Il post sul dono segnalato la scorsa settimana su Va’ Pensiero – in particolare sul regalo dei pazienti ai medici ospedalieri e le nuove norme che regolano il dono per evitare il rischio di corruzione – ha suggerito a Salvo Fedele, pediatra, una riflessione sul dono dei medici ai pazienti che spesso è rappresentato dal tempo offerto per un dialogo o un confronto, che è ormai diventato “qualcosa in più”. Fedele si sofferma brevemente anche su un altro tipo di dono quello dei medici ai loro colleghi di rango superiore: dal regalo dovuto degli specializzandi ai cattedratici, alla trasgressione dei medici che si soffermano a parlare col malato di una prescrizione ricevuta da un collega di grado superiore.
La professione del medico è cambiata ed è normata da regole sempre più precise (1). C’è il tempo per la scrittura della documentazione in cartella, c’è il tempo per la consultazione delle linee guida, c’è il tempo per la de-materializzazione delle prescrizioni, c’è il tempo per tutto quello che è indispensabile, c’è anche il tempo per fare corsi Ecm sul “buon rapporto” con i pazienti. In una parola e per farla breve c’è tutto il tempo per fare il proprio dovere.
Il tempo dedicato al paziente, quello in cui studi il singolo caso, quello in cui discuti del caso con gli altri colleghi, quello che dedichi al paziente per ascoltare la sua storia ed esprimere le tue perplessità e le criticità di gestione, quello in cui affini la tua capacità di empatia e di comunicazione è ormai invece qualcosa in più che non è normato ed è diventato appunto undono che ciascun medico è libero di fare in base alle proprie personali preferenze oltre che alla personale cultura (2).
Non è cambiato – come si dice – il rapporto medico paziente, è cambiato semplicemente il contratto tra medici e pazienti. La natura di quel che è dovuto e la natura di quel che è donato. Tutta la buona letteratura medica parla con preoccupazione di questo cambiamento, ma chi governa i sistemi sanitari sembra non accorgersene e si occupa di altro, di normare il nuovo dovuto disinteressandosi del tutto del nuovo donato.
Dal dono dei pazienti al dono ai pazienti
Questo cambiamento epocale, sebbene sia successo sotto i nostri occhi e nel corso della nostra breve esistenza, ha radici lontane che meritano di essere analizzate.
Ho conosciuto una volta un primario che aveva una lista doni aperta tutto l’anno in una delle gioiellerie più importanti della mia città (mi correggo: la più importante). La lista a quanto pare era molto ricca e partiva dal corrispettivo odierno di alcune centinaia di euro. Per passare dallo studio privato alla corsia dell’ospedale era necessario transitare prima da quella gioielleria. Oggi – forse anche grazie alla nuove sensibilità – la visita privata può essere utile, ma non è più indispensabile come un tempo. È cambiato il mondo. Se è cambiato il mondo – oltre che la natura del contratto medico/paziente – perché dovremmo preoccuparci di tutelare oltre che il dono dei pazienti anche i medici e i loro doni ai pazienti? E senza dimenticare i doni che i medici fanno a chi è più in alto nella scala gerarchica.
Ho sognato proprio questa notte che esisteva ancora oggi un primario a Palermo con una lista aperta tutto l’anno cui gli specializzandi attingono almeno due volte: quando entrano nella “sua specialità” e quando escono dalla “sua specialità”. Questo sogno in fondo è verosimile perché non c’è ancora una legge che regola il dono dello specializzando al direttore di specialità. Non solo. La moderna ricerca delle neuroscienze ci dice qualche cosa di più e cioè che il sonno e i sogni sono legati alla nostra curva di apprendimento (3). E cosa abbiamo imparato negli ultimi anni se non che le gerarchie sono sempre più deboli culturalmente ma hanno bisogno di segnali forti e di marcatori significativi per affermare la loro supremazia?
E i medici in forza ai nostri ospedali? Al giorno d’oggi i medici che non sono più in formazione hanno un contratto che li mette al riparo dai ricatti dei dirigenti. I nostri medici ben strutturati con il “posto fisso” non devono nessun dono ai loro dirigenti.
Però, se un medico strutturato “fa dono” del proprio tempo a un paziente, in alcuni casi oggi rischia di finire davanti a una commissione di disciplina. Conosco due colleghi che proprio in questi giorni stanno scontando la loro “pena”. Una vicenda per nulla complessa ma emblematica del cambiamento che viviamo (4). La loro colpa? Hanno regalato del tempo al malato per discutere più approfonditamente con lui la cura possibile per la malattia diagnosticata.
In effetti, quello che questa vicenda ci insegna è che i medici devono fare molta attenzione se desiderano fare dono del proprio tempo a un paziente. Perché non tutti i pazienti sono uguali e alcuni non amano il dono del nostro tempo o le nostre buone intenzioni.
Facciamo un esempio per rendere tutto più chiaro. Se un paziente benestante si avvale della consulenza di un medico di alto livello in un rapporto privato, riceve il suo dono e ha ben chiaro il suo percorso di cura. Un paziente di questo tipo non ha necessariamente una scolarizzazione più elevata, è solo un po’ più ricco della media, forse solo un po’ più furbo (anche se non sa che il QI e la cultura personale sono una cosa diversa) e ha spesso una convinzione profonda: ha pagato e ha già ricevuto il dono migliore. Quel paziente sente di essere un paziente “di marca”. Solo noi che siamo del mestiere conosciamo bene la verità e cioè che non basta compensare qualcuno per impossessarsi anche della sua anima o per ricevere doni reali. Sappiamo anche che a volte un collega “di marca” non corrisponde necessariamente a un collega di qualità. Per di più sappiamo anche che il dono di un collega meno esperto o di grado subordinato in molte occasioni ci è stato di grande aiuto. Noi, del mestiere, sappiamo distinguere il valore dei buoni doni e sappiamo apprezzarli. Inoltre se riconosciamo un paziente di “marca” lo lasciamo di buon grado al suo medico (la cosa è un po’ più complessa per chi come me fa il pediatra: i bambini figli delle famiglie “di marca” meritano le stesse attenzioni dei bambini di famiglie con etichette di second’ordine. Non fraintendetemi, ma la natura del nostro contratto con i piccoli pazienti non è scalfita dalla modernità: è antica e meravigliosa).
Ora, se un medico non troppo in alto nella scala gerarchica, convinto che il suo mestiere includa la capacità di donare il suo tempo, incontra nella sua vita uno di questi pazienti può non riconoscerlo. Capita di sbagliare anche in questo. In effetti nella maggior parte dei casi non è difficile: questi pazienti hanno molti caratteri distintivi, sono inclini a vedere l’ingiustizia (più della media dei pazienti), le carenze del reparto (molto più della media dei pazienti), rivendicare il diritto a servizi che non sono in vita per effetto delle tasse che loro non hanno mai versate. Ma – nonostante tutti questi segni distintivi – a volte capita di non riconoscerli e a quel punto il medico che si vuole donare rischia la crisi istituzionale. Magari un procedimento in una delle famose commissioni di disciplina.
Non solo, alla terza condanna il medico strutturato viene espulso (licenziato in tronco). E questo indipendentemente dal merito della condanna; è un tribunale senza appello quello delle commissioni. Mica con tutte le garanzie di cui hanno goduto i medici che hanno torturato il povero signor Franco Mastrogiovanni (5).
Così, dopo tre condanne a opera di una “commissione di disciplina ospedaliera”, al posto del medico strutturato arriverà un giovane assunto con un contratto ben diverso, che il proprio tempo dovrà donare tutto al suo dirigente e ai percorsi, tutelati dalla legge sul dono, dei pazienti privati di quel dirigente. Perché? Perché altrimenti non sarà neppure necessario scomodare la commissione di disciplina. Verrà licenziato in tronco. Sì, non l’ho ancora detto ma è importante: non c’è tutela sul “dono” del medico ai pazienti, ma non c’è tutela neppure nei “nuovi contratti” dei medici in formazione (quelli che aggirano il blocco delle assunzioni).
Dal dono del proprio tempo alla “pena”
Torniamo ai colleghi di cui parlavo prima. La commissione di disciplina dell’Ospedale li ha condannati per il “dono del loro tempo a un paziente”. Un paziente si è lagnato della confusione in cui è caduto dopo le certezze che aveva ricevuto dal dirigente del servizio (a proposito: come sta il paziente grazie a quelle certezze?). La commissione li ha “condannati” per porre le basi di una norma che tuteli i pazienti dai nuovi criticabili costumi del dono dei medici? Ha solo riaffermato la libertà del medico di donare a chi vuole e per le ragioni che ciascuno trova più “giuste”: il paziente più simpatico piuttosto che più ricco. A una condizione però, rispettando le gerarchie: se il paziente ha già ricevuto un dono dal dirigente, il medico subordinato non dovrà interferire sul dono fatto con un nuovo dono. Di più la commissione ha “marcato” definitivamente quel territorio (ricordate il sogno degli specializzandi al direttore?) lanciando un segnale chiaro ai medici di quel reparto e a tutti i medici di quell’ospedale: “le gerarchie vengono prima dei diritti dei pazienti e dei doveri verso i vostri pazienti”.
Non ho alcuna autorità per chiedere a chi governa la sanità di fare attenzione a come si trasforma la nostra professione, o per chiedere a società scientifiche, associazioni di pazienti o singoli colleghi la ragione del loro silenzio in vicende come quella che ho raccontato, ma forse l’autorità anti-corruzione ha il dovere di guardare dentro queste decisioni. Non è nata forse per vigilare sulla natura delle transazioni occulte?
Forse, osservando queste decisioni, potrebbe guardare all’interno del sistema dei ricatti che porta a corruzione.
Forse potrebbe leggere che i colleghi sono stati condannati per la vigente disciplina (tutelata dalle “raccomandazioni” sul dono) che regola gli ingressi negli ospedali italiani attraverso gli studi privati dei dirigenti.
Forse per marcare definitivamente le regole vere di quel “territorio” attraverso l’uso reiterato dell’invio alla commissione di disciplina (uno dei due medici ha subito una decina di “giudizi” per ottenere una “condanna”).
Forse guardando bene dentro queste decisioni potrebbe comprendere la natura vera dei contratti libero professionali.
Forse potrebbe finalmente liberare il dono di quei medici e la loro pena esplorando un po’ più in profondità tutto questo.
Oppure potrebbe semplicemente concludere che la “società civile” è sempre più avanti di quel che si pensa in base a vecchie e logorate logiche e che la modernità è lineare: il dono si è ribaltato ma le gerarchie non si toccano.
In fondo è solo Natale e non sappiamo più cosa sia davvero un dono. E solo adesso mi accorgo che nella mia professione non sono più libero neppure di donare qualcosa.
Bibliografia
- De Fiore L. Moduli o Stimanze. Ric&Pra 2016; 32: 267 (accesso 11/12/2016)
- Lucia Fontanella. La comunicazione diseguale. Il Pensiero Scientifico Editore. Roma 2011. (accesso 11/12/2016)
- Wamsley EJ. Dreaming and Offline Memory Consolidation. Curr Neurol Neurosci Rep 2014; 14: 433. (accesso 11/12/2016)
- Fedele S. Il NEJM “letto” e “interpretato” nella mia città: il caso dei due neuro-chirurghi sospesi dal servizio da <architetto & co©>. Il blog disperso #NOECM: “Chi più sa meno crede…” 2016; 6 novembre (accesso 11/12/2016)
- Mastrandrea A. Morte di un povero cristo anarchico. Internazionale 2015; 6 novembre (accesso 11/12/2016)
In primo piano
Tempo di regali. Regali di tempo
Il post sul dono segnalato la scorsa settimana su Va’ Pensiero – in particolare sul regalo dei pazienti ai medici ospedalieri e le nuove norme che regolano il dono per evitare il rischio di corruzione – ha suggerito a Salvo Fedele, pediatra, una riflessione sul dono dei medici ai pazienti che spesso è rappresentato dal tempo offerto per un dialogo o un confronto, che è ormai diventato “qualcosa in più”. Fedele si sofferma brevemente anche su un altro tipo di dono quello dei medici ai loro colleghi di rango superiore: dal regalo dovuto degli specializzandi ai cattedratici, alla trasgressione dei medici che si soffermano a parlare col malato di una prescrizione ricevuta da un collega di grado superiore.
La professione del medico è cambiata ed è normata da regole sempre più precise (1). C’è il tempo per la scrittura della documentazione in cartella, c’è il tempo per la consultazione delle linee guida, c’è il tempo per la de-materializzazione delle prescrizioni, c’è il tempo per tutto quello che è indispensabile, c’è anche il tempo per fare corsi Ecm sul “buon rapporto” con i pazienti. In una parola e per farla breve c’è tutto il tempo per fare il proprio dovere.
Il tempo dedicato al paziente, quello in cui studi il singolo caso, quello in cui discuti del caso con gli altri colleghi, quello che dedichi al paziente per ascoltare la sua storia ed esprimere le tue perplessità e le criticità di gestione, quello in cui affini la tua capacità di empatia e di comunicazione è ormai invece qualcosa in più che non è normato ed è diventato appunto undono che ciascun medico è libero di fare in base alle proprie personali preferenze oltre che alla personale cultura (2).
Non è cambiato – come si dice – il rapporto medico paziente, è cambiato semplicemente il contratto tra medici e pazienti. La natura di quel che è dovuto e la natura di quel che è donato. Tutta la buona letteratura medica parla con preoccupazione di questo cambiamento, ma chi governa i sistemi sanitari sembra non accorgersene e si occupa di altro, di normare il nuovo dovuto disinteressandosi del tutto del nuovo donato.
Dal dono dei pazienti al dono ai pazienti
Questo cambiamento epocale, sebbene sia successo sotto i nostri occhi e nel corso della nostra breve esistenza, ha radici lontane che meritano di essere analizzate.
Ho conosciuto una volta un primario che aveva una lista doni aperta tutto l’anno in una delle gioiellerie più importanti della mia città (mi correggo: la più importante). La lista a quanto pare era molto ricca e partiva dal corrispettivo odierno di alcune centinaia di euro. Per passare dallo studio privato alla corsia dell’ospedale era necessario transitare prima da quella gioielleria. Oggi – forse anche grazie alla nuove sensibilità – la visita privata può essere utile, ma non è più indispensabile come un tempo. È cambiato il mondo. Se è cambiato il mondo – oltre che la natura del contratto medico/paziente – perché dovremmo preoccuparci di tutelare oltre che il dono dei pazienti anche i medici e i loro doni ai pazienti? E senza dimenticare i doni che i medici fanno a chi è più in alto nella scala gerarchica.
Ho sognato proprio questa notte che esisteva ancora oggi un primario a Palermo con una lista aperta tutto l’anno cui gli specializzandi attingono almeno due volte: quando entrano nella “sua specialità” e quando escono dalla “sua specialità”. Questo sogno in fondo è verosimile perché non c’è ancora una legge che regola il dono dello specializzando al direttore di specialità. Non solo. La moderna ricerca delle neuroscienze ci dice qualche cosa di più e cioè che il sonno e i sogni sono legati alla nostra curva di apprendimento (3). E cosa abbiamo imparato negli ultimi anni se non che le gerarchie sono sempre più deboli culturalmente ma hanno bisogno di segnali forti e di marcatori significativi per affermare la loro supremazia?
E i medici in forza ai nostri ospedali? Al giorno d’oggi i medici che non sono più in formazione hanno un contratto che li mette al riparo dai ricatti dei dirigenti. I nostri medici ben strutturati con il “posto fisso” non devono nessun dono ai loro dirigenti.
Però, se un medico strutturato “fa dono” del proprio tempo a un paziente, in alcuni casi oggi rischia di finire davanti a una commissione di disciplina. Conosco due colleghi che proprio in questi giorni stanno scontando la loro “pena”. Una vicenda per nulla complessa ma emblematica del cambiamento che viviamo (4). La loro colpa? Hanno regalato del tempo al malato per discutere più approfonditamente con lui la cura possibile per la malattia diagnosticata.
In effetti, quello che questa vicenda ci insegna è che i medici devono fare molta attenzione se desiderano fare dono del proprio tempo a un paziente. Perché non tutti i pazienti sono uguali e alcuni non amano il dono del nostro tempo o le nostre buone intenzioni.
Facciamo un esempio per rendere tutto più chiaro. Se un paziente benestante si avvale della consulenza di un medico di alto livello in un rapporto privato, riceve il suo dono e ha ben chiaro il suo percorso di cura. Un paziente di questo tipo non ha necessariamente una scolarizzazione più elevata, è solo un po’ più ricco della media, forse solo un po’ più furbo (anche se non sa che il QI e la cultura personale sono una cosa diversa) e ha spesso una convinzione profonda: ha pagato e ha già ricevuto il dono migliore. Quel paziente sente di essere un paziente “di marca”. Solo noi che siamo del mestiere conosciamo bene la verità e cioè che non basta compensare qualcuno per impossessarsi anche della sua anima o per ricevere doni reali. Sappiamo anche che a volte un collega “di marca” non corrisponde necessariamente a un collega di qualità. Per di più sappiamo anche che il dono di un collega meno esperto o di grado subordinato in molte occasioni ci è stato di grande aiuto. Noi, del mestiere, sappiamo distinguere il valore dei buoni doni e sappiamo apprezzarli. Inoltre se riconosciamo un paziente di “marca” lo lasciamo di buon grado al suo medico (la cosa è un po’ più complessa per chi come me fa il pediatra: i bambini figli delle famiglie “di marca” meritano le stesse attenzioni dei bambini di famiglie con etichette di second’ordine. Non fraintendetemi, ma la natura del nostro contratto con i piccoli pazienti non è scalfita dalla modernità: è antica e meravigliosa).
Ora, se un medico non troppo in alto nella scala gerarchica, convinto che il suo mestiere includa la capacità di donare il suo tempo, incontra nella sua vita uno di questi pazienti può non riconoscerlo. Capita di sbagliare anche in questo. In effetti nella maggior parte dei casi non è difficile: questi pazienti hanno molti caratteri distintivi, sono inclini a vedere l’ingiustizia (più della media dei pazienti), le carenze del reparto (molto più della media dei pazienti), rivendicare il diritto a servizi che non sono in vita per effetto delle tasse che loro non hanno mai versate. Ma – nonostante tutti questi segni distintivi – a volte capita di non riconoscerli e a quel punto il medico che si vuole donare rischia la crisi istituzionale. Magari un procedimento in una delle famose commissioni di disciplina.
Non solo, alla terza condanna il medico strutturato viene espulso (licenziato in tronco). E questo indipendentemente dal merito della condanna; è un tribunale senza appello quello delle commissioni. Mica con tutte le garanzie di cui hanno goduto i medici che hanno torturato il povero signor Franco Mastrogiovanni (5).
Così, dopo tre condanne a opera di una “commissione di disciplina ospedaliera”, al posto del medico strutturato arriverà un giovane assunto con un contratto ben diverso, che il proprio tempo dovrà donare tutto al suo dirigente e ai percorsi, tutelati dalla legge sul dono, dei pazienti privati di quel dirigente. Perché? Perché altrimenti non sarà neppure necessario scomodare la commissione di disciplina. Verrà licenziato in tronco. Sì, non l’ho ancora detto ma è importante: non c’è tutela sul “dono” del medico ai pazienti, ma non c’è tutela neppure nei “nuovi contratti” dei medici in formazione (quelli che aggirano il blocco delle assunzioni).
Dal dono del proprio tempo alla “pena”
Torniamo ai colleghi di cui parlavo prima. La commissione di disciplina dell’Ospedale li ha condannati per il “dono del loro tempo a un paziente”. Un paziente si è lagnato della confusione in cui è caduto dopo le certezze che aveva ricevuto dal dirigente del servizio (a proposito: come sta il paziente grazie a quelle certezze?). La commissione li ha “condannati” per porre le basi di una norma che tuteli i pazienti dai nuovi criticabili costumi del dono dei medici? Ha solo riaffermato la libertà del medico di donare a chi vuole e per le ragioni che ciascuno trova più “giuste”: il paziente più simpatico piuttosto che più ricco. A una condizione però, rispettando le gerarchie: se il paziente ha già ricevuto un dono dal dirigente, il medico subordinato non dovrà interferire sul dono fatto con un nuovo dono. Di più la commissione ha “marcato” definitivamente quel territorio (ricordate il sogno degli specializzandi al direttore?) lanciando un segnale chiaro ai medici di quel reparto e a tutti i medici di quell’ospedale: “le gerarchie vengono prima dei diritti dei pazienti e dei doveri verso i vostri pazienti”.
Non ho alcuna autorità per chiedere a chi governa la sanità di fare attenzione a come si trasforma la nostra professione, o per chiedere a società scientifiche, associazioni di pazienti o singoli colleghi la ragione del loro silenzio in vicende come quella che ho raccontato, ma forse l’autorità anti-corruzione ha il dovere di guardare dentro queste decisioni. Non è nata forse per vigilare sulla natura delle transazioni occulte?
Forse, osservando queste decisioni, potrebbe guardare all’interno del sistema dei ricatti che porta a corruzione.
Forse potrebbe leggere che i colleghi sono stati condannati per la vigente disciplina (tutelata dalle “raccomandazioni” sul dono) che regola gli ingressi negli ospedali italiani attraverso gli studi privati dei dirigenti.
Forse per marcare definitivamente le regole vere di quel “territorio” attraverso l’uso reiterato dell’invio alla commissione di disciplina (uno dei due medici ha subito una decina di “giudizi” per ottenere una “condanna”).
Forse guardando bene dentro queste decisioni potrebbe comprendere la natura vera dei contratti libero professionali.
Forse potrebbe finalmente liberare il dono di quei medici e la loro pena esplorando un po’ più in profondità tutto questo.
Oppure potrebbe semplicemente concludere che la “società civile” è sempre più avanti di quel che si pensa in base a vecchie e logorate logiche e che la modernità è lineare: il dono si è ribaltato ma le gerarchie non si toccano.
In fondo è solo Natale e non sappiamo più cosa sia davvero un dono. E solo adesso mi accorgo che nella mia professione non sono più libero neppure di donare qualcosa.
Bibliografia