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Senza Roberto

Prima di riandare indietro con i ricordi, non avevo mai pensato che era proprio nell’anno dell’uscita di “quel libro” che ci eravamo conosciuti. La mia, di arte, era quella dell’imbustamento di depliant per guadagnare qualche lira in più per le vacanze. La sua, l’arte della manutenzione della motocicletta. Arte adulta e non onnipotente che lo rendeva amico dei meccanici di una buona porzione della città. Di ciascuno conosceva competenze e punti deboli e ricorreva a l’uno o all’altro più per guadagnare conferme che per avere rivelazioni.

È stato per quasi quaranta anni uno di noi al Pensiero, Roberto Sgaragli, e per gran parte di questo tempo è stato chi ha portato le prime copie delle riviste ai direttori, pagamenti ad autori, pacchi di volumi in libreria. C’era e non c’era, a esser sinceri. Meglio: quando serviva c’era sempre, perché spuntava agli orari più imprevisti, ben prima che la modernità liquida di Bauman decretasse la fine della separazione tra tempo del lavoro e tempo della vita. Quando non c’era, il motivo era nella strada, perché là – come scrive Pirsig – “non sei più uno spettatore, sei nella scena, e la sensazione di presenza è travolgente”. Poco importa se la “scena” fosse il quartiere universitario o via Salaria: la condizione è essere in moto, perché in sella “passi il tempo a percepire le cose e a meditarci sopra”.

Quarant’anni: il tempo di passare dall’incontro con chi fondò la casa editrice alla conoscenza della improbabile quarta generazione del Pensiero che qualcuno si ostina a ritener possibile; dalle Vespe con le chiappe sbilanciate a quelle con due ruote davanti, novità troppo originale per essere ignorata, ma così stravagante da non meritare fedeltà. Tre ruote erano troppe per Roberto; ne bastavano due per un mestiere della comunicazione utile. Quando mi hanno detto del suo malore, ero a discutere su Twitter con un amico che sosteneva di voler scrivere un libro sulle “Unsent emails” e questi messaggi superflui si intravedevano in un diluvio di frasi brevi per lo più pleonastiche. Roberto ha inverato la comunicazione di persona, più che personale; c’è poco da fare, è un mestiere sostituibile solo con qualcosa di profondamente diverso. Probabilmente peggiore.

È morto domenica, dopo essersi sentito male ad un distributore di benzina. Un ultimo gesto di delicatezza, di attenzione per la strada. Un ultimo pieno finito insieme, a lui e alla Vespa. Mancherà a noi e a quanti con noi lavorano.

“Serve qualcosa?” ci chiedeva: sì, serve qualcosa: discrezione, riguardo, disponibilità. E lui le aveva, anche se in riserva.

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