambientali, catena alimentare, dati epidemiologici: una valutazione a 360 gradi?
Infatti alcune sostanze persistenti nell’ambiente entrano nella catena alimentare che rappresenta la forma prevalente di assunzione; dunque una stima di rischio deve tenere conto non soltanto di ciò che la popolazione può inalare ma soprattutto di ciò che può mangiare. La sorveglianza ambientale deve consentire soprattutto di individuare l’insorgere di situazioni potenzialmente critiche, prima che si manifestino effetti avversi sulla salute delle popolazione.
Educare al corretto consumo
Più si differenzia, meglio si smaltisce, meno si inquina…
Le Regioni che hanno organizzato in maniera razionale il sistema di gestione dei rifiuti e che hanno alte percentuali di raccolta differenziata, sono quelle che meglio hanno applicato un sistema articolato che considera tutte le possibilità di smaltimento compreso l’incenerimento con recupero energetico. Analogamente nel caso di rifiuti ospedalieri la differenziazione consente di ridurre ai soli rifiuti pericolosi e a rischio infettivo quelli da avviare all’incenerimento.
Ma a monte: meno si consuma, meno si producono rifiuti…
In genere, si osserva che i rifiuti aumentano con l’aumento dei consumi medi delle famiglie, quindi il rifiuto è legato, in una certa misura, alle possibilità economiche e agli stili di vita: più consumiamo beni, più produciamo rifiuti. Tuttavia, andrebbero promossi stili comportamentali e di vita che tengano conto di questi aspetti e consentano di mitigare la produzione e il consumo di materiali destinati a diventare rifiuti.
Diversa è la situazione nel caso della produzione dei rifiuti sanitari, gli aspetti di sicurezza, per il paziente e per gli operatori, e di ottimizzazione delle terapie comportano l’utilizzo sempre maggiore di materiali monouso e quindi l’incremento della produzione dei rifiuti.
Se pensiamo agli “armadietti dei medicinali”, il messaggio non sembra essere stato recepito per i farmaci?
Infatti, un discorso analogo sugli stili di vita corretti può anche essere effettuato per i farmaci; una volta bastava una piccola scatola per contenere tutte le medicine di casa, oggi in genere si ha un intero armadietto per i farmaci inutilizzati. Fermo restando il miglioramento dell’attesa di vita e della qualità della stessa dovuto anche ai farmaci, oggi si deve attuare anche per i farmaci inutilizzati o scaduti una corretta gestione e smaltimento al fine di non produrre effetti dannosi all’ambiente e alla salute della popolazione.
26 marzo 2008
Gli inceneritori presenti in Italia
La produzione nel territorio nazionale di rifiuti solidi urbani (RSU) attualmente risulta essere di circa 32,5 milioni di tonnellate l’anno, con una tendenza ad un leggero aumento rispetto agli anni precedenti. Circa il 24% di questi rifiuti vengono raccolti in maniera differenziata; la quota avviata tal quale in discarica è di circa il 49% e la quota che trova un trattamento mediante incenerimento con recupero energetico è di circa il 10%. In origine la tecnica dell’incenerimento dei rifiuti veniva attuata per ragioni igieniche e per consentire riduzioni di volume e di peso, attualmente a queste motivazioni si sono aggiunte anche quelle del recupero energetico (termico e/o elettrico), grazie anche al sempre maggiore potere calorifico. L’aspetto del recupero energetico risulta importante anche per la mitigazione dell’impatto di questa tipologia di impianti, in quanto consente una riduzione di consumo di combustibili convenzionali, pur considerando che l’obiettivo principale di questo ciclo tecnologico rimane quello dello smaltimento del rifiuto.
Sul territorio nazionale sono presenti 51 impianti di incenerimento per RSU, per rifiuti assimilabili e per rifiuti sanitari (RS), che trattano circa 4,4 Mt/anno di rifiuti con un recupero di energia elettrica di 2626 GWhe e di energia termica di 706 GWht. La loro dislocazione geografica è prevalentemente nel nord del Paese (60%). Negli anni passati gli inceneritori di piccola taglia e obsoleti sono stati dismessi, alcuni sono stati adeguati con l’introduzione di una sezione di recupero energetico e il potenziamento della sezione di abbattimento, gli impianti più recenti sono stati già progettati e costruiti secondo le attuali Best available techniques (BAT).
Gestione articolata dei rifiuti…
Già con il recepimento delle direttive europee emanate negli anni 90′ in materia di gestione dei rifiuti (DLgs 22/1997) si era affermata la strategia basata fondamentalmente su: la prevenzione nella produzione dei rifiuti (minori quantitativi di rifiuti e riduzione della loro pericolosità), il riciclaggio (di materia) e il riuso, il miglioramento dello smaltimento finale e il recupero di energia.
Oltre alla riduzione della produzione dei rifiuti, viene quindi incentivato il recupero, mediante il riciclo di materia e il recupero energetico. Il cittadino/consumatore ha un ruolo fondamentale in questa gestione dei rifiuti, in quanto determina la scelta dei prodotti, che in parte diverranno rifiuti e, con la raccolta differenziata, consente di ridurre le quantità di questi da avviare allo smaltimento. Infatti il rifiuto che non può essere riciclato o riutilizzato come materia, deve essere avviato a smaltimento in discarica o in inceneritore al fine di operare un recupero energetico. Va però rilevato che si nota un continuo aumento nella produzione dei rifiuti solidi urbani nel territorio nazionale; attualmente la produzione annuale di rifiuti risulta essere di circa 550 kg per persona, con una tendenza ad un leggero aumento rispetto agli anni precedenti (11 kg rispetto al 2005).
La raccolta differenziata risulta particolarmente utile in quanto consente e semplifica la possibilità di riutilizzare e riciclare i materiali, riducendo anche i consumi energetici per la produzione di materiale vergine. Importante è anche una corretta raccolta separata dell’umido, ossia la parte organica dei residui alimentari, che consente la produzione di ammendanti per l’agricoltura (compost). La raccolta differenziata presso i mercati agricoli consente l’avvio di materiale organico selezionato al compostaggio, garantendo in tal modo il prodotto finale da contaminazioni improprie che si rifletterebbero sulla catena alimentare.
Il rifiuto urbano residuale da raccolta differenziata, in alcuni casi subisce un trattamento meccanico biologico, ovvero la divisione dell’ “umido” (parte prevalentemente organica) dal “secco” (parte prevalentemente inorganica ad alto potere calorifico). In questo caso la frazione organica non possiede i requisiti per la produzione di un compost di qualità e viene stabilizzata ed in genere avviata in discarica salvo altri usi particolari, la parte secca può essere avviata tal quale o dopo successivi trattamenti al recupero energetico mediante incenerimento. Altra scelta possibile è invece quella di avviare ad incenerimento con recupero energetico, tutto il residuale che rimane dalla raccolta differenziata senza alcun ulteriore trattamento preliminare.
Sui percorsi “invisibili” dei farmaci
- Acque drogate, intervista a Ettore Zuccato pubblicata su Va’ Pensiero n° 334
- Farmaci invenduti: quanto ci costa ‘sta monnezza?, intervista a Francesco Ascone pubblicata su Va’ Pensiero n° 335
- Medicinali nel cassonetto, intervista ad Andrea Lanz, Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT). Pubblicato su Va’ Pensiero n° 336
- Farmaci (s)caduti nel mercato nero, intervista a Gianfranco Dainese, Generale in congedo dell’Ufficio Operazioni del Comando Carabinieri Tutela della Salute. Pubblicato su Va’ Pensiero n° 337
- Un GPS anche per i farmaci, intervista a Claudia Biffoli, direttore Ufficio IV – Direzione generale del sistema informativo, Ministero della salute. Pubblicato su Va’ Pensiero n° 338
- Farmacisti “responsabili”, intervista a Egidio Campari, direttore generale Farmacie Comunali Riunite di Reggio Emilia. Pubblicato su Va’ Pensiero n° 339
- Farmaci nel vicolo cieco, intervista a Massimo Scaccabarozzi, vicepresidente di Farmindustria. Pubblicato su Va’ Pensiero n° 340
In primo piano
Rifiuti: raccogliere, incenerire, educare…
Il destino dei rifiuti sanitari
Il “destino” dei rifiuti sanitari è sempre quello della combustione?
Le attività delle strutture sanitarie, a causa di un sempre maggiore utilizzo di materiali monouso, comportano un costante aumento di produzione di rifiuti di vario tipo; si può stimare una produzione fino ad una decina di kg/degente/giorno, con una composizione merceologica costituita per la maggior parte da rifiuti simili a quelli urbani. La normativa nazionale (DPR 15 luglio 2003, n. 254 “Regolamento recante disciplina della gestione dei rifiuti sanitari a norma dell’articolo 24 della legge 31 luglio 2002, n. 179″) definisce le diverse tipologie di rifiuti ospedalieri:
Viene prevista anche una categoria particolare: rifiuti da esumazioni e da estumulazioni, nonché rifiuti derivanti da altre attività cimiteriali, esclusi i rifiuti vegetali provenienti da aree cimiteriali.
La stessa normativa riporta che i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo devono essere smaltiti mediante incenerimento; considerando il totale dei rifiuti prodotti in una struttura ospedaliera, si può stimare che la parte che necessita di essere smaltita mediante incenerimento sia circa il 50%. Sempre secondo detta normativa devono essere avviati allo smaltimento, mediante incenerimento, anche i “farmaci scaduti o inutilizzabili”.
“Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo”, in che senso?
Il rifiuto sanitario a rischio infettivo è una categoria in realtà molto eterogenea. All’interno di questa possiamo avere: materiale che proviene dai laboratori e dai reparti, materiale monouso, residui di medicazioni, piccole parti anatomiche non riconoscibili, garze e altro materiale contaminato da liquidi biologici, sangue, urine e feci, farmaci, etc. La presenza di materiali potenzialmente infetti rende necessario che tali rifiuti siano smaltiti mediante incenerimento, al fine di eliminare anche il rischio infettivo.
Quali sono le tappe dello smaltimento?
Le procedure che si possono adottare nel percorso di smaltimento prevedono anche che questi rifiuti possano essere sottoposti a sterilizzazione, riducendo in questo modo il rischio infettivo. Tale operazione consente di avviare i rifiuti pericolosi a rischio infettivo sterilizzati anche ad impianti di incenerimento autorizzati allo smaltimento di soli rifiuti urbani; in situazioni del tutto particolari i rifiuti ospedalieri sterilizzati potrebbero essere anche avviati a discarica per rifiuti urbani.
Un percorso uguale per tutti oppure ogni tipo di rifiuto ha il suo inceneritore?
Negli ospedali si ha la produzione anche di altre tipologie di rifiuti pericolosi; basti pensare a batterie, reattivi chimici, soluzioni disinfettanti o sterilizzanti, materiale radioattivo, etc. Questa tipologia di rifiuti deve seguire vie specifiche di smaltimento per rifiuti pericolosi a rischio chimico o per rifiuti pericolosi a rischio radioattivo. Se, invece, si tratta di rifiuti non pericolosi che siano simili a quelli urbani – residui dei pasti, purché non provenienti da reparti infettivi, materiale cartaceo dagli uffici, etc. -, tali categorie vanno avviate al circuito dei rifiuti urbani.
La normativa prevede che i rifiuti sanitari a rischio infettivo debbano essere avviati ad incenerimento; gli impianti che possono accogliere tali rifiuti devono essere inceneritori autorizzati per rifiuti speciali o pericolosi e, nel caso di rifiuti ospedalieri sterilizzati, anche impianti per rifiuti urbani. Pertanto lo smaltimento può avvenire in: impianti autorizzati ad hoc per rifiuti ospedalieri, impianti autorizzati per rifiuti urbani che possono incenerire rifiuti ospedalieri purché sterilizzati, impianti autorizzati all’incenerimento di rifiuti urbani e ospedalieri che coinceneriscono le due tipologie contemporaneamente. In questo ultimo caso si applicano particolari precauzioni; i rifiuti ospedalieri vengono dosati in piccole quantità ed arrivano alla camera di combustione separatamente dagli altri rifiuti ed i loro contenitori non possono essere aperti in precedenza.
Quali sono i punti critici riguardo la gestione dei rifiuti sanitari?
Le problematiche nell’incenerimento dei rifiuti sanitari sono simili a quelle che si hanno con rifiuti solidi urbani, tuttavia uno dei problemi particolari è quello della presenza di alcuni prodotti contenenti mercurio che possono essere presenti anche in quantità sensibili. Ad esempio alcune tipologie di pile ad uso specialistico che contengono ancora mercurio, la presenza impropria di lampade fluorescenti e piccole apparecchiature medicali, possono essere fonte di mercurio; farmaci e disinfettanti, anche se in misura del tutto esigua, danno il loro apporto. Il contributo più significativo tuttavia è rappresentato dalla presenza di amalgama dentale proveniente da reparti odontoiatrici e da studi dentistici. La alta concentrazione di mercurio dunque è uno degli aspetti che differenzia maggiormente il rifiuto urbano da quello ospedaliero; questa sostanza richiede una particolare attenzione nella gestione dell’incenerimento. Tuttavia, corrette procedure gestionali e l’utilizzo di sistemi specifici di abbattimento – mezzi assorbenti quali carboni attivi, condensazione, etc. – consentono il rispetto dei limiti di emissione anche con sostanziali margini.
Gli inceneritori e rischi ambientali
Veniamo al punto cruciale: le emissioni possono costituire un rischio per la popolazione?
Tutti gli inceneritori di rifiuti solidi urbani esistenti in Italia sono stati adeguati alla normativa vigente; questo significa che tutti gli impianti dispongono di sistemi di abbattimento specifici per gli inquinanti, da tre a cinque stadi. In particolare gli impianti più recenti presentano cinque sezioni di abbattimento secondo le indicazioni delle migliori tecniche disponibili indicate dalla Unione Europea (UE). Va però sottolineato che la tecnologia di abbattimento consente riduzioni drastiche delle emissioni, ma non esistono impianti o cicli tecnologici ad emissione zero. Questo più che spaventare deve spingere ad una corretta e attenta valutazione di impatto sia per l’ambiente che per la salute umana al fine di valutare la compatibilità di un’opera e di programmare la sorveglianza ambientale e sanitaria. La normativa vigente in questo settore è molto restrittiva, in particolare per quanto riguarda i microinquinanti. Al fine di poter stimare l’esposizione della popolazione e valutarne i conseguenti rischi, è di estrema importanza è anche il monitoraggio in continuo delle emissioni e i rilevamenti nell’ambiente circostante: la sorveglianza di quanto esce dal camino e di quanto ricade nell’ambiente.
Chi fa il controllo ambientale?
Oltre agli autocontrolli ai quali il gestore dell’impianto è sottoposto, il controllo ambientale è demandato alle Agenzie Regionali per la prevenzione e l’ambiente (ARPA), tuttavia in sede di autorizzazione spesso vengono date prescrizioni aggiuntive, rispetto a quelle contenute nella normativa, in particolare per quanto riguarda campagne di rilevamento su matrici ambientali e biologiche. L’ambiente può infatti essere contaminato dalle emissioni di un camino attraverso le ricadute di queste al suolo, in funzione della massa emessa, dei suoi parametri chimici e fisici, dell’altezza del camino, della situazione meteorologica locale, della orografia, etc.
I valori di riferimento per detti controlli sono sia quelli contenuti nella vigente normativa (ad esempio i limiti alle emissione e limiti di qualità dell’aria e su altri matrici) sia le indicazioni e i valori guida della Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’UE. In particolare, per quanto riguarda alcuni composti organoclorurati, quali diossine e policlorobifenili, si considerano valori “tollerabili” di assunzione complessiva di detti composti dalle varie possibili vie di esposizione (inalatoria, alimentare, cutanea).
Misurazioni ambientali, catena alimentare, dati epidemiologici: una valutazione a 360 gradi?
Infatti alcune sostanze persistenti nell’ambiente entrano nella catena alimentare che rappresenta la forma prevalente di assunzione; dunque una stima di rischio deve tenere conto non soltanto di ciò che la popolazione può inalare ma soprattutto di ciò che può mangiare. La sorveglianza ambientale deve consentire soprattutto di individuare l’insorgere di situazioni potenzialmente critiche, prima che si manifestino effetti avversi sulla salute delle popolazione.
Educare al corretto consumo
Più si differenzia, meglio si smaltisce, meno si inquina…
Le Regioni che hanno organizzato in maniera razionale il sistema di gestione dei rifiuti e che hanno alte percentuali di raccolta differenziata, sono quelle che meglio hanno applicato un sistema articolato che considera tutte le possibilità di smaltimento compreso l’incenerimento con recupero energetico. Analogamente nel caso di rifiuti ospedalieri la differenziazione consente di ridurre ai soli rifiuti pericolosi e a rischio infettivo quelli da avviare all’incenerimento.
Ma a monte: meno si consuma, meno si producono rifiuti…
In genere, si osserva che i rifiuti aumentano con l’aumento dei consumi medi delle famiglie, quindi il rifiuto è legato, in una certa misura, alle possibilità economiche e agli stili di vita: più consumiamo beni, più produciamo rifiuti. Tuttavia, andrebbero promossi stili comportamentali e di vita che tengano conto di questi aspetti e consentano di mitigare la produzione e il consumo di materiali destinati a diventare rifiuti.
Diversa è la situazione nel caso della produzione dei rifiuti sanitari, gli aspetti di sicurezza, per il paziente e per gli operatori, e di ottimizzazione delle terapie comportano l’utilizzo sempre maggiore di materiali monouso e quindi l’incremento della produzione dei rifiuti.
Se pensiamo agli “armadietti dei medicinali”, il messaggio non sembra essere stato recepito per i farmaci?
Infatti, un discorso analogo sugli stili di vita corretti può anche essere effettuato per i farmaci; una volta bastava una piccola scatola per contenere tutte le medicine di casa, oggi in genere si ha un intero armadietto per i farmaci inutilizzati. Fermo restando il miglioramento dell’attesa di vita e della qualità della stessa dovuto anche ai farmaci, oggi si deve attuare anche per i farmaci inutilizzati o scaduti una corretta gestione e smaltimento al fine di non produrre effetti dannosi all’ambiente e alla salute della popolazione.
26 marzo 2008
Gli inceneritori presenti in Italia
La produzione nel territorio nazionale di rifiuti solidi urbani (RSU) attualmente risulta essere di circa 32,5 milioni di tonnellate l’anno, con una tendenza ad un leggero aumento rispetto agli anni precedenti. Circa il 24% di questi rifiuti vengono raccolti in maniera differenziata; la quota avviata tal quale in discarica è di circa il 49% e la quota che trova un trattamento mediante incenerimento con recupero energetico è di circa il 10%. In origine la tecnica dell’incenerimento dei rifiuti veniva attuata per ragioni igieniche e per consentire riduzioni di volume e di peso, attualmente a queste motivazioni si sono aggiunte anche quelle del recupero energetico (termico e/o elettrico), grazie anche al sempre maggiore potere calorifico. L’aspetto del recupero energetico risulta importante anche per la mitigazione dell’impatto di questa tipologia di impianti, in quanto consente una riduzione di consumo di combustibili convenzionali, pur considerando che l’obiettivo principale di questo ciclo tecnologico rimane quello dello smaltimento del rifiuto.
Sul territorio nazionale sono presenti 51 impianti di incenerimento per RSU, per rifiuti assimilabili e per rifiuti sanitari (RS), che trattano circa 4,4 Mt/anno di rifiuti con un recupero di energia elettrica di 2626 GWhe e di energia termica di 706 GWht. La loro dislocazione geografica è prevalentemente nel nord del Paese (60%). Negli anni passati gli inceneritori di piccola taglia e obsoleti sono stati dismessi, alcuni sono stati adeguati con l’introduzione di una sezione di recupero energetico e il potenziamento della sezione di abbattimento, gli impianti più recenti sono stati già progettati e costruiti secondo le attuali Best available techniques (BAT).
Gestione articolata dei rifiuti…
Già con il recepimento delle direttive europee emanate negli anni 90′ in materia di gestione dei rifiuti (DLgs 22/1997) si era affermata la strategia basata fondamentalmente su: la prevenzione nella produzione dei rifiuti (minori quantitativi di rifiuti e riduzione della loro pericolosità), il riciclaggio (di materia) e il riuso, il miglioramento dello smaltimento finale e il recupero di energia.
Oltre alla riduzione della produzione dei rifiuti, viene quindi incentivato il recupero, mediante il riciclo di materia e il recupero energetico. Il cittadino/consumatore ha un ruolo fondamentale in questa gestione dei rifiuti, in quanto determina la scelta dei prodotti, che in parte diverranno rifiuti e, con la raccolta differenziata, consente di ridurre le quantità di questi da avviare allo smaltimento. Infatti il rifiuto che non può essere riciclato o riutilizzato come materia, deve essere avviato a smaltimento in discarica o in inceneritore al fine di operare un recupero energetico. Va però rilevato che si nota un continuo aumento nella produzione dei rifiuti solidi urbani nel territorio nazionale; attualmente la produzione annuale di rifiuti risulta essere di circa 550 kg per persona, con una tendenza ad un leggero aumento rispetto agli anni precedenti (11 kg rispetto al 2005).
La raccolta differenziata risulta particolarmente utile in quanto consente e semplifica la possibilità di riutilizzare e riciclare i materiali, riducendo anche i consumi energetici per la produzione di materiale vergine. Importante è anche una corretta raccolta separata dell’umido, ossia la parte organica dei residui alimentari, che consente la produzione di ammendanti per l’agricoltura (compost). La raccolta differenziata presso i mercati agricoli consente l’avvio di materiale organico selezionato al compostaggio, garantendo in tal modo il prodotto finale da contaminazioni improprie che si rifletterebbero sulla catena alimentare.
Il rifiuto urbano residuale da raccolta differenziata, in alcuni casi subisce un trattamento meccanico biologico, ovvero la divisione dell’ “umido” (parte prevalentemente organica) dal “secco” (parte prevalentemente inorganica ad alto potere calorifico). In questo caso la frazione organica non possiede i requisiti per la produzione di un compost di qualità e viene stabilizzata ed in genere avviata in discarica salvo altri usi particolari, la parte secca può essere avviata tal quale o dopo successivi trattamenti al recupero energetico mediante incenerimento. Altra scelta possibile è invece quella di avviare ad incenerimento con recupero energetico, tutto il residuale che rimane dalla raccolta differenziata senza alcun ulteriore trattamento preliminare.
Sui percorsi “invisibili” dei farmaci