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Siamo animali sociali

Burn out. Quando vorresti urlare ma gli altri non capirebbero perché. Pochi minuti per parlare con il paziente e almeno il triplo da spendere faccia a faccia con il computer per completare le procedure amministrative e compilare la cartella clinica elettronica. Un sacco di tempo dedicato alle email che attendono risposta. Il silenzio “perché è meglio che faccio da solo”. Tra poco, anche per noi, perfino la telemedicina e la realtà virtuale, ulteriori possibili barriere invisibili per le relazioni umane.

Davvero ci dobbiamo rassegnare a questo? Neanche per sogno! Alcuni rimedi alla crescente solitudine del medico proposti da Ameya Kulkarni nel suo articolo sul NEJM, però, sembrano pannicelli caldi. Organizzare eventi per il gruppo di lavoro, sport, cucina, appuntamenti periodici, addirittura sedute per condividere le emozioni provate nel corso dell’attività clinica… quasi come se fosse una riunione per alcolisti anonimi. E invece no. Noi vogliamo una tecnologia per l’uomo, non contro l’uomo. Sosteniamo l’idea che l’intelligenza artificiale serva come alleata, non per sostituire il professionista. Vogliamo una tecnologia a sostegno della collaborazione, del lavoro di gruppo, sociale. È l’innovazione che deve trovare la soluzione alla pressione insopportabile e alla sensazione di affogare quando non c’è tempo o non c’è qualcuno con cui condividere. L’anima e i sentimenti non possono certo seguire un algoritmo, ma alcuni strumenti possono tornare utili.

Noi vogliamo una tecnologia per l’uomo, non contro l’uomo.

Parliamo del tempo, quello che non basta mai. Possiamo immaginare sistemi che rendano più fluidi i processi del nostro lavoro. C’è già un furibondo dibattito sulle conseguenze negative dell’adozione della cartella clinica elettronica. Se quest’ultima consente, almeno in principio, di convertire i dati che ci passano tra le mani in maggiore conoscenza, in qualcosa di utile, siamo ormai al punto in cui la tecnologia si deve concentrare sulla sua semplificazione d’uso. L’attenzione verso l’interazione uomo-macchina è la prossima frontiera dell’innovazione perché invece di diventare separatrice la tecnologia diventi semplificatrice.

Non è strano pensare che il tempo impegnato a fare cose stupide, ripetitive, possa essere affidato a strumenti tecnologici. Lo spazio liberato sarà utile per fare cose importantissime: coltivare la relazione umana con il paziente e con i nostri simili, compreso il nostro gruppo di lavoro. Su questo punto potremmo andare ben oltre l’applicazione delle tecnologie e verso la considerazione di modelli organizzativi più moderni. L’altro tema è il miglioramento della comunicazione. Abbiamo già sviluppato comportamenti ossessivi nei confronti delle interazioni attraverso i social network e WhatsApp. Sembra che una proporzione intorno al 90% dei medici ammetta di comunicare regolarmente con i pazienti attraverso questa machiavellica applicazione che ha generato una nuova patologia che attende solo di essere classificata: l’ansia da attesa della risposta.

In sostanza, di mezzi tecnologici per facilitare la comunicazione ne abbiamo in abbondanza. Somiglia un po’ al passaggio culturale che abbiamo subito all’introduzione della telefonia mobile. Ma il testo scritto e le emoticons non hanno le stesse sfumature che può avere la voce (probabile motivo alla base dell’impennata di messaggi vocali) e tanto meno la relazione umana in persona. Quindi tocca a noi rivalutare questi strumenti e usarli non “al posto” della comunicazione in persona ma “insieme” ad essa, sfruttarne le caratteristiche di rapidità e di sintesi, ma privilegiando l’incontro fisico.

Ma la vita del medico sarebbe misera se ci fermassimo alla tecnologia.

E infine la condivisione. Se c’è una cosa facile da fare attraverso la tecnologia è proprio questa. E i social network hanno alimentato questo istinto al punto che è possibile perfino usarli per tracciare un profilo digitale degli individui. Concordo con Kulkarni che da questo punto di vista gli strumenti a disposizione sono potentissimi perché la comunicazione può essere estesa a piacimento, da piccoli gruppi fino a comunità internazionali, tutto in tempo reale. Non solo, molte esperienze già consolidate ci dicono che si può anche osare di più: costruire comunità online dove ci sono sia i professionisti della salute che i pazienti. E si può parlare di tutto. È una storia che si ripete, come quando da ragazzi si usava un ricetrasmettitore radio per chiacchierare tra sconosciuti, a notte fonda, e si accendevano discussioni sugli argomenti più disparati e si facevano confidenze segretissime. Ma la vita del medico sarebbe misera se ci fermassimo alla tecnologia. Quindi sarà bene che ravviviamo, se ce ne fosse bisogno, le nostre caratteristiche di animali sociali. Un collante formidabile per le persone che lavorano insieme è la condivisione di obiettivi grandiosi.

Credo alle relazioni vere, quelle che nascono ovunque anche in modo inaspettato.

Nonostante esistano in qualunque gruppo di lavoro rapporti difficili e motivi di divergenza, noi siamo creature positive. Noi, con una cultura diversa da quella dei colleghi di Kulkarni, resistiamo di più alla solitudine, facciamo amicizia più facilmente con gli altri. E anche se il problema esiste, dobbiamo esaltare l’attitudine sociale. Ma non credo alle strategie per aumentare la socializzazione come le feste organizzate solo a questo scopo. Credo alle relazioni vere, quelle che nascono ovunque anche in modo inaspettato. Anche se la pressione, la responsabilità e la tecnologia congiurano contro di noi, la vita di relazione è nel nostro dna. E le cose che si fanno con i nostri cari, gli amici, e anche con i colleghi, quelle importanti e quelle stupide, fanno parte della vita di tutti, senza regole di quantità o copioni predeterminati.


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Commenti

  1. GIOVANNI MENEGHETTI 22 Febbraio 2019 at 8:14 Rispondi

    Complimenti, condivido il senso e il significato di quanto hai detto

  2. Maria Clorinda Benedetti 23 Febbraio 2019 at 20:30 Rispondi

    Grazie Tozzi, sento di non essere sola nel provare quello che tu hai così meravigliosamente descritto! Ormai è la norma: i pazienti ti messaggiano scrivendo due sintomi ed aspettando una diagnosi, come se fosse normale rispondere con un sì o un no. Peccato che a me serva un “da quando, cos’altro”, e tanto altro ancora, e cosi telefono, almeno sento una voce, posso percepire un emozione, avere delle risposte e magari prendere un appuntamento per guardarli in viso, cercando di rubare il tempo alla parte informatica…
    M. Clorinda Benedetti (Pediatra)

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