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Tirar fuori il meglio di sé

Dalle interviste sulla realtà dell’Educazione Continua in Medicina (ECM) in Italia, pubblicate su Va’ Pensiero, emerge un quadro di valutazioni piuttosto composito, che tuttavia marca numerosi punti di accordo tra gli intervistati. Qui non ne darò un resoconto analitico ma piuttosto – prendendo spunto dalle osservazioni dei vari interlocutori – cercherò di toccare gli aspetti a mio giudizio più rilevanti dell’esperienza ECM in corso nel nostro Paese.

Sui contenuti e sui fini

Innanzi tutto si deve distinguere l’aggiornamento dalla formazione: alle esigenze dell’aggiornamento sono più sensibili gli "specialisti", che vedono nell’ECM soprattutto un mezzo per aggiornarsi sulle novità scientifiche o professionali; mentre quelli che potremmo chiamare "generalisti" chiedono con maggior forza all’ECM di rispondere alle esigenze della formazione.

Forse serve qualche ulteriore definizione terminologica perché non sempre si usano con chiarezza parole come addestramento, istruzione, formazione ed educazione: l’addestramento si applica correttamente a contenuti di tipo tecnico, che per lo più riguardano obiettivi gestuali o comunicativi e quindi spesso coincide con l’insegnare a compiere azioni; istruire significa essenzialmente trasmettere informazioni, che solo successivamente verranno – si spera – utilizzate in applicazioni concrete; formare significa costruire le condizioni capaci di modificare comportamenti definiti del professionista adulto. Il termine formazione è quello correntemente più usato perché comprende in s almeno in parte – in relazione a obiettivi più circoscritti dell’apprendimento – anche il fine di addestrare e istruire, ma non si esaurisce in essi.

Bene ha fatto, a nostro avviso, la normativa italiana a parlare di educazione continua in medicina. Educare infatti comprende e completa le finalità di addestrare, istruire e formare a cui si aggiunge ciò che si evince dalla etimologia della parola educare: educere, cioè aiutare la persona a “tirar fuori” il meglio di s. In altri termini se addestrare, istruire e formare possono risultare necessarie in un buon processo educativo, non sono sufficienti a realizzarne gli aspetti più nobili che coincidono con la crescita, l’espressione e la valorizzazione delle potenzialità intellettive ed operative delle persone.

Sui mezzi e sui metodi

Queste definizioni non sono fini a se stesse se da esse vogliamo trarre indicazioni sui compiti dell’ECM, nonch sui mezzi e sui metodi più idonei al raggiungimento di finalità differenti. Nell’addestramento, infatti, sono indispensabili setting di attività didattiche che mettano il discente nelle condizioni di esercitare in modo autonomo e qualitativamente ottimale azioni che riguardano abilità prevalentemente pratiche.
L’istruzione può ottenersi anche in modo individuale, per esempio mediante la ricerca e la lettura personale di informazioni tratte da fonti accreditate, attinenti alle basi teoriche dell’esercizio professionale: trattandosi di informazioni di natura scientifica, queste per definizione debbono rifarsi alla così detta evidencebased medicine, cioè alla medicina basata sulle prove di efficacia; le loro fonti potranno trarsi dalle pubblicazioni scientifiche (trattati, testi, articoli di riviste scientifiche) o da relazioni e comunicazioni a congressi (per lo più di società scientifiche).

Nel concetto di formazione è insito un apprendimento che – in quanto finalizzato all’applicazione delle conoscenze – si avvale in modo pieno dell’esperienza: apprendere dall’esperienza è una modalità di conoscenza tipica dell’adulto e comprende la capacità di fare sintesi tra le informazioni teoriche e il loro contesto applicativo, tenendo conto in modo critico e riflessivo della variabilità dei differenti contesti, variabilità per l’appunto recepita nell’esperienza del singolo professionista.

L’adattamento del comportamento professionale teorico a contesti differenti richiede inoltre l’esercizio di attitudini "metodologiche" superiori, che si rifanno contemporaneamente ad ambiti razionali, emotivi, etici, sociali, culturali, ecc. È questo il territorio dell’educazione propriamente detta, la quale peraltro non può prescindere dal patrimonio derivante dalle "abilità a fare" conseguite con l’addestramento, dalle nozioni acquisite nell’istruzione e dalla modulazione dei comportamenti indotta dalla formazione.

Educare i professionisti della salute?

Per tutto questo è saggio parlare di ECM e non solo di “aggiornamento professionale", con il quale si rischia di limitare gli interventi formativi all’implementazione e al mantenimento delle performance prevalentemente tecniche nelle differenti professioni della salute.

Dalle precedenti argomentazioni derivano conseguenze concrete di notevole spessore: curare l’educazione continua dei professionisti della salute vuol dire, innanzi tutto, mantenere la loro capacità di recepire criticamente sempre nuove conoscenze e affinare le loro abilità metodologiche nell’applicare correttamente – secondo i fini – le conoscenze via via acquisite; non si tratta quindi solo di aumentare il loro bagaglio di nozioni, ma anche di rendere queste feconde nell’esercizio quotidiano delle professioni. Ma per fare ciò è necessaria una crescita di valori personali e non solo di abilità tecniche.

Questa necessità è avvertita da molti interlocutori nell’ambito del dibattito sulla Formazione in sanità apparso su Va’ Pensiero. Per esempio quando essi ritengono che anche la letteratura, l’arte, il cinema, la filosofia e, in genere, le scienze umane possano essere fonti di nutrimento non secondario nell’educazione continua dei professionisti della salute. Tale sensibilità è avvalorata dalla consapevolezza del posto che la relazione interpersonale occupa in tutte le professioni della salute: comunicare in modo empatico con altri esseri umani, e a maggior ragione se si tratta di persone sofferenti, richiede – oltre al possesso delle tecniche comunicative – una "crescita in umanità", che fa parte a pieno titolo dell’ECM e che si avvale principalmente dell’apporto educativo delle scienze umane (quelle che oggi vengono correntemente definite medical humanities).

Infine, l’indicazione delle attività di ricerca come uno strumento educativo di grande rilievo rappresenta un segno ulteriore della sensibilità mostrata da alcuni interlocutori per gli aspetti più precipuamente educativi della formazione continua.

Le peculiarità pedagogiche dell’apprendimento nell’adulto

Il professionista adulto s’impegna ad apprendere per:
sapere ciò che gli serve per operare;
fare, cioè compiere gli atti richiesti dalla sua professione;
essere, cioè entrare in relazione soddisfacente con le persone che incontra nel proprio esercizio professionale.

Il suo apprendimento è facilitato soprattutto dalla curiosità e dall’interesse personale per le cose da apprendere, nonch dalla gratificazione (non solo materiale) che ne ricava.
Inoltre l’adulto ha un proprio stile consolidato nell’apprendere e una disposizione ad apprendere in autonomia; per questo giustamente esige di partecipare attivamente ai processi della propria formazione ed è propenso a eventi formativi che lo coinvolgano in un confronto tra pari nella realizzazione di un progetto o nella soluzione di un problema.
Di tutto ciò deve obbligatoriamente tenere conto qualsiasi programma ECM. E risulta altresì facile comprendere perché la maggioranza degli interlocutori di Va’ Pensiero consideri per lo meno inadeguata ai fini, se non inutile, la modalità formativa fino ad oggi più comune nella realtà italiana: quella offerta da eventi residenziali di tipo congressuale, in occasione dei quali la trasmissione unidirezionale delle conoscenze – ancorch aggiornate – comporta una quasi totale passività intellettuale dei discenti. Altra cosa possono essere eventi congressuali basati sulla partecipazione attiva dei presenti (per esempio, i Congressi nazionali della Società Italiana di Pedagogia Medica, preparati e svolti con una partecipazione corale dei destinatari, grazie alla centralità dei lavori di gruppo rispetto alle letture magistrali).

Per risultare efficace l’ECM deve pertanto privilegiare metodologie didattiche interattive, tra le quali appare particolarmente coerente con le sue finalità l’apprendimento mediante la soluzione di problemi, finalizzato all’assunzione di decisioni, nel quale anche la considerazione positiva, ancorch critica, dell’errore diventa ulteriore strumento educativo. È questo infatti il contesto concreto in cui opera la maggior parte dei professionisti della salute; ed è questo l’approccio che può indurre non solo conoscenze, ma anche, e soprattutto, competenze.

L’efficacia formativa

Altri due elementi indispensabili per garantire l’efficacia di ogni attività educativa sono la definizione precisa degli obiettivi dell’apprendimento e la verifica valutativa del grado individuale di apprendimento.

La definizione precisa degli obiettivi dell’apprendimento rappresenta il primo e irrinunciabile compito di chi prepara e offre eventi educativi di qualsivoglia natura. Infatti tali obiettivi descrivono in modo esplicito i fini e, soprattutto, i risultati attesi dell’evento formativo, che in quanto tali debbono indicare ciò che alla conclusione dell’evento i discenti saranno in grado di realizzare (conoscenze, competenze, abilità pratiche, gestuali o psicorelazionali) e non ciò che i docenti insegneranno. Gli obiettivi educativi si incrociano con i bisogni formativi percepiti in modo autonomo dal singolo discente, inducendolo a scegliere liberamente di partecipare all’uno o all’altro evento. Questo non toglie che l’authority responsabile dell’educazione continua del personale sanitario possa individuare obiettivi educativi prioritari, al conseguimento dei quali portare l’una o l’altra categoria di professionisti per garantire nel modo migliore la tutela della salute dei cittadini grazie alla competenza specifica degli operatori sanitari.
D’altra parte la scelta individuale degli obiettivi da conseguire deve rispettare – se non altro per ragioni di efficienza (= rapporto costo/beneficio) – le necessità effettive poste dallo specifico profilo professionale e dai compiti a esso attribuiti in termini di risposta ai bisogni reali di salute; in altri termini si ritiene corretto che la scelta degli obiettivi educativi per la formazione personale sia una prerogativa che i singoli professionisti possono esercitare in modo autonomo, ma non arbitrario, n troppo parziale, cioè tale da impedire al singolo professionista la percezione di altri bisogni formativi pure rilevanti.
Infine, è importante che vi sia una stretta coerenza tra obiettivi educative e metodologie didattiche utilizzate per conseguirli, mentre spesso accade che, per esempio, obiettivi di natura pratica (gestuale o relazionale) vengano insegnati con metodologie tipicamente cognitive, e per questo purtroppo non appresi.

La verifica valutativa del grado individuale di apprendimento rappresenta il catalizzatore più efficace dell’apprendimento, perché qualsiasi discente – anche se adulto – impara soprattutto ciò su cui sa che sarà valutato. La verifica dell’effettivo conseguimento degli obiettivi educativi rappresenta inoltre una prova di efficacia didattica per l’evento e per i suoi docenti; infine, la valutazione dei risultati stimola anche a posteriori il discente a riconsiderare il proprio stile di apprendimento e il significato di quanto ha appreso, inducendo un atteggiamento metacognitivo, cioè promuovendo la formazione di "professionisti riflessivi". Ovviamente è indispensabile una stretta coerenza anche tra obiettivi educativi e strumenti per la verifica valutativa del loro conseguimento. Solo se questi presupposti vengono rispettati l’attribuzione dei crediti formativi ha un senso, in quanto certifica non la mera presenza fisica a un evento formativo, bensì la sua utilizzazione virtuosa nell’apprendimento, realizzando i fini essenziali dell’ECM: formare professionisti migliori per meglio tutelare la salute dei cittadini.

Il discredito dei crediti

A questo punto si apre il cahier de doleance sulla modalità d’uso dei crediti distorta, per non dire deviante, finora praticata nell’ECM italiano. Purtroppo quello che doveva essere uno strumento di mero supporto alla gestione organizzativa del sistema ECM è diventato il fine prevalente della maggioranza dei provider e dei professionisti-discenti: il burocratismo distributivo dei crediti, non modulato dall’intervento così spesso inefficiente dei referee, ha distrutto ogni parvenza di equità e di valutazione effettiva della qualità educativa degli eventi formativi; i professionisti della salute oggi palesano senza reticenze l’unica aspirazione ad accumulare il numero obbligato di crediti (nonostante non vi siano "ancora" sanzioni definite per gli inadempienti) e per lo più affidano a occasioni spesso non accreditate la loro formazione efficace. In questa prospettiva hanno assunto un ruolo quasi esclusivo gli eventi residenziali sotto forma di convegni, anche perché la prima preoccupazione degli organizzatori per assicurare l’audience, qualsiasi sia il contenuto del convegno, è quella di garantire ai partecipanti un adeguato (sic!) numero di crediti.

Tutto ciò ha come unico risultato visibile quello di "screditare" gravemente tutto il progetto ECM, inducendo un malcostume contagioso e diffuso nell’esercizio della formazione continua. E tutto ciò senza la capacità delle Autorità centrali di portare rimedio alla situazione complessiva: di fatto non decollano la FAD e la formazione sul campo, e quest’ultima può porre le proprie speranze solo nell’avvio delle ECM regionali con il coinvolgimento delle Aziende sanitarie locali.

In questa ottica la Regione del Veneto, con un lavoro di programmazione e di organizzazione pluriennale, ha messo a punto un sistema avanzato che pone rimedio alle gravi insufficienze test denunciate: è ormai funzionante, grazie anche a un sofisticato algoritmo, un metodo di attribuzione dei crediti che – pur rispettando le regole nazionali – valorizza e riconosce la qualità educativa dei singoli eventi formativi, proprio perché viene considerata come forte elemento premiante la coerenza degli obiettivi educativi chiaramente definiti per ogni evento con le metodologie didattiche applicate e con le modalità di verifica dell’efficacia formativa dell’evento stesso. Anche gli altri criteri che determinano l’ammontare dei crediti hanno come fine essenziale quello di premiare la qualità formativa: sono infatti privilegiati gli obiettivi educativi a più elevato livello tassonomico (soluzione di problemi, assunzione di decisioni, ecc., prevalenti sulla memorizzazione di nozioni), i metodi didattici più interattivi (lavori in piccolo gruppo con dinamiche tutoriali) e quindi il numero contenuto di partecipanti. Per ora il sistema è applicato solo agli eventi residenziali, ma è ragionevolmente prevedibile che questa esperienza positiva troverà evoluzioni felici anche nelle altre due direttrici in fieri: la formazione sul campo e la formazione a distanza.

Le direttrici future

Si può notare come gli interlocutori di Va’ Pensiero siano piuttosto parchi nell’esprimere valutazioni a proposito degli sviluppi futuri dell’ECM, che sono per l’appunto rappresentati dalla formazione sul campo e dalla formazione a distanza (FAD). Questo limite è comprensibile proprio perché l’esperienza in merito è molto ristretta e spesso insoddisfacente.

Così della FAD si apprezza soprattutto il fatto che possa raggiungere a domicilio i destinatari con risparmio di tempo e di denaro. Non si considerano invece le caratteristiche peculiari della FAD, le sue possibili declinazioni che non si esauriscono nella e-learning, ma che da questa possono trarre vantaggi e limiti; e, soprattutto, non si valuta l’effettivo potenziale pedagogico che la FAD e l’e-learning possono esprimere, a condizione che vengano realizzate con modalità molto interattive (tutorship, classi virtuali, ecc.). Tutto ciò senza contare i problemi che la FAD può porre in termini di accreditamento dei provider piuttosto che delle offerte formative, oltre che in termini di impegno docente e di impegno discente se si vuole garantire l’efficacia formativa, e di rapporti tra costi e benefici.

Ancora più sullo sfondo appare nelle interviste la formazione sul campo, proprio perché la sua definizione è ancora in progress, anche se dovrebbe probabilmente costituire il settore di maggiore impegno dell’ECM. In esso non potrà essere trascurato per esempio l’approccio interprofessionale, oltre che quello multidisciplinare – argomenti che ovviamente non potevano trovare spazio in colloqui rivolti a testimoni di ambiti monoprofessionali quando non addirittura monospecialistici.

Sono questi temi di notevole ampiezza, che probabilmente meriterebbero qualche considerazione di più ampio respiro.

 

11 maggio 2005

Per saperne di più…

  • "ECM: sarebbe bello se…" , intervista a Luciano Vettore (Va’ Pensiero n° 197)
  • "Formazione in sanità"
  • "Risorse sull’ECM"
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