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"Status syndrome" tra reddito, cultura e contesto

 
"Lungo il percorso della metropolitana che attraversa Washington DC dai quartieri poveri e neri a sud est fino alla ricca e bianca contea di Montgomery si guadagna un anno e mezzo di speranza di vita ogni miglio, per un totale di vent’anni di differenza nella speranza di vita tra gli estremi. A Londra, lo scarto tra gli estremi è di sei anni di speranza di vita. A Torino, dove c’è meno segregazione territoriale, la distanza tra quartieri ricchi e poveri è di circa tre anni di speranza di vita". Differenze sulla salute che trovano una spiegazione nella "status syndrome" – complesso di cause e meccanismi sociali quotidiani individuali e di contesto che minaccia la salute. Ci spieghi meglio?

L’autore della definizione di "status syndrome", Michael Marmot, dell’University College di Londra, usa questa locuzione per designare un meccanismo universale di spiegazione delle differenze nella salute che nascono da disuguaglianze sociali di tipo relativo. Detto in breve, il meccanismo consiste nel fatto che le disuguaglianze sociali determinerebbero differenze tra gli individui nella capacità di controllare la propria vita, in particolare differenze nella esposizione a compiti e doveri molto esigenti in assenza di autonomia di scelta sulle soluzioni e sui tempi e in presenza di remunerazione inadeguata. Questa situazione di tensione tra domanda, controllo e remunerazione determinerebbe una condizione di stimolazione cronica di stress, capace di innescare numerosi processi patogenetici che esitano nelle patologie tipiche della sindrome metabolica, nella depressione e in altri disturbi. Inoltre gli stessi meccanismi di disuguaglianza sociale determinano svantaggi nella ricchezza e nella qualità del supporto sociale da parte sia di reti forti, come quelle famigliari ed amicali, sia di reti deboli, come quelle delle comunità di vita. Questa povertà di supporto sarebbe a sua volta in grado o di peggiorare l’effetto dello stress cronico sull’insorgenza di patologie croniche o di agire direttamente sui meccanismi immunitari modificando la resistenza alle malattie.

Con quali risultati?

In ogni caso il risultato finale sarebbe quello di un gradiente sociale nella insorgenza di praticamente gran parte delle voci nosologiche più frequenti. Questo meccanismo spiega sia le disuguaglianze di salute di tipo relativo, quelle cioè che nascono dalle differenze relative nella capacità di controllo della propria vita – tanto che si osservano differenze di salute anche tra i candidati al premio Oscar a seconda della loro posizione in graduatoria -; ma anche le differenze di tipo assoluto, quelle cioè in cui la incapacità di controllo sulla propria vita riguarda gli standard minimi di sopravvivenza.

Al di là del meccanismo, cosa spiega le disuguaglianze sociali nella salute? Geni, stili di vita, assistenza sanitaria…

All’interno di questo meccanismo universale poi possono trovare spazio le diverse manifestazioni delle disuguaglianze sociali nella salute. Dal punto di vista della posizione sociale ogni indicatore sociale considerato (individuale o di contesto) misura una dimensione di questa disuguaglianze nelle capacità di controllo della propria vita. L’istruzione misura la posizione sociale acquisita nella prima parte della traiettoria di vita; la classe sociale di origine occupazionale misura la posizione sociale dell’adulto; la qualità della casa di abitazione esprime il livello di ricchezza accumulata nel corso della vita; il livello di povertà del quartiere di residenza e la sia distribuzione esprime il grado di coesione sociale e di reciprocità di una comunità… Dal punto di vista dei meccanismi prossimali di azione sulla salute, oltre all’effetto diretto dello stress cronico, va annoverata anche l’influenza indiretta nel determinare una diversa propensione a iniziare e mantenere uno stile di vita pericoloso per la salute (dipendenze come fumo, alcool, droghe; sedentarietà e sovrappeso, violenza… ). O ancora le disuguaglianze sociali nella esposizione a fattori di rischio materiali, come l’inquinamento da traffico pesante, che caratterizza le zone di residenza delle persone di bassa posizione sociale.
Se tutti questi meccanismi spiegano le disuguaglianze sociali nell’insorgenza delle malattie, a influenzare ulteriormente le disuguaglianze di salute interviene anche il ruolo dell’assistenza sanitaria che dovrebbe curare e guarire queste malattie. Anche in questo ambito è ben chiaro che i percorsi preventivi e assistenziali delle principali malattie contengono punti critici nei quali si possono creare svantaggi nell’accesso alla diagnosi e alla cura tempestiva e di qualità, sia in fase acuta sia in fase cronica, tali da compromettere l’equità negli esiti – ad esempio sopravvivenza, disabilità e qualità della vita.

Se è vero che molte disuguaglianze nella salute dipendono da situazioni di povertà assoluta, anche nei paesi occidentali, dove non si può parlare di povertà assoluta, si assiste a un fenomeno di "deprivazione relativa" di beni e servizi che non permettono di partecipare a pieno alla vita sociale. Come funziona questo fenomeno?

È attraverso questa serie di meccanismi che si generano le disuguaglianze di salute, che poi si manifestano in quei macroscopici gradienti di speranza di vita tra le aree più o meno ricche delle nostre metropoli di cui parla la letteratura, da Washington a Londra a Torino, seppur con differenze considerevoli a favore di città come Torino, dove la segregazione sociale dei luoghi di residenza e l’effetto sfavorevole sulla speranza di vita della povertà dei quartieri di residenza è meno intenso, a riprova della probabile maggiore attenzione delle politiche locali a questi problemi.

Il rapporto tra classi sociali e stato di salute può offrire una spiegazione delle diseguaglianze in termini di morbosità, mortalità, incidenza di malattie cardiovascolari, disturbi mentali, salute soggettiva, etc. Qual è il quadro di una città come Torino?

Tornando all’esempio di Torino, la distanza tra la speranza di vita di chi vive negli isolati più poveri rispetto a coloro che vivono in quelli più ricchi è di circa tre anni; differenze di dimensione comparabile sono evidenti tra gli uomini con professione di dirigente e quelli con professione di operaio dei servizi non qualificati; lo stesso tra le persone con titolo di studio dell’obbligo e quelle con titolo di studio universitario… Queste differenze sono spiegate da eccessi tra le persone di basa posizione sociale in quasi tutte le voci nosologiche: malattie infettive, molti tumori, malattie cardiovascolari, malattie psichiatriche, malattie respiratorie, malattie digerenti, incidenti e cause violente. Le sole voci nosologiche che svantaggiano i più ricchi sono facilmente spiegabili dalla distribuzione sociale invertita dei loro propri fattori di rischio: i tumori femminili, fortemente influenzati dallo spostamento in avanti dell’età al primo figlio; i tumori causati dall’esposizione voluttuaria alle radiazioni solari, e le malattie allergiche come l’asma, legate forse al mancato effetto protettivo dovuto alla minore frequenza di contatti con coetanei nei primi anni di vita dei bambini di famiglie ricche che frequentano meno nidi e asili.

Si può immaginare un repertorio evidence based di politiche di intervento per ridurre le iniquità in ambito sanitario?

A proposito delle soluzioni disponibili per contrastare queste disuguaglianze di salute bisogna rifarsi ad ogni specifico meccanismo di generazione citato prima. Infatti nel caso delle politiche sanitarie, risultano potenzialmente efficaci sia le misure che sono in grado di monitorare i punti dei percorsi assistenziali che risultano più critici per una equità di accesso al trattamento (equità audit), sia quelle che promuovono una ricerca e una presa in carico attiva,  invece che opportunistica e di attesa, dei problemi di salute (ad esempio screening di popolazione, medicina d’iniziativa…). Per quanto riguarda le politiche sociali, economiche, urbanistiche, dei trasporti…  occorre che ogni politica ed intervento si sottoponga ad un esercizio di Equity Health Impact Assessement, in modo da consentire di prevenire un impatto sfavorevole sulle disuguaglianze di salute. Infine le politiche di promozione della salute sugli stili di vita devono essere attente al loro potenziale effetto di allargamento delle disuguaglianze di salute, in quanto la sola educazione sanitaria è tradizionalmente più efficace tra le categorie socialmente più avvantaggiate; interventi più mirati alle persone “hard to reach” sono necessari per prevenire questo effetto. In generale la documentazione scientifica sull’efficacia di queste misure nella riduzione delle disuguaglianze sociali di salute è ancora molto povera, e solo negli ultimi anni si incomincia a produrre studi e prove a sostegno di questa necessità.

15 marzo 2006

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