“Pediatri di strada” è ora disponibile nel formato e-book. Come sono cambiate negli ultimi anni le storie degli immigrati che arrivano nell’ambulatorio nel centro storico di Genova? È cambiato qualcosa nel vostro modo di saper fare i pediatri di strada?
Sono molto cambiate. L’ondata migratoria femminile delle badanti provenienti dall’Equador e da altri Paesi dell’America Latina ha prima rallentato e poi quasi cessato. Chi si è stabilizzato in Italia ha preferito le periferie al centro storico. In quei quartieri ha regolarizzato la posizione propria e dei figli, usufruendo di servizi ASL, oppure utilizza, se il permesso di soggiorno scade, servizi sempre pubblici finalmente disponibili anche per i clandestini. Il centro storico si è riempito di islamici e rumeni; i primi senza permesso, i secondi cittadini comunitari senza sanità pubblica. Il calo del numero di visite pediatriche da 2500 all’anno a 1600 circa è compensato dall’aumento di chi chiede cure odontoiatriche gratuite, spesso regolare, ma senza soldi per pagare un dentista. Molti ricorrono anche all’oculista, regolari o meno, perché sono talmente lunghe le attese che preferiscono venire da noi volontari.
Secondo la dottoressa Maria Rosa Sisto “considerata la diffusione capillare della medicina e pediatria di famiglia, che raggiungono indiscriminatamente tutta la popolazione che vi accede, andrebbe colta la possibilità di una integrazione sociale e culturale praticabile già nei nostri ambulatori, sistemi integranti e favorenti la convivenza civile fra adulti e bambini di ogni etnia”. Che ne pensa?
I servizi dedicati ai bambini devono restare separati da quelli degli adulti, prevedere aree di gioco, accoglienza, educazione, lettura, gestite da personale formato almeno nell’abc della pedagogia. Questo dovremo fare nei servizi pubblici e di volontariato, favorendo il gioco tra cinesi, indiani, latini, rumeni e tra qualunque bambino di qualunque altra provenienza. Le donne italiane fanno pochi figli, gli italiani di domani sono figli di immigrati che sostituiranno noi. Se non sappiamo curarli e farli interagire, creiamo un disagio sociale alle future generazioni che sarà pagato molto caro. Solo l’imbecillità dello xenofobo e la sua ignoranza non lo mette in grado di fare 4 calcoli di aritmetica tra numero di morti e numero di nati. Se ci prova, si convince che senza immigrazione e filiazione del nuovo proletariato di immigrazione, le nostre citta si svuoterebbero.
Un concetto di cui si sente parlare spesso è quello di empowerment. All’11esimo congresso della SIMM si è discusso di empowerment delle comunità straniere, cioè di “adottare interventi per mettere queste persone nella condizione di tutelarsi in modo autonomo e di autoaffermare i propri diritti”. Un traguardo raggiungibile?
Proprio questo è il punto cruciale. Dobbiamo permettere a tutti i nuovi italiani di tirar fuori risorse proprie da mettere in condivisione con quelle nostre, per creare sistemi innovati, interculturali, attenti ai vantaggi e svantaggi, rischi e benefici, risparmi e sprechi. Molto da fare e inventare con l’energia di chi crede alla civiltà di un welfare che sa rinnovarsi ed accogliere sfide, generazione dopo generazione.
In un’intervista che aveva rilasciato a Va’ Pensiero cinque anni fa alla domanda “Se le chiedessero di partecipare a un confronto, sulla falsariga dei confronti tra politici di questi giorni, chi le piacerebbe trovare seduto dall’altra parte?” aveva risposto gli assessori alla sanità della Regione Emilia e della Toscana, e Rosy Bindi. Oggi chi le piacerebbe trovare seduto dall’altra parte?
Vendola, che di Sanità capisce poco e niente, visti i risultati delle sue Puglie. De Magistris che di Sanità si dovrà ben occupare partendo dall’igiene della sua Napoli. Pisapia che di Sanità si deve occupare per forza visto che Milano è polo nazionale di sanità fatta di business e aggregazioni cattoliche in competizione con le laiche. Sarebbe un talk show di prima serata che andrebbe agli onori della cronaca perché sono molte le domande che avrei pronte per ciascuno di loro. Ovviamente resta Rosi Bindi, l’unica che la Sanità pubblica ha dimostrato di saper difendere perfino contro lo strapotere vaticano, il che, per lei, è stato davvero impegnativo.
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1 giugno 2011
In primo piano
Senza immigrazione le nostre città si svuoterebbero
“Pediatri di strada” è ora disponibile nel formato e-book. Come sono cambiate negli ultimi anni le storie degli immigrati che arrivano nell’ambulatorio nel centro storico di Genova? È cambiato qualcosa nel vostro modo di saper fare i pediatri di strada?
Sono molto cambiate. L’ondata migratoria femminile delle badanti provenienti dall’Equador e da altri Paesi dell’America Latina ha prima rallentato e poi quasi cessato. Chi si è stabilizzato in Italia ha preferito le periferie al centro storico. In quei quartieri ha regolarizzato la posizione propria e dei figli, usufruendo di servizi ASL, oppure utilizza, se il permesso di soggiorno scade, servizi sempre pubblici finalmente disponibili anche per i clandestini. Il centro storico si è riempito di islamici e rumeni; i primi senza permesso, i secondi cittadini comunitari senza sanità pubblica. Il calo del numero di visite pediatriche da 2500 all’anno a 1600 circa è compensato dall’aumento di chi chiede cure odontoiatriche gratuite, spesso regolare, ma senza soldi per pagare un dentista. Molti ricorrono anche all’oculista, regolari o meno, perché sono talmente lunghe le attese che preferiscono venire da noi volontari.
Secondo la dottoressa Maria Rosa Sisto “considerata la diffusione capillare della medicina e pediatria di famiglia, che raggiungono indiscriminatamente tutta la popolazione che vi accede, andrebbe colta la possibilità di una integrazione sociale e culturale praticabile già nei nostri ambulatori, sistemi integranti e favorenti la convivenza civile fra adulti e bambini di ogni etnia”. Che ne pensa?
I servizi dedicati ai bambini devono restare separati da quelli degli adulti, prevedere aree di gioco, accoglienza, educazione, lettura, gestite da personale formato almeno nell’abc della pedagogia. Questo dovremo fare nei servizi pubblici e di volontariato, favorendo il gioco tra cinesi, indiani, latini, rumeni e tra qualunque bambino di qualunque altra provenienza. Le donne italiane fanno pochi figli, gli italiani di domani sono figli di immigrati che sostituiranno noi. Se non sappiamo curarli e farli interagire, creiamo un disagio sociale alle future generazioni che sarà pagato molto caro. Solo l’imbecillità dello xenofobo e la sua ignoranza non lo mette in grado di fare 4 calcoli di aritmetica tra numero di morti e numero di nati. Se ci prova, si convince che senza immigrazione e filiazione del nuovo proletariato di immigrazione, le nostre citta si svuoterebbero.
Un concetto di cui si sente parlare spesso è quello di empowerment. All’11esimo congresso della SIMM si è discusso di empowerment delle comunità straniere, cioè di “adottare interventi per mettere queste persone nella condizione di tutelarsi in modo autonomo e di autoaffermare i propri diritti”. Un traguardo raggiungibile?
Proprio questo è il punto cruciale. Dobbiamo permettere a tutti i nuovi italiani di tirar fuori risorse proprie da mettere in condivisione con quelle nostre, per creare sistemi innovati, interculturali, attenti ai vantaggi e svantaggi, rischi e benefici, risparmi e sprechi. Molto da fare e inventare con l’energia di chi crede alla civiltà di un welfare che sa rinnovarsi ed accogliere sfide, generazione dopo generazione.
In un’intervista che aveva rilasciato a Va’ Pensiero cinque anni fa alla domanda “Se le chiedessero di partecipare a un confronto, sulla falsariga dei confronti tra politici di questi giorni, chi le piacerebbe trovare seduto dall’altra parte?” aveva risposto gli assessori alla sanità della Regione Emilia e della Toscana, e Rosy Bindi. Oggi chi le piacerebbe trovare seduto dall’altra parte?
Vendola, che di Sanità capisce poco e niente, visti i risultati delle sue Puglie. De Magistris che di Sanità si dovrà ben occupare partendo dall’igiene della sua Napoli. Pisapia che di Sanità si deve occupare per forza visto che Milano è polo nazionale di sanità fatta di business e aggregazioni cattoliche in competizione con le laiche. Sarebbe un talk show di prima serata che andrebbe agli onori della cronaca perché sono molte le domande che avrei pronte per ciascuno di loro. Ovviamente resta Rosi Bindi, l’unica che la Sanità pubblica ha dimostrato di saper difendere perfino contro lo strapotere vaticano, il che, per lei, è stato davvero impegnativo.
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