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Editori scientifici, la banda degli onesti?
Quali ragioni vi hanno spinto a preparare le “Best Practice Guidelines on Publication Ethics”?
Sull’editoria scientifica gravano importanti responsabilità. Per esempio, riferire i risultati delle sperimentazioni cliniche in maniera scorretta può tradursi in un danno per i malati o in un ritardo nel progresso della ricerca clinica. Pubblicare può anche condizionare la carriera dei singoli ricercatori: per questo è così importante disporre di un codice di condotta che protegga i lettori e gli autori. Molte riviste sono curate da personalità della Medicina universitaria o ospedaliera che, sebbene siano esperte nella loro disciplina, nel momento in cui si apprestano a dirigere un giornale sono in realtà dei dilettanti. Crediamo che queste linee-guida possano aiutare i direttori dei periodici medico-scientifici, in particolar modo quelli con minore esperienza, e speriamo che l’adozione delle guidelines accresca lo standard dell’editoria del settore.
Crede che le linee-guida possano proteggere i lettori anche dalla cattiva ricerca clinica o solo dalle pubblicazioni di qualità scadente?
E’ importante distinguere tra etica editoriale e etica della ricerca. Le linee-guida sono centrate sull’etica delle pubblicazioni scientifiche. Di conseguenza, il documento tutelerà soprattutto i lettori (e gli autori) dalle pratiche della cattiva editoria. Comunque, esistono delle sovrapposizioni, per esempio una delle flow chart inserite nelle linee-guida fornisce dei suggerimenti riguardo i comportamenti che il direttore di una rivista dovrebbe assumere qualora sospetti che un articolo contenga dati inventati. Così, in alcuni casi, seguendo le linee-guida dovrebbe essere possibile impedire che la cattiva ricerca venga pubblicata. Ad ogni modo, purtroppo, le guidelines non possono fermare lo svolgimento della ricerca scadente.
L’Agenzia regolatoria italiana è preoccupata per le frequenti violazioni etiche da parte delle industrie; gli articoli originali contenenti dati manipolati o conclusioni fraudolente hanno una diffusione di fatto molto, molto più ampia delle dichiarazioni in cui gli stessi dati sono smentiti: lei pensa possa essere possibile obbligare gli sponsor ad acquistare dei reprint delle retractions per distribuirle ai medici?
Un vantaggio importante di banche dati bibliografiche come Medline è che le retractions (o, più di frequente, le corrections) possono essere direttamente linkate all’articolo originale. Di conseguenza, chi cerca un articolo utilizzando questo genere di database è immediatamente avvertito del problema. E’ anche vero che gli scienziati che fanno affidamento sulle copie cartacee nelle biblioteche o sugli estratti distribuiti dalle industrie possono non essere consapevoli di problemi importanti. Comunque, non mi sembra realistico attendersi che uno sponsor torni a contattare ciascun destinatario di un reprint già distribuito, anche perché molto spesso questi articoli sono messi a disposizione dei medici partecipanti a congressi e le industrie non registrano le persone che ne prendono una copia.
E allora cosa suggerirebbe?
Credo che le autorità regolatorie dovrebbero prendere una posizione rigorosa nei confronti delle aziende che continuano a citare o a distribuire articoli che si sono successivamente rivelati fraudolenti, e dovrebbero essere capaci di multare le industrie che trasgredissero. Può essere possibile obbligare un’azienda a pubblicare la retraction su una rivista molto conosciuta (o persino su una serie di riviste, e a proprie spese) e questo potrebbe avere l’effetto di avvertire i medici dei problemi insiti nell’articolo e di svergognare pubblicamente lo sponsor; ma, ripeto, non mi sembra praticabile l’ipotesi di distribuire la smentita direttamente al singolo medico.
Le linee-guida mettono in evidenza come le situazioni di conflitto di interesse possano non riguardare solo gli aspetti economici: può spiegarci meglio questo aspetto?
I conflitti di interesse economici sono forse quelli più comuni e sono semplici da quantificare, ma quelli non a carattere finanziario sono talvolta ugualmente importanti. Per esempio, il credo religioso può condizionare il punto di vista nella ricerca sulle staminali. I personali conflitti di interesse dovrebbero cessare di sussistere nel momento in cui diventano manifesti ai direttori delle riviste, ma spesso restano nascosti. Non sarebbe di certo una buona idea fare da revisore di un articolo scritto dal proprio marito o dalla propria moglie! Dal momento che molte donne utilizzano il proprio cognome originale, a meno che il direttore di una rivista non abbia una conoscenza personale del referee può non essere a conoscenza degli eventuali legami con l’autore dell’articolo. I direttori possono anche non essere al corrente delle rivalità accademiche o di bias di tipo positivo, per esempio quelli che possono influenzare il giudizio di un “Maestro” su un ex allievo o, viceversa, di un ex allievo nei confronti di un proprio docente.
Che differenza c’è nel trattare con un editore for-profit rispetto all’avere a che fare con il proprietario di una rivista che non persegue fini di lucro?
I codici di comportamento sono gli stessi sia per gli editori commerciali che per quelli not-for-profit. Entrambi cercano di rientrare nei propri investimenti e, spesso, di fare dei profitti. Persino gli editori che collaborano con organizzazioni non aventi fini di lucro (come le società scientifiche) sono spesso considerati alla stregua di un’importante fonte di guadagni per la società, così possono subire le stesse pressioni che avrebbero da un’impresa commerciale. In termini di comportamenti dei direttori nei confronti degli autori, dei revisori e dei lettori, non vedo differenze qualora si lavori per un editore imprenditore o meno.
A suo parere, le linee-guida dovrebbero essere applicate anche all’editoria libraria?
Certamente! Qualunque impresa che preveda la pubblicazione di informazioni a carattere accademico (soprattutto mediche) dovrebbe prestare il dovuto riguardo per la trasparenza, l’imparzialità e per l’etica della buona editoria.
Original version
What is the rationale for preparing the Best Practice Guidelines on Publication Ethics?
Academic publishing carries important responsibilities. For example, if clinical trials are incorrectly reported, this could result in harm to patients, or to progress in medical research being delayed. Publication can also affect individuals’ careers, so it is important that there is a code of conduct to protect readers and authors. Many journals are edited by academics who, although experts in their own field, are amateurs when it comes to editing a journal. We therefore felt that guidelines would help editors, especially the less experienced ones, and we hope that adoption of the guidelines will raise the standard of academic publishing.
Do you think the Guidelines could protect readers from bad research or just from bad publishing?
The distinction between publication ethics and research ethics is an important one to make. The guidelines focus on publication ethics. Therefore, they will mainly protect readers (and authors) from bad publishing practices. However, there are some overlaps, for example one of the flowcharts provides advice about what editors should do if reviewers suspect that a paper contains fabricated data. So, in some cases, following the guidelines should prevent bad research from getting published. However, sadly, they cannot stop bad research from being done.
Italian Regulatory Agencies are concerned about frequently occurring ethical breaches; original fraudulent articles sponsored by pharmaceutical companies actually have a much wider circulation than retractions: could sponsors be forced to print retractions and then distributing them to the doctors?
One important advantage of bibliographic databases such as Medline is that retractions (or, more commonly, corrections) can be linked directly to the original article. Therefore researchers looking for a paper via such databases are immediately alerted to problems. However, if scientists rely on paper copies in libraries, or on reprints distributed by commercial companies, they may not be aware of important issues. However, I do not think it would be practical to expect sponsors to contact every person who had received a reprint since, in many cases, copies are handed out at conferences so the sponsor will have no record of who has received them. I believe the regulatory authorities should take a firm stance against companies that continue to quote from or distribute articles that are later shown to be fraudulent, and should be able to fine offending companies. It might be possible to force a company to publish a retraction in a prominent journal (or even in several journals – at their own expense), which would have the effect of both notifying doctors of problems with the paper and of shaming the company publicly, but I don’t think they could be expected to distribute retractions or corrections to individual doctors.
The Guidelines place emphasis on the sources of conflicts of interest other than the financial ones: can you explain your position?
Financial conflicts of interest are perhaps the most common and the easiest to quantify, however non-financial conflicts are sometimes equally important. For example, someone’s religious beliefs may influence their views on stem-cell research. Personal conflicts should be avoided when they are known to editors, but often they will be unknown. For example, it is probably a bad idea to review a paper written by your husband/wife or your ex-husband/wife! Since many women use a professional name, unless the editor knows them personally, they may not be aware of their relationship to the author. Editors may also be unaware of academic rivalry or positive bias shown by tutors for former pupils or by students for former mentors.
What differences are there in dealing with for profit and not for profit owner/publisher?
Codes of behaviour should be the same for both commercial and not-for-profit publishers. Both types of publisher are expected to cover their costs and, in many cases also make a profit. Even publishers associated with not-for-profit organisations (such as academic associations) are often regarded as an important source of revenue for the society, so they may be under just as much pressure as a commercial company. In terms of editors’ behaviour towards authors, reviewers and readers, I do not see that it makes any difference whether they are working for a commercial publisher or a not-for-profit organisation.
In your opinion, should the Guidelines be applied also to book publishing?
(i.e. disclosure of conflicts of interest, source of funding transparency, and so on)
Definitely! Any enterprise that involves the publication of academic (especially medical) information should have due regard for transparency, fairness and good publication ethics.