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Il potenziale inesplorato della creatività

DislessiaQuesto non è il primo libro che tratta di dislessia, ma è sicuramente uno dei primi che lo fa in modo alternativo, per usare un termine familiare, è “creativo” secondo molti aspetti. Da dove nasce l’esigenza di concentrare l’attenzione sul sistema educativo e sul mondo del lavoro? A chi si rivolge questo libro e perché la creatività è così preziosa?

L’approccio che ho avuto nei confronti della dislessia è sempre stato duplice: da un lato la constatazione delle reali e problematiche difficoltà scolastiche e non solo, dall’altro l’enorme potenziale spesso inesplorato, legato alle caratteristiche creative del pensiero dislessico. E dopo aver pubblicato, ormai da 16 anni, il primo testo sul tema, ho sentito la necessità di aggiornare una realtà di cui si scrive in modo piuttosto ripetitivo, senza spunti nuovi, anche perché la scuola rimane la cartina al tornasole dell’espressione del disturbo o caratteristica, a seconda di come si vuole intendere la dislessia.

La creatività è preziosa come leva per scardinare pregiudizi e idee stagnanti, quindi come spinta evolutiva, come risorsa da valorizzare nelle persone dislessiche, visto che il loro cervello, e le relative caratteristiche anatomo-funzionali, dimostra di essere sufficientemente creativo per affrontare le nuove sfide sociali legate al mondo del lavoro, ad esempio.

Questo libro si rivolge a tutti, ma soprattutto a chi ha a che fare con la dislessia: insegnanti, genitori e dislessici adulti.

In qualità di logopedista conosce l’importanza di una valutazione precoce della dislessia e quanto l’ambiente familiare sia influente. Come tradurre le considerazioni in strumenti pratici per genitori e insegnanti?

Le considerazioni sono molteplici, tanto da avere avuto la necessità di riformularle in questo libro. Quello che non si deve trascurare, oggi più che mai, è la consapevolezza e la conoscenza, per fronteggiare le difficoltà scolastiche grazie alle neuroscienze, ma anche per alleviare i disturbi psicologici secondari, purtroppo molto frequenti nei ragazzi e adulti che sono stati riconosciuti dislessici con molto ritardo.

Nei primi capitoli del libro troviamo uno splendido passaggio che incoraggia una riflessione su quanto poco sia cambiato l’ambiente scolastico nel corso del tempo. Sappiamo che la strada da fare è ancora lunga per una didattica più inclusiva. Secondo la sua esperienza, che passi in avanti sono stati fatti dall’approvazione della legge 170/2010 in merito ai DSA?

A quasi 10 anni dalla legge sicuramente la sensibilizzazione verso questo argomento è molto cresciuta, tanto da far sembrare che la dislessia sia diventata epidemica. Ma non è così: le percentuali ci dicono chiaramente che essa è più diagnosticata laddove ci sono le condizioni socio-culturali che danno la possibiltà di accedere ai servizi pubblici e dove ci sono genitori che riescono a valutare e reagire alle difficoltà riscontrate nei figli. La scuola italiana, con i suoi docenti, ha cercato di stare al passo, ma la sua storica difficoltà di rinnovarsi, ha solo cambiato alcuni criteri valutativi nei confronti di questi studenti, ma poco ancora è stato fatto per ripensare la didattica in funzione, come dicevo prima, degli studi di neuroscienza, che dovrebbero essere il punto di riferimento per un insegnamento valido e attuale. 

Nell’epoca digitale quali vantaggi possono avere i ragazzi nell’apprendimento? Con quali occhi guardare alla didattica del terzo millennio?

Affinché non sia la scuola ad essere dislessica, il nuovo sguardo delle scienze educative dovrà rivolgersi verso questi ragazzi per riformulare la didattica, anche attraverso l’uso degli strumenti digitali; ne gioveranno tutti, visto che il modo di apprendere nell’epoca di wikipedia è molto cambiato, e questo lo dicono studiosi americani come Marianne Wolf o Howard Gardner, quello delle intelligenze multiple.

Conclude il suo libro raccontando delle bellissime storie di successo e resilienza. Perché ha deciso di coinvolgere adesso protagonisti più attuali?

Finalmente anche alcuni personaggi italiani cominciano ad esporsi, a raccontare le loro storie di dislessia, grazie al lavoro di sensibilizzazione delle associazioni. Sapere che altre persone ce l’hanno fatta e far conoscere le loro storie, rimane un supporto per la comprensione e l’accettazione della dislessia nei ragazzi. Come dice l’inglese (e dislessico) Ross Cooper, “è tempo che la gente dislessica parli per se stessa”.


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