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Autismo: il diritto di sapere cosa funziona

È stata da poco pubblicata la linea guida sul Trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti. Qual è il suo parere sul metodo usato per la preparazione del documento?

Le linee guida obbediscono a un metodo codificato dalla comunità scientifica internazionale e l’Istituto Superiore di Sanità nel nostro Paese ne è garante autorevole. Si riunisce una commissione di esperti, si pongono i quesiti a cui le linee guida devono rispondere (in questo caso: efficacia dei trattamenti non farmacologici, efficacia dei trattamenti farmacologici, efficacia degli interventi precoci). Si procede quindi a raccogliere la letteratura internazionale che affronta questi argomenti e dall’analisi delle evidenze (ovvero dei dati a sostegno o meno delle ipotesi discusse) si esprime un giudizio finale. Le linee guida, pertanto, non sono la sintesi di tutti gli approcci possibili (nel caso specifico delle terapie per lo spettro autistico), ma si basano unicamente su dati scientifici basati sull’evidenza.

In un quadro complessivo non confortante, la linea guida mette in evidenza i risultati ottenuti dalla terapia comportamentale; nulla di nuovo, del resto, rispetto a quanto emergeva dalla “classica” analisi di Peter Fonagy. Perché, a suo giudizio, alcuni parlamentari italiani hanno criticato il documento “non per ciò che contiene ma per quanto non contiene”?

Credo sia frutto di un equivoco di fondo. Molti colleghi vorrebbero le linee guida più basate su tutte le pratiche esistenti che non su quelle realmente efficaci. Come si fa a stabile se un trattamento è efficace oppure no? La comunità scientifica internazionale da sempre lavora su questi temi con studi controllati ovvero condotti secondo criteri di obiettività e rigore metodologico. L’autismo e i disturbi dello spettro autistico sono stati negli anni oggetto di terapie, seppure rispettabili, a volte molto fantasiose. Sono convinto che sia un diritto delle famiglie avere un parere tecnico su ciò che funziona e su ciò che è ancora, diciamo così, “sperimentale”. La storia della medicina è caratterizzata da metodiche di cura che nel tempo si sono rivelate essere inutile o addirittura dannose. Si pensi, ad esempio, alla salassoterapia per i feriti gravi… Abbiamo tutti bisogno di sapere e conoscere quali cure sono efficaci e quali no. Le linee guida rispondono a questa necessità al di là se segnalano dati a supporto del trattamento che a me piace oppure no. Ad ogni modo sono convinto che il progresso delle conoscenze sia un processo di per sé inarrestabile.

I risultati deludenti ottenuti nella cura/terapia di diversi disturbi psichici nel bambino e nell’adolescente sono una ragione sufficiente per affidarsi a trattamenti per i quali disponiamo scarse prove di efficacia o dovrebbero piuttosto motivare ad una più intensa attività di ricerca?

Credo che a ciascuno debba essere garantito il diritto di scegliere come curarsi. Ma credo anche che il compito della Sanità pubblica sia quello di fornire dati ed erogare prestazioni coerenti con le evidenze scientifiche. Chiunque voglia curare il proprio figlio autistico con tecniche psicoanalitiche o con il massaggio cranio sacrale o con la pet therapy deve essere libero di farlo, ma deve anche essere correttamente informato che tali metodi si sono rivelati non efficaci in studi controllati e indipendenti e ne deve pertanto sostenere l’onere. Al Servizio Sanitario Nazionale si deve chiedere, cioè, di erogare prestazioni che abbiano una chiara evidenza di efficacia. Questo sulla base delle conoscenze attuali. È possibile pensare che metodi su cui ad oggi non sono stati raccolti dati di efficacia possano essere dimostrati utili in futuro. È un invito a tutti i colleghi di realizzare ricerche che possano aiutarci in tal senso.

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