Per il giornalista Piero Ottone il medico serio si vede anche dalla ricevuta. "Il medico che firma e consegna la ricevuta di sua iniziativa, come se fosse la cosa più naturale del mondo, è una persona che antepone la serietà al guadagno. Colui che dà la ricevuta solo a richiesta è, al contrario, una persona che antepone il guadagno alla serietà. E questa è una differenza caratteriale: non è una una prova di bravura, né di diverso impegno della prestazione, però è l’indice di una diversa visione della vita. Che può avere, in determinate circostanze, qualche conseguenza sul destino." (Il Venerdì di La Repubblica)
Pier Luigi Giorgi, professore emerito di Clinica pediatrica dell’Univesità di Ancona, è d’accordo con le affermazioni di Piero Ottone. "Ne condivido il significato. Aggiungo che fino dagli anni ’90 esiste un DPR che recita: ‘Il medico deve rilasciare fattura , indipendentemente dalla richiesta da parte del paziente, al momento del pagamento’. Si può discutere sul piano sociale ed economico, ma non su quello morale. Quid leges sine moribus vanae proficiunt?, citava Orazio".
Fidarsi è bene, non fidarsi del medico evasore è…? Rispondono Giorgio Cosmacini, storico della medicina, e Massimo Cozza segretario nazionale Fp Cgil Medici.
Giorgio Cosmacini, docente di Storia del pensiero medico, Università Vita-Salute San Raffaele di Milano
Da un punto di vista generale, possiamo prendere le mosse dal rapporto del medico con il denaro. Socrate, nell’ultimo discorso agli amici, nel Fedone di Platone, dice: "Ricordatevi di portare un gallo ad Asclepio e non ve ne dimenticate"; il gallo ad Asclepio era l’obolo in natura che chi andava dallo iatròs, cioè dal medico, doveva portare. A seconda delle possibilità di colui che richiedeva le cure,il dono poteva essere un gallo o qualcosa di più prezioso, ma anche nulla. Questo rapporto, nella Grecia antica, assunse un significato non soltanto privato, ma anche pubblico nel senso che il medico usufruiva dello iatricòn, cioè di un obolo che veniva corrisposto dalla pòlis. Non necessariamente era un obolo monetario, ma poteva essere per esempio la concessione in comodato d’uso o in usufrutto della bottega, oppure la richiesta di prestazione in cambio del diritto di cittadinanza, che consentiva l’esercizio professionale.
Questo rapporto si è conservato; in altre parole, sin dall’antichità era previsto che l’esercizio del mestiere comportasse una retribuzione. Anche se la figura del medico è stata ammantata di molti miti, tuttavia questo era un fatto riconosciuto, tanto è vero che Pindaro, nella terza Ode Pitica, dice una cosa bellissima: "Perfino Asclepio, il semidio della medicina, fu posto in errore dal guadagno"; dunque, anche il semidio ebbe la tentazione di posporre l’attività curante a quella di lucro. Da qui si innestò nei secoli tutta una letteratura iatrocritica e iatrofobica: per esempio, Catone il censore spara a zero sui medici, anche perché lui sosteneva una medicina romana patriarcale, familiare e arcaica, quasi popolare, contrapposta ad una medicina tecnica (da techn) importata dalla Grecia. E arriviamo fino al nostro Francesco Petrarca, il quale, riferendosi all’uroscopia (un esame di laboratorio che consisteva nel guardare l’urina nella matula, valutandone il colore, le sedimentazioni, per fare diagnosi di malattia attraverso tutta una semeiotica uroscopica), diceva che il medico spesso era disturbato nell’esame uroscopico, in quanto il giallore dell’urina veniva obliterato dal giallore del denaro.
Nel Cinquecento, si iniziano ad abbozzare le prime condotte mediche e i medici venivano "condotti curare pauperes sine mercede", cioè condotti a curare i poveri senza mercede, che non vuol dire senza denaro, ma senza essere retribuiti in denaro dai poveri, perché il Comune corrispondeva il denaro per conto dei poveri. Esistevano, infatti, delle liste di povertà, sancite dal parroco o dal sindaco; spesso, però, succedeva che, per non pagare il medico, chi povero non era si infilava in queste liste; il medico che non stava al gioco e denunciava chi andava da lui senza averne diritto, veniva poi accusato di essere esoso. Nella dinamica di questi rapporti si muovevano anche i medici ebrei; erano molto bravi, forse più bravi dei cristiani, perché erano più dotti e leggevano di più. Ma non solo: essendo malvisti in quanto deicidi, per legittimarsi nelle comunità, loro che erano bravi e quindi ambiti, giocavano al ribasso, cioè costavano meno, determinando una forte concorrenza.
Negli Statuti medievali di molte città d’Italia, come per esempio Bologna, c’era un patto di guarigione, definito "Promessa di guarigione", di cui si è occupata una storica, Gianna Pomata, che ha pubblicato un libro con l’editore Laterza, proprio intitolato "Promessa di Guarigione"; in tali Statuti risulta che il medico ed il paziente concordano "tu mi paghi se io ti guarisco". L’inghippo era che il paziente non doveva pagare tutto alla fine, ma a metà della cura doveva rendere una prima tranche e alla fine il resto. A metà della cura tutti pagavano perché dovevano completare il trattamento; se la cura non andava a buon fine, nessuno pagava più, ma il medico, in realtà, era stato già strapagato. Era un espediente per lucrare. Bernardino Ramazzini, un grande medico che nel Settecento scrisse il trattato sulle malattie dei lavoratori, criticando la propria categoria diceva che molti colleghi non tornavano a casa lieti alla sera se non avevano "gli scartozzini pieni di zecchini". Questo per sottolineare il lucro che specialmente i soloni della medicina spesso ricercavano. Il rapporto privato, infatti, era riservato soprattutto ai clienti più abbienti; per i ceti meno abbienti il rapporto era gestito dai Comuni o affidato al buon cuore di chi veniva curato.
Nel ‘700 e nell’800 inizia la fioritura dei galatei medici, che sono degli scritti di deontologia medica che si soffermano proprio sul comportamento del medico e non afferiscono soltanto alla scienza, che è quello che il medico deve sapere, quanto a come il medico si deve comportare. Questo problema della retribuzione nei galatei è inesistente, non viene affrontato, perché si dà per scontato che il medico che deve vestire in un certo modo, che deve parlare in un certo modo, che deve comportarsi in questo o quest’altro modo. Si considera che il medico debba svolgere una missione e quindi, la faccenda del guadagno è del tutto secondaria. Nell’antichità Galeno aveva teorizzato il "medicus gratiosus", che non vuol dire soltanto medico aggraziato e affabile, ma anche gratuito. Il medico gratuito da Galeno era però concepito come un medico altolocato, un medico di corte, dove il ritorno economico sarebbe stato comunque ridondante, anche se avesse prestato la sua opera in modo gratuito. Il problema economico torna di attualità quando il medico diventa pubblico.
In Italia, dopo l’Unità, vengono istituite le condotte mediche e i medici strutturati. Questi devono crearsi una loro identità retributiva e rivendicativa nei confronti del Comune, della cosa pubblica, discriminando tra pubblico e privato. La questione economica allora riemerge e si trascina per tutto il Novecento. Nel 1910 nascono gli Ordini dei Medici, che dovrebbero costituire la coscienza sanitaria della nazione, la tutela contro gli esercenti in modo abusivo la professione, ma in realtà si orientano subito verso un’attitudine rivendicativa: ottenere migliori retribuzioni, non essere prevaricati da organi che non siano sanitari, come per esempio i burocrati e gli amministratori. Da qui nasce il mito della libera professione, da molti intesa come una professione libera da vincoli ideologici o istituzionali. Per molti la libera professione viene intesa come libera da vincoli di natura economica, come la libertà di fare ciò che si vuole, dunque come la professione "licenziosa".
Ma un conto è la libertà, un altro è la licenza nella professione; un conto è il piano legale, un altro quello morale. Legalmente la professione può essere esercitata in modo lucrativo e sarà sempre possibile trovare delle scappatoie per dimostrare che l’attività è legale ed un legale che dimostri che il medico è in buona fede e che il lavoro del medico è degno di un’alta retribuzione. Spesso contenziosi di questo genere tra medico e paziente sono stati risolti a vantaggio del medico anche perché spesso la legge ha tutelato più il medico. La morale del medico è un fattore che non ha un metro di misura: o ce l’ha il medico nella sua coscienza o non può essere oggettivato da una legge, da uno ius, da una norma, in quanto coincide con una norma interiore ed è ciò che io chiamo la religiosità del medico. Questa religiosità antropologica è sostanzialmente la voce della coscienza, che ha attraversato la medicina dalle sue origini più remote, ippocratiche, sino ad oggi.
Veniamo, quindi, al dunque: evadere le tasse. L’evasione è un reato e perché un medico dovrebbe evadere le tasse? Per difendersi da un’eccessiva tassazione? Ma può essere il medico arbitro del fatto che la tassazione è eccessiva? Se lo Stato, che è interpretato dalla politica, esprime un’etica della pòlis, allora, il medico che in prima persona deve essere depositario di un’etica sua propria, non può porsi in antitesi con quell’etica. L’evasione fiscale è riprovevole e riprovevole è chi evade facendo false fatturazioni o non facendo la ricevuta. La medicina è una pratica basata sulla scienza, ma esercitata in un mondo di valori. Un medico può esercitare la professione in modo tecnico-scientifico corretto, ma se non la esercita in modo valoriale, non è un vero medico. Il medico è tenuto ad un rigore morale e proprio questo io credo che manchi nella professione. In tutti i tempi ed in varie forme è esistito il problema del lucro da parte del medico; il fatto stesso che nei secoli sia stato sentito il bisogno di modificare, di aggiornare il codice deontologico, dal primo Codice di Sassari del 1910, nell’arco di un secolo gli interventi di modifica e aggiornamento sono stati numerosi. Il Codice, infatti, viene revisionato in base a due coordinate: una è quella tecnica-scientifica e l’altra è quella sociale; una cosa era la medicina dei primi del ‘900 ed un’altra è quella dei primi del Duemila, ma quello che sostanzialmente non cambia storicamente, ma è perenne, è l’ètos, che rimane quello originario. Quando Ippocrate ha fondato la medicina, l’ha fondata come un sapere autonomo e coerente compreso fra la religiosità degli asclepiadi, interpreti del sacro e i filosofi, i fisiologi, gli interpreti della natura. La medicina era un sapere compiuto che aveva una sua concezione scientifica dell’uomo e del mondo, ma anche un suo patrimonio di valori. Tale patrimonio è passato attraverso il Cristianesimo, che lo ha rinnovato ed arricchito, è passato attraverso il Rinascimento e l’Illuminismo, ma è rimasto lo zoccolo duro della professione. Tutto quanto vada contro questo complesso di valori, se anche possa avere delle giustificazioni contingenti, non può tuttavia essere convalidato.
Massimo Cozza, segretario Nazionale Fp Cgil Medici
Il cittadino che si rivolge al medico in attività libero professionale si trova in una situazione di bisogno per la sua salute. E come è ormai esperienza comune e scientificamente consolidata, è quando si sta male che la salute diventa il primo obbiettivo di vita, di fronte al quale si è disposti anche a sorvolare su questioni sia di principio che economiche, che invece andrebbero sempre considerate. In sostanza la persona con problemi di salute si trova in una situazione di debolezza contrattuale, purtroppo aggravata dalla complessa situazione delle liste di attesa nel pubblico.
Diventa allora fondamentale un rapporto di fiducia con il medico che parte dalla trasparenza e correttezza dei comportamenti. A maggior ragione quando il cittadino si trova a doversi rivolgere in libera professione, intramuraria o extramuraria, allo stesso medico che lavora nella sanità pubblica.
In questo ambito, la questione dell’onorario diventa il biglietto da visita del professionista.
Il codice deontologico afferma che l’onorario, fermo restando il principio dell’intesa diretta tra medico e cittadino e nel decoro professionale, deve essere commisurato alla difficoltà, alla complessità e alla qualità della prestazione, tenendo conto delle competenze e dei mezzi impegnati. E soprattutto afferma che il medico è tenuto a far conoscere il suo onorario preventivamente al cittadino.
Il codice non affronta il tema della ricevuta, essendo già regolamentata da normative generali che interessano le prestazioni professionali. Prima dell’onorario e della ricevuta, il medico è tenuto a giurare di affidare la sua reputazione professionale esclusivamente alla sua competenza ed alle sue doti morali, così come riportato nell’aggiornamento del Giuramento di Ippocrate. Ebbene il rilascio della ricevuta rientra senz’altro nell’ambito delle doti morali, che lo stesso codice collega alla competenza ed alla reputazione.
La serietà del medico difficilmente può essere disgiunta tra capacità professionali e priorità di guadagno. La medicina non è una scienza esatta e certa, e le probabilità di una diagnosi e di una cura appropriata sono dipendenti in parte rilevante dalle capacità e dall’etica del medico. Ma se questa ultima è carente, come si può evincere dalla mancanza di una spontanea consegna della ricevuta, vi sono forti perplessità anche rispetto alle decisioni diagnostiche e terapeutiche, che possono avere diverse ricadute sul guadagno dello stesso medico. Basti pensare alle indicazioni rispetto a quali terapie intraprendere, a quale tipo di intervento sottoporsi, o alla necessità di ritornare per più controlli. Se a guidare il medico è la bussola del guadagno, sono probabili ricadute negative sulla appropriatezza dei percorsi clinici.
Vi è inoltre da considerare che in diversi ambiti della medicina ancora non sussistono linee-guida condivise dalla comunità scientifica, e che anche dove lo sono la storia clinica della persona è unica, ed il rapporto di fiducia e di collaborazione tra medico e paziente diventa elemento fondante per le decisioni riguardanti la cura.
In definitiva il medico conserva, anche alla luce degli attuali progressi scientifici, una sua autonomia ed una sua responsabilità nelle scelte che sono spesso condivise con il cittadino, che è in grado molto parzialmente di poter dare un suo parere tecnico. Ancora oggi molto si gioca pertanto sul rapporto di fiducia. E se un medico non consegna spontaneamente la ricevuta, è certamente lecito dubitare anche sulla sua serietà professionale.
2 maggio 2007
In primo piano
Se il medico evade le tasse…
Per il giornalista Piero Ottone il medico serio si vede anche dalla ricevuta. "Il medico che firma e consegna la ricevuta di sua iniziativa, come se fosse la cosa più naturale del mondo, è una persona che antepone la serietà al guadagno. Colui che dà la ricevuta solo a richiesta è, al contrario, una persona che antepone il guadagno alla serietà. E questa è una differenza caratteriale: non è una una prova di bravura, né di diverso impegno della prestazione, però è l’indice di una diversa visione della vita. Che può avere, in determinate circostanze, qualche conseguenza sul destino." (Il Venerdì di La Repubblica)
Pier Luigi Giorgi, professore emerito di Clinica pediatrica dell’Univesità di Ancona, è d’accordo con le affermazioni di Piero Ottone. "Ne condivido il significato. Aggiungo che fino dagli anni ’90 esiste un DPR che recita: ‘Il medico deve rilasciare fattura , indipendentemente dalla richiesta da parte del paziente, al momento del pagamento’. Si può discutere sul piano sociale ed economico, ma non su quello morale. Quid leges sine moribus vanae proficiunt?, citava Orazio".
Giorgio Cosmacini, docente di Storia del pensiero medico, Università Vita-Salute San Raffaele di Milano
Da un punto di vista generale, possiamo prendere le mosse dal rapporto del medico con il denaro. Socrate, nell’ultimo discorso agli amici, nel Fedone di Platone, dice: "Ricordatevi di portare un gallo ad Asclepio e non ve ne dimenticate"; il gallo ad Asclepio era l’obolo in natura che chi andava dallo iatròs, cioè dal medico, doveva portare. A seconda delle possibilità di colui che richiedeva le cure,il dono poteva essere un gallo o qualcosa di più prezioso, ma anche nulla. Questo rapporto, nella Grecia antica, assunse un significato non soltanto privato, ma anche pubblico nel senso che il medico usufruiva dello iatricòn, cioè di un obolo che veniva corrisposto dalla pòlis. Non necessariamente era un obolo monetario, ma poteva essere per esempio la concessione in comodato d’uso o in usufrutto della bottega, oppure la richiesta di prestazione in cambio del diritto di cittadinanza, che consentiva l’esercizio professionale.
Questo rapporto si è conservato; in altre parole, sin dall’antichità era previsto che l’esercizio del mestiere comportasse una retribuzione. Anche se la figura del medico è stata ammantata di molti miti, tuttavia questo era un fatto riconosciuto, tanto è vero che Pindaro, nella terza Ode Pitica, dice una cosa bellissima: "Perfino Asclepio, il semidio della medicina, fu posto in errore dal guadagno"; dunque, anche il semidio ebbe la tentazione di posporre l’attività curante a quella di lucro. Da qui si innestò nei secoli tutta una letteratura iatrocritica e iatrofobica: per esempio, Catone il censore spara a zero sui medici, anche perché lui sosteneva una medicina romana patriarcale, familiare e arcaica, quasi popolare, contrapposta ad una medicina tecnica (da techn) importata dalla Grecia. E arriviamo fino al nostro Francesco Petrarca, il quale, riferendosi all’uroscopia (un esame di laboratorio che consisteva nel guardare l’urina nella matula, valutandone il colore, le sedimentazioni, per fare diagnosi di malattia attraverso tutta una semeiotica uroscopica), diceva che il medico spesso era disturbato nell’esame uroscopico, in quanto il giallore dell’urina veniva obliterato dal giallore del denaro.
Nel Cinquecento, si iniziano ad abbozzare le prime condotte mediche e i medici venivano "condotti curare pauperes sine mercede", cioè condotti a curare i poveri senza mercede, che non vuol dire senza denaro, ma senza essere retribuiti in denaro dai poveri, perché il Comune corrispondeva il denaro per conto dei poveri. Esistevano, infatti, delle liste di povertà, sancite dal parroco o dal sindaco; spesso, però, succedeva che, per non pagare il medico, chi povero non era si infilava in queste liste; il medico che non stava al gioco e denunciava chi andava da lui senza averne diritto, veniva poi accusato di essere esoso. Nella dinamica di questi rapporti si muovevano anche i medici ebrei; erano molto bravi, forse più bravi dei cristiani, perché erano più dotti e leggevano di più. Ma non solo: essendo malvisti in quanto deicidi, per legittimarsi nelle comunità, loro che erano bravi e quindi ambiti, giocavano al ribasso, cioè costavano meno, determinando una forte concorrenza.
Negli Statuti medievali di molte città d’Italia, come per esempio Bologna, c’era un patto di guarigione, definito "Promessa di guarigione", di cui si è occupata una storica, Gianna Pomata, che ha pubblicato un libro con l’editore Laterza, proprio intitolato "Promessa di Guarigione"; in tali Statuti risulta che il medico ed il paziente concordano "tu mi paghi se io ti guarisco". L’inghippo era che il paziente non doveva pagare tutto alla fine, ma a metà della cura doveva rendere una prima tranche e alla fine il resto. A metà della cura tutti pagavano perché dovevano completare il trattamento; se la cura non andava a buon fine, nessuno pagava più, ma il medico, in realtà, era stato già strapagato. Era un espediente per lucrare. Bernardino Ramazzini, un grande medico che nel Settecento scrisse il trattato sulle malattie dei lavoratori, criticando la propria categoria diceva che molti colleghi non tornavano a casa lieti alla sera se non avevano "gli scartozzini pieni di zecchini". Questo per sottolineare il lucro che specialmente i soloni della medicina spesso ricercavano. Il rapporto privato, infatti, era riservato soprattutto ai clienti più abbienti; per i ceti meno abbienti il rapporto era gestito dai Comuni o affidato al buon cuore di chi veniva curato.
Nel ‘700 e nell’800 inizia la fioritura dei galatei medici, che sono degli scritti di deontologia medica che si soffermano proprio sul comportamento del medico e non afferiscono soltanto alla scienza, che è quello che il medico deve sapere, quanto a come il medico si deve comportare. Questo problema della retribuzione nei galatei è inesistente, non viene affrontato, perché si dà per scontato che il medico che deve vestire in un certo modo, che deve parlare in un certo modo, che deve comportarsi in questo o quest’altro modo. Si considera che il medico debba svolgere una missione e quindi, la faccenda del guadagno è del tutto secondaria. Nell’antichità Galeno aveva teorizzato il "medicus gratiosus", che non vuol dire soltanto medico aggraziato e affabile, ma anche gratuito. Il medico gratuito da Galeno era però concepito come un medico altolocato, un medico di corte, dove il ritorno economico sarebbe stato comunque ridondante, anche se avesse prestato la sua opera in modo gratuito. Il problema economico torna di attualità quando il medico diventa pubblico.
In Italia, dopo l’Unità, vengono istituite le condotte mediche e i medici strutturati. Questi devono crearsi una loro identità retributiva e rivendicativa nei confronti del Comune, della cosa pubblica, discriminando tra pubblico e privato. La questione economica allora riemerge e si trascina per tutto il Novecento. Nel 1910 nascono gli Ordini dei Medici, che dovrebbero costituire la coscienza sanitaria della nazione, la tutela contro gli esercenti in modo abusivo la professione, ma in realtà si orientano subito verso un’attitudine rivendicativa: ottenere migliori retribuzioni, non essere prevaricati da organi che non siano sanitari, come per esempio i burocrati e gli amministratori. Da qui nasce il mito della libera professione, da molti intesa come una professione libera da vincoli ideologici o istituzionali. Per molti la libera professione viene intesa come libera da vincoli di natura economica, come la libertà di fare ciò che si vuole, dunque come la professione "licenziosa".
Ma un conto è la libertà, un altro è la licenza nella professione; un conto è il piano legale, un altro quello morale. Legalmente la professione può essere esercitata in modo lucrativo e sarà sempre possibile trovare delle scappatoie per dimostrare che l’attività è legale ed un legale che dimostri che il medico è in buona fede e che il lavoro del medico è degno di un’alta retribuzione. Spesso contenziosi di questo genere tra medico e paziente sono stati risolti a vantaggio del medico anche perché spesso la legge ha tutelato più il medico. La morale del medico è un fattore che non ha un metro di misura: o ce l’ha il medico nella sua coscienza o non può essere oggettivato da una legge, da uno ius, da una norma, in quanto coincide con una norma interiore ed è ciò che io chiamo la religiosità del medico. Questa religiosità antropologica è sostanzialmente la voce della coscienza, che ha attraversato la medicina dalle sue origini più remote, ippocratiche, sino ad oggi.
Veniamo, quindi, al dunque: evadere le tasse. L’evasione è un reato e perché un medico dovrebbe evadere le tasse? Per difendersi da un’eccessiva tassazione? Ma può essere il medico arbitro del fatto che la tassazione è eccessiva? Se lo Stato, che è interpretato dalla politica, esprime un’etica della pòlis, allora, il medico che in prima persona deve essere depositario di un’etica sua propria, non può porsi in antitesi con quell’etica. L’evasione fiscale è riprovevole e riprovevole è chi evade facendo false fatturazioni o non facendo la ricevuta. La medicina è una pratica basata sulla scienza, ma esercitata in un mondo di valori. Un medico può esercitare la professione in modo tecnico-scientifico corretto, ma se non la esercita in modo valoriale, non è un vero medico. Il medico è tenuto ad un rigore morale e proprio questo io credo che manchi nella professione. In tutti i tempi ed in varie forme è esistito il problema del lucro da parte del medico; il fatto stesso che nei secoli sia stato sentito il bisogno di modificare, di aggiornare il codice deontologico, dal primo Codice di Sassari del 1910, nell’arco di un secolo gli interventi di modifica e aggiornamento sono stati numerosi. Il Codice, infatti, viene revisionato in base a due coordinate: una è quella tecnica-scientifica e l’altra è quella sociale; una cosa era la medicina dei primi del ‘900 ed un’altra è quella dei primi del Duemila, ma quello che sostanzialmente non cambia storicamente, ma è perenne, è l’ètos, che rimane quello originario. Quando Ippocrate ha fondato la medicina, l’ha fondata come un sapere autonomo e coerente compreso fra la religiosità degli asclepiadi, interpreti del sacro e i filosofi, i fisiologi, gli interpreti della natura. La medicina era un sapere compiuto che aveva una sua concezione scientifica dell’uomo e del mondo, ma anche un suo patrimonio di valori. Tale patrimonio è passato attraverso il Cristianesimo, che lo ha rinnovato ed arricchito, è passato attraverso il Rinascimento e l’Illuminismo, ma è rimasto lo zoccolo duro della professione. Tutto quanto vada contro questo complesso di valori, se anche possa avere delle giustificazioni contingenti, non può tuttavia essere convalidato.
Massimo Cozza, segretario Nazionale Fp Cgil Medici
Il cittadino che si rivolge al medico in attività libero professionale si trova in una situazione di bisogno per la sua salute. E come è ormai esperienza comune e scientificamente consolidata, è quando si sta male che la salute diventa il primo obbiettivo di vita, di fronte al quale si è disposti anche a sorvolare su questioni sia di principio che economiche, che invece andrebbero sempre considerate. In sostanza la persona con problemi di salute si trova in una situazione di debolezza contrattuale, purtroppo aggravata dalla complessa situazione delle liste di attesa nel pubblico.
Diventa allora fondamentale un rapporto di fiducia con il medico che parte dalla trasparenza e correttezza dei comportamenti. A maggior ragione quando il cittadino si trova a doversi rivolgere in libera professione, intramuraria o extramuraria, allo stesso medico che lavora nella sanità pubblica.
In questo ambito, la questione dell’onorario diventa il biglietto da visita del professionista.
Il codice deontologico afferma che l’onorario, fermo restando il principio dell’intesa diretta tra medico e cittadino e nel decoro professionale, deve essere commisurato alla difficoltà, alla complessità e alla qualità della prestazione, tenendo conto delle competenze e dei mezzi impegnati. E soprattutto afferma che il medico è tenuto a far conoscere il suo onorario preventivamente al cittadino.
Il codice non affronta il tema della ricevuta, essendo già regolamentata da normative generali che interessano le prestazioni professionali. Prima dell’onorario e della ricevuta, il medico è tenuto a giurare di affidare la sua reputazione professionale esclusivamente alla sua competenza ed alle sue doti morali, così come riportato nell’aggiornamento del Giuramento di Ippocrate. Ebbene il rilascio della ricevuta rientra senz’altro nell’ambito delle doti morali, che lo stesso codice collega alla competenza ed alla reputazione.
La serietà del medico difficilmente può essere disgiunta tra capacità professionali e priorità di guadagno. La medicina non è una scienza esatta e certa, e le probabilità di una diagnosi e di una cura appropriata sono dipendenti in parte rilevante dalle capacità e dall’etica del medico. Ma se questa ultima è carente, come si può evincere dalla mancanza di una spontanea consegna della ricevuta, vi sono forti perplessità anche rispetto alle decisioni diagnostiche e terapeutiche, che possono avere diverse ricadute sul guadagno dello stesso medico. Basti pensare alle indicazioni rispetto a quali terapie intraprendere, a quale tipo di intervento sottoporsi, o alla necessità di ritornare per più controlli. Se a guidare il medico è la bussola del guadagno, sono probabili ricadute negative sulla appropriatezza dei percorsi clinici.
Vi è inoltre da considerare che in diversi ambiti della medicina ancora non sussistono linee-guida condivise dalla comunità scientifica, e che anche dove lo sono la storia clinica della persona è unica, ed il rapporto di fiducia e di collaborazione tra medico e paziente diventa elemento fondante per le decisioni riguardanti la cura.
In definitiva il medico conserva, anche alla luce degli attuali progressi scientifici, una sua autonomia ed una sua responsabilità nelle scelte che sono spesso condivise con il cittadino, che è in grado molto parzialmente di poter dare un suo parere tecnico. Ancora oggi molto si gioca pertanto sul rapporto di fiducia. E se un medico non consegna spontaneamente la ricevuta, è certamente lecito dubitare anche sulla sua serietà professionale.