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Equità sanitaria: un manifesto tra obiettivi e metodo

Benessere e malattia continuano ad essere distribuiti in modo disomogeneo nella popolazione. Un divario che non riguarda solo il confronto tra Nord e Sud del mondo. Cosa dicono i dati epidemiologici a proposito della situazione italiana?

I dati confermano che alle soglie del 2000 lo stato di salute della popolazione italiana è contrassegnato da ampie e costanti differenze geografiche. Le regioni più svantaggiate sono tuttora quelle meridionali e insulari. Il quadro odierno ripete sostanzialmente quelli del passato: anche per questo motivo, le politiche di piano sia nazionali che regionali non possono evitare di confrontarsi nel ricercare risultati più incisivi di quelli ottenuti finora per quanto riguarda l’obiettivo dell’equità territoriale. Nel gradiente nord-sud meritano attenzione anche i pochi elementi dissonanti. Si tratta in particolare della mortalità maschile e dell’incidenza dei tumori, due dati tradizionalmente sfavorevoli nelle regioni settentrionali della penisola: anche se negli ultimi anni il distacco tra nord e sud è per entrambi in diminuzione.

Come sono distribuite le disuguaglianze nei diversi settori della sanità?

Le disuguaglianze osservabili sul territorio attraversano tutti i settori del problema salute: dalla salute percepita a quella fisica, dalla salute mentale alle patologie croniche, dalla disabilità ai dati di mortalità. Ma sono particolarmente evidenti per la salute soggettiva e la disabilità. Seguono, con differenze meno importanti, le patologie croniche.

A proposito di differenze geografiche, la recente svolta federalista potrebbe costituire una ulteriore minaccia per l’equità?

Il processo federalista, non costituisce in s stesso una minaccia per l’equità sanitaria: anzi, regioni molto responsabili potrebbero trovare soluzioni alla disuguaglianza migliori di quelle attuali. Tuttavia, nella definizione finale della devolution sanitaria e nella sua applicazione, occorre salvaguardare valori e caratteristiche operative irrinunciabili.

Ovvero?

Il diritto dei cittadini alla salute va garantito e coniugato in modo omogeneo nelle diverse regioni. Altrimenti, considerato il valore etico e sociale dei diritti sanitari, si rischia di rompere il patto di cittadinanza, con conseguenze politiche anche gravi.
Le risorse disponibili all’interno del Paese vanno distribuite in modo tale da non obbligare alcune regioni a ridurre la portata attuale della spesa sanitaria.
L’impostazione e l’organizzazione che caratterizzano i singoli sistemi regionali devono evitare di produrre divergenze nella qualità dell’assistenza.
Nell’offerta di servizi – in particolare quelli privati – è necessario mettere a punto meccanismi di controllo dell’appropriatezza delle prestazioni ed inoltre – soprattutto per la componente pubblica – è necessario attivare meccanismi di sviluppo del sistema sia sul piano del finanziamento sia su quello dell’efficienza.

Tuttavia le previsioni per il futuro non sembrano rosee…

Infatti. Nel breve-medio periodo le disuguaglianze di salute tendono ad approfondirsi. La lettura delle dinamiche internazionali in atto all’interno del sistema produttivo e di quello commerciale – le principali cause della mancanza di equità nello stato di salute – porta a questa previsione. Difficoltà di sviluppo, crisi occupazionale, indebolimento del welfare e, d’altro lato, un mercato dei consumi che tende a esasperare la segmentazione della clientela: l’effetto di questi trend temporali sarà di ampliare e approfondire, anche nel nostro Paese, le disuguaglianze. Anche i flussi migratori provenienti dai Paesi poveri rappresentano per i sistemi sanitari europei, Italia compresa, una nuova sfida sul terreno dell’equità.

Quali strumenti offre l’epidemiologia?

L’epidemiologia d’altra parte non può pretendere di cambiare i fattori economici in gioco: l’analisi, la valutazione, il monitoraggio e la comunicazione dei dati relativi all’equità sono le sole iniziative alla sua portata. L’utilità, sia da un punto di vista culturale che operativo, di una descrizione rigorosa è proporzionale alla capacità di identificare i ‘punti sensibili’ della disuguaglianza.

L’Associazione Italiana di Epidemiologia si è fatta promotrice del “Manifesto per l’Equità”. Da cosa nasce l’iniziativa?

Tutti gli studi epidemiologici rilevano l’ampiezza e l’intensità delle disuguaglianze di salute e di quelle relative alle possibilità di accesso alle prestazioni erogate dai servizi sanitari: benessere e malattia sono distribuite in modo disomogeneo nella popolazione. Sullo sfondo di questi elementi di conoscenza, alcuni epidemiologi si sono fatti promotori del Manifesto che muove da una duplice convinzione.
La prima è che la riduzione delle disuguaglianze sia un traguardo irrinunciabile per qualsiasi politica sanitaria. In effetti sia il Piano Nazionale Sanitario del 1998 (Ministero Bindi) sia quello del 2003-2005 (Ministero Sirchia), bench con diverse angolature, rivendicano l’impegno per un sistema che garantisca a tutta la popolazione il mantenimento e il recupero della salute. In sanità, del resto, l’equità non può essere considerata un obiettivo di parte bensì come uno dei valori fondanti di qualsiasi intervento di piano.
L’altra è che, nonostante l’impegno profuso sulle tematiche dell’equità, la Sanità pubblica italiana non abbia ancora potuto fornire l’apporto che le è richiesto. In particolare, le valutazioni delle disuguaglianze sono soltanto episodiche e non permettono di conoscerne dimensioni e cause, di seguirne le variazioni nel tempo e di suggerire ai gestori del sistema-salute interventi correttivi efficaci.

Qual è l’obiettivo del documento?

Proporre il problema a chi ha responsabilità di governo, fornendo adeguati strumenti di conoscenza. Particolarmente significativo può essere il contributo conoscitivo per impostare politiche in grado di ottenere vantaggi di salute attraverso interventi non direttamente sanitari ma di tipo educativo, ambientale o assunti nell’ambito delle politiche di welfare. Difficilmente infatti si può pensare di poter avere un buon sistema sanitario in una società che rimanga fortemente squilibrata. Altrettanto importante è la capacità di contrastare il trasferimento acritico ai sistemi sanitari delle caratteristiche attualmente prevalenti in ambito politico-economico, fondate sul mercato, sull’efficienza e su una forte competitività. Potrebbe accadere infatti che forme di assistenza sanitaria solo apparentemente secondarie (per esempio nell’ambito dell’assistenza territoriale e/o rivolta agli anziani) siano declassate a interventi di beneficenza o delegate in toto alle famiglie: procedure di questo tipo possono rivelarsi palesemente inique.

Dunque per superare le disuguaglianze servono politiche coerenti con l’obiettivo dell’equità?

Si. Nel suo insieme, l’attività sanitaria è destinata all’intera società. Ma i singoli interventi vanno selezionati e integrati in base a tre diversi obiettivi.
In primo luogo, alzare i valori degli indicatori di salute nelle aree e nei gruppi sociali più svantaggiati. In secondo luogo, diminuire la velocità con cui le disuguaglianze di salute tendono ad approfondirsi. Da ultimo, occorre agire in profondità per rendere il più possibile omogenee le condizioni di salute nelle diverse componenti della società.
È necessaria una valutazione preliminare degli effetti attesi dai singoli provvedimenti sulla salute anche per quanto attiene all’equità della loro distribuzione sociale e territoriale. È necessario infine che qualsiasi intervento sanitario conceda uno spazio adeguato all’informazione, alla consultazione e alla programmazione concertata con i gruppi marginali che sono le vittime principali delle disuguaglianze.
Il presupposto culturale per una politica di questo tipo è che l’obiettivo dell’equità sia considerato prioritario qualsiasi azione promossa in campo sanitario. Questo principio dovrebbe essere tenuto presente, particolare, nella formulazione delle linee-guida. Altrettanto importante che i Servizi sanitari si dotino sistemi informativi in grado di misurare sistematicamente i principali parametri di equità.

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