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L'endocrinologo e l'aggiornamento
Come si aggiornano gli endocrinologi?
Il filone conduttore dell’aggiornamento continuo deve ispirarsi alla necessità di armonizzare il progredire delle acquisizioni, tecniche e scientifiche, con le esigenze pratiche della endocrinologia clinica.
La Società Italiana di Endocrinologia offre all’endocrinologo clinico la possibilità di frequentare sia il corso di aggiornamento sia il Congresso, a cadenza biennale: il prossimo, il 31°, si svolgerà a Genova dal 4 al 7 maggio 2005. È prevista una collaborazione formale con la consorella statunitense, The Endocrine Society, nonché un simposio congiunto con la European Federation of the Endocrine Societies.
Il Consiglio direttivo della Società Italiana di Endocrinologia organizza, ad anni alterni, al Congresso biennale il corso di aggiornamento post-specialistico, selezionando gli argomenti che meglio rappresentano l’evolvere delle acquisizioni scientifiche, polarizzando l’attenzione sulla necessità di applicare le conquiste della endocrinologia bio-molecolare alla endocrinologia clinica, e sottolineandone gli aspetti pratici di ordine diagnostico e terapeutico.
Come si articola il corso?
Il corso ad impostazione clinica si articola in sessioni interattive di didattica, che pongono l’accento sulla razionalità degli schemi da adottare nella richiesta di indagini sequenziali da eseguire per la diagnosi di casi clinici simulati e discussi in piccoli gruppi. L’obiettivo è di fornire allo specialista riferimenti precisi che possano essergli utili nel dirimere i quesiti da risolvere nell’esercizio professionale quotidiano. Ai partecipanti è consegnato prima dello svolgimento del corso un sintetico Syllabus che illustra, in termini clinico-diagnostici, le implicazioni pratiche dei progressi scientifici illustrate da docenti ponendo in evidenza gli innovativi risvolti prognostici e terapeutici.
Cosa dovrebbe offrire all’endocrinologo un corso di questo tipo?
Dovrebbe offrire un modello didattico paradigmatico che sia espressione di una reciproca interazione tra l’affascinante ma criptico linguaggio della più avanzata bioingegneria e quello delle metodologie diagnostiche: dai dosaggi radioimmunologici agli attuali sistemi immunofluorimetrici, immunoenzimometrici, immunochemiluminiscenti. La messa a punto di tali sistemi dotati di elevata sensibilità, anche grazie ai rilevanti vantaggi economici e di sicurezza sul lavoro, consente inoltre l’impiego di sistemi robotici automatizzati.
E richiede un aggiornamento che deve procedere di pari passo con l’evoluzione della più avanzata metodologia diagnostica…
Lo sviluppo di metodologie diagnostiche di tipo morfologico e funzionale sempre più sofisticate esige una razionale impostazione di procedure strategiche da adottare nel definire i protocolli diagnostici di screening preliminari delle malattie endocrino-metaboliche. Questo deve privilegiare indagini selettive che offrono il vantaggio della più elevata specificità anche in rapporto al quesito clinico da risolvere. Gli algoritmi diagnostici attuali devono essere incentrati in schemi orientativi che offrano elementi valutativi volti ad elidere la ridondanza di indagini, talora superflue e non sempre risolutive. I protocolli diagnostici devono essere incentrati sulla selezione di indagini mirate e specifiche, anche con l’obiettivo di conseguire un equilibrato rapporto costo-beneficio.
Detto ciò, la validità del corso dovrebbe essere confermata da quesiti a risposta multipla, la cui valutazione dovrebbe essere soppesata da una soglia di punteggio minimo necessario per ottenere l’attestazione della proficua frequenza alla attività didattica. Per i corsi residenziali potrebbe essere previsto anche un colloquio pratico applicativo inerente alle tematiche sviluppate.
Per un aggiornamento continuo: meglio le riviste o i libri?
Per quanto attiene l’Educazione Continua in Medicina (ECM), nel condividere quanto asserito dal collega Vettore, ribadisco il mio convincimento che il medico, soprattutto se specialista, quotidianamente travolto dalla pratica clinica, non può aggiornarsi sulle problematiche che deve affrontare in termini diagnostici e terapeutici solo a partire dagli studi più recenti depositati nella vastissima letteratura. Per un’immediata informazione sul progredire delle conoscenze biomediche e sul loro innesto in campo clinico deve fare riferimento ai tradizionali libri o ad opere monografiche.
Tali strumenti educativi devono essere strutturati come un agile supporto informativo, che consenta la integrazione e il rinnovamento del patrimonio culturale necessario per una efficace pratica medica in settori specializzati. Al medico deve essere offerto un panorama delle acquisizioni dottrinarie non solo limitate a quelle di ordine culturale e tecnico, ma estese anche a quelle inerenti le procedure diagnostiche e terapeutiche in continua evoluzione.
A mio avviso la tradizionale forma di aggiornamento “librario”, pur non comportando acquisizione di crediti nell’ECM, arricchisce il corredo dottrinario necessario per affrontare e risolvere le problematiche cliniche.
Qual è la sua rivista preferita di medicina interna? E quale di medicina specialistica?
Di abitudine consulto il New England Journal of Medicine; inoltre faccio riferimento alla rivista ufficiale della Società Italiana di Endocrinologia, il Journal of Endocrinological Investigation; poi a Thyroid, il giornale ufficiale dell’American Thyroid Association, della quale sono socio corrispondente; e infine Current Opinion in Endocrinology and Diabetes, che ospita su invito rassegne sintetiche ma aggiornate nei diversi settori della fisiopatologia e clinica della endocrinologia e del metabolismo.
Sono dell’avviso che le riviste di medicina interna siano le più formative anche per lo specialista che solitamente, e in particolare l’endocrinologo, è di estrazione internistica. Ad esempio, io ho iniziato la mia esperienza clinica presso il reparto malattie infettive dell’Università di Pisa, annesso all’Istituto di Clinica medica. A quei tempi ho avuto modo di osservare le patologie più disparate – meningite tubercolare, tetano, brucellosi, tifo, epatite – e la mia radice endocrinologica risiede nello studio degli effetti del cortisone (somministrato per via rachidea) sul decorso delle meningiti.
A quale congresso lei cerca di “non mancare”?
Non rinuncio ai congressi della Società Italiana di Endocrinologia, nonché alle Giornate italiane della Tiroide; inoltre partecipo ai congressi internazionali di endocrinologia ed a quelli sulla tiroide. Il quinto Congresso mondiale sulla Tiroide fu organizzato da me nel lontano 1965, proprio a Roma al mio rientro dagli USA, e gli atti, ormai storici, sono ancora citati nella letteratura in quanto furono rapidamente pubblicati appena a sei mesi dalla conclusione dei lavori congressuali.
Qual è il suo giudizio sui nuovi strumenti di educazione continua a distanza?
Non ho esperienza degli attuali strumenti di educazione continua a distanza, ma in linea di principio, se razionalmente articolati, potrebbero assumerne un ruolo didatticamente efficace. Tuttavia resto dell’avviso che l’insegnamento debba essere impartito con ispirazione empatica: alle mie lezioni, gli studenti con solerte partecipazione prendevano appunti costringendomi spesso a ripetere alcune informazioni; quando interrompevano la loro trascrizione recepivo il messaggio che quello specifico argomento non li coinvolgeva, in quanto probabilmente mi riferivo a nozioni già apprese o reperibili sui testi ufficiali.
In complesso ritengo che per l’aggiornamento professionale il medico debba ricorrere a fonti attendibili: pubblicazioni periodiche, libri ad impostazione trattatistica e monografica.
Il medico generalista o specialista dovrebbe poi partecipare attivamente ad almeno un congresso annuale nel settore della sua specialità; inoltre dovrebbe iscriversi con cadenza periodica ai corsi di aggiornamento teorico-pratico promossi e gestiti da Istituzioni Accademiche e Scientifiche, prescindendo dalle formalità, spesso di ordine burocratico delle iniziative di ECM, talvolta finalizzate a perseguire anche obiettivi promozionali e non esclusivamente culturali.
Chi dovrebbe farsi carico di organizzare la formazione?
Condivido la necessità prospettata da Vettore nella sua intervista di aggiornare competenze e conoscenze; sono d’accordo sulla utilità dell’insegnamento a distanza, con l’opportunità che nei corsi trovi ampio spazio il veicolo informatico multimediale; inoltre, penso sia vantaggioso avvalersi di esperti in pedagogia, soprattutto nella fase dell’impostazione dei corsi di aggiornamento. Tuttavia ritengo, a differenza di Vettore, che le società scientifiche disponendo di competenze scientifiche e cliniche debbano costituire il supporto irrinunciabile per la strutturazione dei corsi. A mio avviso, infatti, l’azienda sanitaria non è sempre qualificata per ricoprire tale ruolo; in maniera particolare deve rappresentare la specificità delle figure professionali necessarie per garantire la formazione del personale sanitario.