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Rimborsare l’omeopatia?

Sono molti gli italiani che ricorrono alle cure omeopatiche: un’indagine Doxa presentata nel 2005 riferiva di otto mila medici omeopati e di circa undici milioni di consumatori. La definizione dei Lea ha escluso l’omeopatia tra le specialità mediche soggette a rimborsabilità delle prestazioni dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN), eppure molte strutture del SSN hanno aperto ambulatori pubblici di omeopatia. L’utilizzo diffuso non è di certo un indice di efficacia, ma anche alla luce di quei dati viene da chiedersi: è giusto che i farmaci omeopatici siano rimborsabili dal SSN?

Gino Santini, docente di Omeopatia, Università di Chieti

Il SSN segue regole semplici e precise per concedere il rimborso dei farmaci: la terapia deve essere efficace verso la patologia per la quale è prescritta; per questo motivo ogni molecola viene sperimentata secondo canoni e protocolli rigidamente codificati.
Seguendo questa strada, apparentemente ineccepibile dal punto di vista metodologico, il SSN effettua le sue scelte, integrate anche da più recenti parametri farmacoeconomici; lo scopo è quello di arrivare ad esprimere un giudizio il più possibile oggettivo e asettico sull’efficacia di una molecola o di una terapia, partendo dal presupposto che la medicina sia una scienza esatta e codificabile. Con questo metro diventa difficile (almeno apparentemente) effettuare misurazioni di efficacia di terapie che, come l’omeopatia, partono dall’essere umano come individuo complesso e dinamicamente difficile da cristallizzare in modelli rigidi e oggettivi. Questi ultimi, indiscutibilmente validi nel caso di problematiche acute, sono poco praticabili nel decifrare patologie croniche, per le quali l’omeopatia fornisce numerosi modelli e strategie terapeutiche da integrare a quelle convenzionali.
I dati clinici relativi all’efficacia dell’omeopatia, finora limitati a frammentati studi osservazionali (a causa delle limitate risorse impegnate), cominciano ad essere disponibili anche secondo le rigide norme dell’EBM: ulteriori conferme possono essere raccolte presso le strutture sanitarie pubbliche che hanno aperto ambulatori omeopatici. Sono queste, a tutti gli effetti, le sedi più appropriate per un laboratorio di confronto tra i pensieri della medicina, di valutazione accurata dell’utilità di offerte sanitarie integrate, di verifica dell’efficacia attraverso ricerche scientifiche, nonché una struttura di garanzia in termini di professionalità e accuratezza delle prestazioni.

Stefano Cagliano, autore di "Guarire dall’omeopatia", Ospedale Civile San Paolo, Civitavecchia

Anche solo il buon senso dovrebbe suggerire a un sistema sanitario nazionale di rimborsare le cure che hanno dimostrato di essere efficaci. A questo principio si è ispirata, per esempio, la riclassificazione dei farmaci in fasce rimborsabili e non dopo la scandalo Poggiolini nella prima metà degli anni Novanta. E lo stesso principio guida la registrazione di farmaci nuovi in ogni Paese occidentale. Non si vede perché si dovrebbe agire in maniera diversa per l’omeopatia. E, allora, in base a quali prove di efficacia questa cura alternativa dovrebbe rivendicare la rimborsabilità? Non sembra ce ne siano granché.
Sono 150 anni che riviste più o meno quotate producono ricerche cliniche sull’efficacia clinica di questa illusione alternativa, ma sinora all’orizzonte non è emerso nulla di convincente, almeno in termini di EBM. Per esempio, non è cambiato nulla dal 1994 quando il movimento statunitense National Council Against Health Fraud scrisse in un documento che "l’omeopatia risponde alla definizione di ciarlataneria della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti", ovverosia si tratta della "promozione di teorie e rimedi medici falsi o non provati al solo scopo di trarne profitto". Considerato il vuoto pneumatico di prove serie di efficacia, in un editoriale della rivista Lancet nel 2005, Richard Holton arrivò a parlare di fine dell’omeopatia. Secondo l’editorialista già due anni fa avremmo dovuto essere arrivati al break-even del successo e della popolarità dell’omeopatia, almeno stando alla quantità di RCT, revisioni sistematiche e metanalisi prodotte.
Il fatto che parte dei cittadini – e di medici, farmacisti e della totalità dell’industria omeopatica – reclamino la rimborsabilità non credo sia un’argomentazione sufficiente. Sia perché lo stesso potrebbe avvenire allora per tanti farmaci considerati inefficaci in base a prove di efficacia, ma utilizzatissimi da molti medici e cittadini bramosi di cure, sia perché non si vede perché il fondo del SSN finanziato da tutti i cittadini dovrebbe spendere soldi per cure scelte in base a scelte personali, se non addirittura arbitrarie. Come ricorda Holton, portando in campo Kant, le cose purtroppo non sono o non ci paiono come sono, ma come siamo noi, ovvero come vorremmo che fossero. Se non ci fossero mode terapeutiche, o se in caso di malattia, le muse cui ispirarsi fossero Cochrane o Sackett l’omeopatia sarebbe finita, ormai da un pezzo.

Roberto Banfi, direttore del Dipartimento del farmaco, Azienda USL 11 di Empoli

Ho letto con interesse le due opinioni sulla rimborsabilità dei prodotti omeopatici da parte del SSN.
Certamente, e qui non c’è dubbio, la rimborsabilità deve essere correlata all’efficacia, cioè alle evidenze scientifiche. Quando un medico prescrive un farmaco antipertensivo o antidiabetico, sa che quel farmaco si è dimostrato efficace per quella patologia su milioni di pazienti come quello che sta visitando. È stato detto che "quello che distingue la medicina ufficiale da quella alternativa, sono le prove di efficacia, cioè le evidenze". E questo dovrebbe chiudere il discorso.
Ma è anche vero che ci sono ancora farmaci della medicina ufficiale che, a tutt’oggi, non hanno ancora evidenze, o addirittura farmaci di cui non è ben chiaro il meccanismo di azione: però non sono a carico del SSN. Credo che il SSN debba garantire solo ciò che è provato essere efficace. E questo perché deve garantire ai cittadini la efficacia, ma anche la sicurezza di quel  farmaco o di quella terapia.
Ma come dicono di noi gli anglosassoni: la razionalità, la medicina basata sull’evidenza, può fare poco quando argomenti come questi catturano l’immaginazione della gente comune e dei politici.
Siamo un popolo di cultura mediterranea, di miracolisti, aspettiamo sempre la vincita al lotto, teniamo sempre per gli indiani perché più deboli, e ci aspettiamo sempre la cura miracolosa, come "Le lacrime della Madonna" per il diabete giovanile(1). Allora si apre un nuovo scenario e si entra in un campo estremamente interessante che Montastruc chiama "Farmacologia sociale" (2), un nuovo settore della farmacologia che analizza anche le non-malattie, i non-farmaci ed il fenomeno sociale nel suo complesso.
In letteratura si parla sempre più spesso di CAM (Complementary and Alternative Medicines), e l’omeopatia è compresa in questa tipologia. Ma, mi perdoni Santini, non ci si può basare sulle impressioni e sulle esperienze personali, bisogna invece essere oggettivi e rigidi nel valutare l’efficacia dei trattamenti. Perché? Lo spiego subito: tra le CAM, sono comprese oltre all’omeopatia, anche la pranoterapia, l’aromaterapia e la preghiera. Non voglio entrare nel merito dell’efficacia clinica della preghiera (3, 4, 5), ma credo che l’omeopatia debba decidere dove stare. Se vuole stare nel campo delle malattie importanti (diabete, epilessia, asma, dermatite atopica, ecc.), allora, ci vogliono le evidenze; se invece si colloca nel settore delle patologie che necessitano di farmaci di conforto, allora, come per la preghiera, non servono le prove cliniche e non serve essere a carico del SSN. Basta crederci.

 

30 maggio 2007

Bibliografia

  1. Vanelli M, Chiari G, Gugliotta M, Capuano C, Giacalone T, Gruppi L, Condo M.: [Diabetes and alternative medicine: diabetic patients experiences withAyur-Ved, "clinical ecology" and "cellular nutrition" methods] Minerva Pediatr 2002; 54: 165-9.
  2. Mbongue TB, Sommet A, Pathak A, Montastruc JL.:“Medicamentation" of society, non-diseases and non-medications: a point of view from social pharmacology. Eur J Clin Pharmacol. 2005; 61: 309-13.
  3. Rosenbaum CC.  The role of the pharmacist–prayer and spirituality in healing. Ann Pharmacother 2007; 41: 505-7. Epub 2007 Mar 6.
  4. Liow K, Ablah E, Nguyen JC, Sadler T, Wolfe D, Tran KD, Guo L, Hoang T.: Pattern and frequency of use of complementary and alternative medicine among patients with epilepsy in the midwestern United States. Epilepsy Behav 2007; 10: 576-82. Epub 2007 Apr 24.
  5. Jones JF, Maloney EM, Boneva R, Jones AB, Reeves WC.: Complementary and Alternative Medical Therapy Utilization by People with Chronic Fatiguing Illnesses in the United States. BMC Complement Altern Med 2007; 7: 12.

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